L'urlo di dolore dei cristiani del Pakistan arriva a Montecitorio

Si è tenuta stamattina una conferenza stampa presso la Camera su Sawan Masih, giovane cristiano pachistano condannato a morte per blasfemia. Ennesima vittima di un’ondata persecutoria

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Le persecuzioni anticristiane in Pakistan hanno il volto giovane e stremato di Sawan Masih, condannato a morte con l’accusa di aver insultato il profeta Maometto. Di lui, ennesima vittima della legge contro la blasfemia, se n’è parlato questa mattina nella Sala Stampa di Palazzo Montecitorio. Presenti come relatori il prof. Mobeen Shahid, fondatore dell’Associazione Pachistani Cristiani in Italia, Sara Fumagalli, presidente onoraria della stessa associazione, la giornalista esperta di libertà religiosa Marta Petrosillo, i deputati Paola Binetti (Udc), Gian Luigi Gigli (Pi) ed Edoardo Patriarca (Pd).

La vicenda – come ha ricordato Marta Petrosillo – ha inizio nel marzo 2013, quando l’ira di oltre tremila musulmani si è scatenata contro il quartiere cristiano di Joseph Colony, a Lahore, a seguito di una denuncia per blasfemia rivolta a Sawan Masih, abitante di quella zona. Denuncia che ha tutti i crismi di una vendetta, in quanto partita da un amico del giovane che qualche giorno prima aveva avuto con lui un diverbio, mentre i due erano in compagnia a bere alcol, in merito a una proprietà immobiliare.

Ed ora Sawan Masih si trova dietro le sbarre, oppresso da un’accusa che, secondo la legge pakistana, è sanzionata con la pena capitale. “Ciò che è più grave – ha aggiunto Marta Petrosillo – è che se un musulmano viene accusato di blasfemia è lui l’unico a risponderne, mentre se la stessa accusa è rivolta a un cristiano, ne paga dazio tutta la comunità”. Ed è precisamente ciò che è successo nel quartiere di Joseph Colony, dove sono state date alle fiamme 575 case, 2 chiese e una ventina di negozi.

Il professor Mobeen Shahid ha lanciato la petizione Salviamo Sawan Masih, le cui firme saranno presentate al presidente del Pakistan per chiedergli di intervenire in difesa delle minoranze e del diritto alla libertà religiosa. Inoltre, il rappresentante dei pachistani cristiani nel nostro Paese ha rivolto due appelli ai politici italiani. Ha chiesto che venga ripristinato un progetto del 2009 che l’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini, avviò con il suo omologo della Repubblica Islamica del Pakistan per l’assegnazione di borse di studio a studenti più bisognosi delle minoranze del Paese asiatico. Shahid ha infine incalzato i deputati affinché presentino al più presto una mozione nel Parlamento italiano per chiedere un intervento presso il Ministero degli Esteri del Pakistan con lo scopo di interrompere l’abuso della legge contro la blasfemia.

A queste richieste ha risposto l’onorevole Paola Binetti, la quale ha assicurato il suo impegno e quello dei colleghi presenti alla conferenza a chiedere al governo italiano di intervenire “a tutela delle minoranze in Pakistan”, anzitutto verificando se le borse di studio previste nel progetto sono mai state assegnate. Del resto, ha aggiunto la Binetti, “l’educazione e l’istruzione sono i volani positivi che possono consentire al Paese di far cambiare quell’approccio per cui la religione musulmana detta tutti i principi e soffoca non solo la libertà d’espressione ma anche la libertà di partecipazione”.

Concetto che ha ripreso l’onorevole Gigli, parlando del fatto che “in alcuni Paesi islamici si avverte il tentativo di estirpare i cristiani”. Il deputato ha ricordato che “in luoghi in cui la loro presenza è antichissima, come la Siria e l’Iraq, vi è oggi una fuga in massa dei cristiani”. Gigli ha richiamato l’Occidente a non trascurare quanto di drammatico avviene in queste aree del pianeta, poiché l’indifferenza può generare effetti ad oggi imprevedibili, ossia la violazione della libertà di coscienza e di religione anche qui da noi, “fino a farci diventare una minoranza oppressa”.

Pertanto, l’onorevole ha richiamato a una maggior attenzione rispetto ai cristiani vittime di persecuzioni nel mondo. Richiamo rivolto all’opinione pubblica ma anche e soprattutto alle autorità ecclesiastiche, che hanno il compito di sensibilizzare i fedeli nei confronti delle condizioni che vivono questi “nuovi martiri”.

La voce dell’onorevole Patriarca si è levata affinché “non si sottovaluti il diritto alla libertà religiosa”. L’esponente del Pd si è detto stupito dal fatto che oggi, “epoca in cui si parla tanto di diritti”, venga ritenuto irrilevante “il diritto a manifestare privatamente e pubblicamente la propria fede e la propria religione”. Il Concilio Vaticano II e le Carte internazionali, ha ricordato Patriarca, “ribadiscono che questo è un diritto tra i più sostanziali”. Negare questa dimensione costitutiva della persona umana, che è quella spirituale, significa “impoverire l’antropologia”.

La parola è stata infine ceduta a Sara Fumagalli, che si trovava a Lahore in qualità di volontaria dell’associazione Umanitaria Padana proprio nei giorni dell’assalto al quartiere di Joseph Colony. La Fumagalli si è riversata sul luogo nelle ore immediatamente successive ed ha così potuto raccogliere testimonianze delle persone e riprendere con una telecamera. Il video che ha prodotto, mostrato durante la conferenza, è la prova che i veri atti di blasfemia sono stati compiuti dagli autori dell’assalto, i quali hanno bruciato Bibbie e distrutto statue e immagini sacre del Cristianesimo.

La volontaria ha inoltre mostrato le prime pagine dei giornali pachistani del giorno successivo all’arresto di Sawan Masih, ove sono riportate le dichiarazioni di funzionari della polizia che ammettevano la falsità delle accuse per placare l’ira delle folle musulmane.

La Fumagalli ha poi definito i cristiani del Pakistan, il 2% circa della popolazione, “temprati d’acciaio”, poiché malgrado le vessazioni e la condizione di esigua minoranza, rivendicano la loro fede e i loro diritti.

Questo pensiero è riecheggiato anche nelle parole di fr. Afzal Iqbal, un frate cappuccino originario del Pakistan che risiede a Roma da un anno. A margine della conferenza, il religioso ha dichiarato a ZENIT che “le persecuzioni in atto in Pakistan somigliano a quelle subite dai primi cristiani”. Ha spiegato che i musulmani del suo Paese sono “estremamente fanatici” e fanno uso disinvolto di violenza. Malgrado questo, i cristiani pachistani resistono e “il messaggio che rivolgono al mondo intero è di forte fede, speranza e coraggio”.

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Federico Cenci

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