L’opera pù grande è l’incontro con Cristo

Don Stefano Alberto spiega il desiderio di cose grandi

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 25 agosto 2010 (ZENIT.org).- Di fronte ad un auditorium pieno fino all’inverosimile, con le immagini che si diffondevano negli schermi giganti diffusi in tutti i padiglioni della Fiera, martedì 24 agosto, al Meeting di Rimini, don Stefano Alberto, docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha spiegato in che modo il cuore spinge gli uomini a desiderare cose grandi.

“Realisticamente – ha sostenuto don Alberto – senza l’aiuto gratuito di Cristo, l’uomo non riesce a vivere a lungo senza farsi del male” e “di questa fragilità approfitta sempre il potere”.

Si tratta di “una fragilità di cui il potere approfitta per ridurre l’ampiezza infinita dei desideri dell’uomo e illuderlo che possa trovare soddisfazione in risposte parziali”.

Secondo il docente della Cattolica è “con la fede che l’uomo raggiunge la certezza della felicità” per questo motivo “l’amicizia di Cristo è per l’uomo un’esperienza possibile”.

L’amicizia e la compagnia cristiana – ha aggiunto don Alberto – “è il luogo in cui l’esperienza di quella novità inizia a manifestarsi nel tempo come albore, vale a dire che non si tratta di una promessa mondana”.

Cercando di andare a fondo sul tema scelto dal Meeting di quest’anno, che è “quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore”, il docente della Cattolica ha precisato che “l’opera più grande a cui accenna il Signore è, in ogni tempo, in ogni cultura, in ogni frangente storico, il cambiamento, la rinascita dell’io nell’incontro con Cristo e la sua libera appartenenza a Lui”.

“Solo così – ha sottolineato don Alberto – i cristiani possono sperimentare la realtà in modo nuovo ricco di verità, carico di amore. Questo sguardo nuovo è il contributo fondamentale del cristiano al mondo”.

Per il sacerdote, “anche se il cuore dell’uomo tentato dal sogno può atrofizzarsi riducendo l’ampiezza infinita di suoi desideri” è pur sempre fatto “per la felicità”.

Il docente della Cattolica ha quindi fatto riferimento a come don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, spiegava le pulsioni del cuore.

Secondo don Giussani il cuore ha bisogno del reale per funzionare “è qui che emerge come autocoscienza” ed è sempre don Giussani che suggerisce l’identità tra cuore e ragione perché “quest’ultima si attua quando è colpita, non quando si impone”.

“Il cuore – sostiene don Giussani – è il luogo dell’affectus, ma l’affectus non è antitetico alla ragione, è l’aspetto ultimo della ragione”.

“Si può affermate – ha spiegato don Alberto – che per don Giussani cuore si identifica con ragione, che è coscienza della realtà nella totalità dei suoi fattori”.

Nel pensiero di don Giussani, ha continuato ancora, “Gesù Cristo si rivela come una presenza che corrisponde in modo eccezionale ai desideri più naturali del cuore e della ragione umani. Davanti al ‘vieni e seguimi’, pescatori, peccatori, sapienti, politici, sono stati chiamati a decidere se aderire al vero più che alla propria idea o al proprio tornaconto”.

Don Alberto ha quindi concluso citando una lettera scrittagli da don Andrea Anzani, un suo amico missionario laico di Comunione e Liberazione, morto due anni fa: “Occorre che qualcuno si innamori di ciò che ha innamorato noi, ma per questo noi dobbiamo bruciare, letteralmente ardere di passione per l’uomo, perché Cristo lo raggiunga”.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione