L'unione con Dio, criterio di evangelizzazione

Intervista con il cardinale canadese Marc Ouellet, che ha partecipato all’assemblea del CCEE a San Gallo

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di Anita Bourdin, inviata speciale

SAN GALLO, lunedì, 1 ottobre 2012 (ZENIT.org) – «La qualità dell’evangelizzatore dipende della qualità della sua unione con Dio», ricorda il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, che ha partecipato all’assemblea generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE), conclusasi ieri a San Gallo, in Svizzera.

Il porporato canadese ha anche evocato l’urgenza dell’educazione e di continuare a proporre al mondo l’antropologia biblica. È qui che Ouellet vede il ruolo dell’Europa al servizio del bene comune universale. ZENIT lo ha incontrato ed intervistato.

In questo senso, la Nuova Evangelizzazione può essere una risposta della Chiesa alla crisi europea ?

Card. Ouellet: Certamente. Il Santo Padre, nel suo messaggio, ha sottolineato la prossimità di questa assemblea con il sinodo sulla nuova evangelizzazione: bisogna radicare le discussioni etiche nel fondamento, vale a dire Cristo.

E quando si parla di nuova evangelizzazione, si parla innanzitutto di un incontro, dell’incontro di Cristo, dell’esperienza personale di Cristo. Se questa esperienza non è più vivente, allora tutte le questioni diventano complicate, perché è veramente il fondamento, sul quale – credo – il sinodo porrà un accento: l’annuncio del kerygma apostolico, un fondamento dato troppo spesso per scontato e, invece, da riprendere come parola attuale per ridire e riattualizzare per vederne la coerenza anche con l’antropologia e le questioni etiche.

Credo che il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione ci porterà alla sorgente dell’incontro personale e anche, direi, non solo alla preoccupazione per la fede di coloro che hanno preso le distanze, ma alla preoccupazione per la nostra propria fede, perché essa può anche essere più o meno vivente.

La qualità dell’evangelizzatore dipende della qualità della sua unione con Dio. Spero che il prossimo Sinodo sia un momento molto forte di Pentecoste, vale a dire un’effusione dello Spirito Santo che solo può ravvivare in noi l’audacia, la purezza, la profondità della fede e l’audacia dell’annuncio.

Eminenza, nella sua omelia, Lei ha parlato di una Europa colpita da una crisi della speranza. Quale ruolo può avere l’Europa per riportare i «valori» in un discorso non solo europeo ma mondiale?

Card. Ouellet: L’Europa è portatrice della civilizzazione cristiana: ha sempre la responsabilità di continuare a testimoniare le radici della sua identità, come continente configurato dal dono di Cristo e della Chiesa.

E dunque, in questo senso, lo sforzo della Chiesa, in questo momento, è aiutare i paesi europei a non perdere la consapevolezza della missione universale dell’Europa come portatrice di questo messaggio del Vangelo e della saggezza che il Vangelo ha portato riguarda la dignità dell’uomo, i diritti dell’uomo.

Mi pare che ci sia una missione e una consapevolezza che deve essere mantenuta. È per questo motivo che la Chiesa cerca di aiutare anche i politici e coloro che prendono le decisioni riguardo al futuro economico, dalla sua prospettiva della fede, a sostenere lo sforzo per il bene comune e per la missione universale dell’Europa.

Come prefetto della Congregazione dei vescovi, quale è la sua prima preoccupazione per l’Europa?

Card. Ouellet: È urgente educare. Quando si perde il senso della famiglia, quando ci sono questi dibattiti etici sulla natura del matrimonio, uno si chiede come possano i genitori e la scuola trasmettere l’eredità cristiana alle nuove generazioni: è una preoccupazione profonda. Perché sotto la crisi economica e finanziaria, c’è una crisi della visione dell’uomo, come ha sottolineato quest’assemblea. La Chiesa cerca di attirare l’attenzione su quel che è in gioco.

Se l’immagine dell’uomo stesso, creato a immagine di Dio, che è la base dell’educazione cristiana, si perde, allora non abbiamo più modelli, e questo implica o suppone delle conseguenze gravi per i giovani: mancanza di ideali, di riferimenti, di modelli di persone.

È una grande preoccupazione, e perciò la mia Congregazione, che si occupa di aiutare la Chiesa a scegliere uomini di fede che abbiano una visione chiara dell’antropologia biblica, che la Chiesa deve annunciare e proporre al mondo di oggi.

Il messaggio è recepito o meno a seconda delle latitudini, ma in questo momento l’Europa è un luogo di grande lotta per quanto riguarda l’uomo, l’antropologia. Ed è da sperare che l’antropologia cristiana, che si è sviluppata nel contesto europeo, sarà anche mantenuta in questa lotta soprattutto sulle questioni etiche. E in questo modo, gli altri continenti potranno continuare a ricevere dall’Europa quel che hanno sempre ricevuto da lei.

[Traduzione dal francese a cura di Paul De Maeyer]

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ZENIT Staff

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