L'umanità, medicina per il pianeta

Un libro denuncia chi vuole salvare l’ambiente eliminando gli uomini

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di Anna Bono

ROMA, domenica, 22 febbraio 2009 (ZENIT.org).- All’inizio di febbraio Jonathon Porritt, consulente ambientale del Governo britannico e presidente della Commissione inglese per lo sviluppo sostenibile, è intervenuto in materia di global warming di origine antropica ammonendo i propri connazionali a una procreazione responsabile: per evitare un comportamento “antiecologico”, in sostanza, ogni coppia, calcolando che in media un cittadino di Sua Maestà nel corso della vita consuma un’estensione boschiva delle dimensioni di Trafalgar Square, non dovrebbe generare più di due figli.

Convinto che contraccezione e aborto debbano essere alla base delle politiche anti global warming, Porritt si è espresso inoltre a favore di iniziative che scoraggino dall’avere figli le donne molto giovani e quelle che non desiderano davvero diventare madri, per evitare alla Terra un inutile sovraccarico di nuovi nati destinati a consumare e a inquinare affrettando l’esaurimento delle risorse, l’alterazione dell’ecosistema planetario e il suo surriscaldamento.

Considerato che non si ha la minima idea degli andamenti climatici futuri – ma forse, più che un aumento delle temperature, ci attende un periodo di raffreddamento – e che comunque il fattore umano sembra incidere in misura quasi irrilevante su di essi, investire capitali in programmi di decremento demografico invece di destinarli a prevenire e risolvere eventuali problemi legati alle variazioni climatiche può rivelarsi una scelta sbagliata sia per il genere umano che per il mondo naturale.

La prospettiva di Porritt è quella degli ambientalisti cosiddetti “catastrofisti”: per intenderci, quelli che vedono comunque in ogni azione umana un danno perché necessariamente comporta un consumo di energia e materie prime e una modifica dell’ambiente che, in quanto generata dall’uomo, viene giudicata un’insidiosa interferenza rispetto a un equilibrio sapientemente conservato dalla natura.

Ma c’è invece chi si pone in una prospettiva del tutto diversa e afferma che “l’uomo è la soluzione, non il problema”. Allora la denatalità non soltanto è superflua ai fini del contenimento delle variazioni climatiche, ma diventa un rischio perché tenta di rimandare l’esaurimento di minerali, metalli ed energia diminuendo la popolazione umana, senza capire che la principale risorsa del pianeta è proprio l’uomo con la sua creatività, la sua inventiva, le sue aspirazioni e la sua costante tensione verso nuovi traguardi.

Di questo avviso sono Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, dei quali è appena stato pubblicato “I padroni del pianeta” (Piemme, 2009, pp.205), quarta opera dedicata a smascherare le “bugie degli ambientalisti”, a verificarne le teorie tramite analisi rigorose e a criticare l’ideologia che le ispira.

In realtà, come emerge dalla lettura del testo, spesso non c’è neanche bisogno di analisi elaborate per invalidare le teorie ambientaliste: basta il buonsenso.

Ecco un esempio. Gli eco-catastrofisti hanno messo a punto un metodo per misurare il peso di cui persone e Nazioni gravano la Terra: lo chiamano “impronta ecologica”. Meglio viviamo (in case grandi e finemente arredate, ben vestiti, dotati di mezzi di trasporto rapidi e confortevoli, sollecitati da mille stimoli culturali e sociali a spostarci spesso, affollando teatri, biblioteche, cinematografi, parchi naturali, aeroporti e così via), più produciamo ricchezza (moltiplicando il nostro benessere materiale e intellettuale) e tanto maggiore è la nostra impronta ecologica: alla quale si aggiunge appunto il “peso” ulteriore dei figli che generiamo.

Il primato di produzione e benessere spetta ovviamente all’Occidente e quindi è soprattutto la popolazione occidentale che deve decrescere e ridurre lavoro e consumi accettando di vivere una vita molto più modesta, sul modello del resto dell’umanità.

Siccome però i Paesi “ricchi” producono l’80% delle risorse mondiali, dalle quali dipende l’esistenza di centinaia di milioni di persone che vivono nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, impoverite dal malgoverno di classi dirigenti incapaci, corrotte e irresponsabili, diradare la popolazione occidentale e indurla a lasciare un’impronta ecologica più lieve porta per forza a ridimensionare il flusso di cibo, medicinali e risorse a sostegno dello sviluppo destinati al resto dell’umanità…. uno scenario di cui ciascuno può ben immaginare le conseguenze.

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ZENIT Staff

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