L’omelia e la sua formatività interiore e sociale

di Ernesto Borghi*

 

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LUGANO, venerdì, 17 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Anche i padri sinodali riuniti a Roma in questi giorni lo hanno in buona sostanza riconosciuto: nelle celebrazioni eucaristiche troppe sono le omelie del tutto inadeguate, perché prolisse, o moralistiche, generiche o, comunque, improvvisate, insomma non radicalmente bibliche. Il comune denominatore di tutte queste “performances” è, a mio avviso, almeno il seguente: sono poco o per nulla attente a proporre il commento, ad un tempo, serio ed esistenziale, di una parte – non necessariamente di tutte – le letture bibliche proposte nella Messa.

Certamente il momento omiletico è uno dei più ardui nella formazione cristiana sia nella preparazione che nell’esecuzione. Il singolo presbitero “protagonista” deve, in pochi minuti, aiutare ascoltatrici ed ascoltatori – che concelebrano con lui un rito culminante nella memoria attiva dell’Ultima Cena del Signore – a leggere la Parola di Dio per lasciar interpellare la propria e altrui vita da essa. È senz’altro un compito assai difficile, in primo luogo per quanto attiene alla capacità di tradurre nozioni esegetiche ed ermeneutiche in una comunicazione comprensibile che orienti alla meditazione per la vita.

Cionondimeno quanti sono i presbiteri che dedicano un tempo congruo, nel corso della loro settimana, ad approfondire perlomeno i testi biblici della celebrazione eucaristica domenicale? Quanti di loro hanno il tempo, la sensibilità interiore, la curiosità intellettuale e le risorse economiche per aggiornarsi in modo significativo? A quale scopo? Per sviluppare la capacità di leggere la Bibbia, dall’esegesi alla cultura quotidiana contemporanea, per “annunciare il Vangelo in un mondo che cambia”. Lo si deve riconoscere: «il grosso rischio è… di “parlar d’altro”, “divagare altrove”, “ricamare bellurie” invece di andare diritto al cuore dei problemi e delle persone». D’altra parte quanti sono i cosiddetti “fedeli medi” che sollecitano e interpellano il prete sulla qualità delle sue omelie? Le ragioni sono varie. Indubbiamente giocano un ruolo assai importante l’ignoranza biblica, più o meno ampia, di molti frequentatori delle Messe anzitutto festive e la loro scarsa consapevolezza circa la possibilità e la necessità di interagire con chi presiede il rito anche sotto questi punti di vista.

L’apporto di religiose, laiche e laici solidamente formati sotto il profilo biblico e teologico (e oggi vi sono tante persone che hanno una formazione migliore di quella di non pochi presbiteri) non potrebbe contribuire positivamente a questo momento della celebrazione eucaristica? Esso non pare proprio “estraneo” al sacerdozio battesimale comune dei fedeli. Inoltre la ricchezza del vissuto quotidiano di persone diverse dai soli presbiteri, non di rado privi purtroppo di una carica d’interazione umana significativa e di un contatto effettivo con le esigenze e le questioni fondamentali della vita comune, potrebbe incrementare notevolmente l’interpretazione della vita secondo le Scritture Che la liturgia eucaristica tout court e la celebrazione del sacramento della riconciliazione debbano rimanere affidate esclusivamente ai presbiteri mi pare legittimo, anzi doveroso, ma che ciò concerna anche la predicazione nella liturgia della Parola nella Messa mi sembra una forzatura di carattere “disciplinare” che con le fonti bibliche originarie non ha alcun rapporto… Non è serio nè ammissibile – come, invece, avviene nello stesso Instrumentum Laboris sinodale – parlare della necessità che tutte le componenti ecclesiali abbiano accesso all’annuncio della Parola e, alcune pagine dopo, restringere tale accesso ai soli presbiteri nella Messa, ossia nel momento di contatto con la Parola stessa più endemico che esista…

Forse, in certe zone d’Europa, lo spirito comunionale del Concilio Vaticano II e del cammino ecclesiale successivo non è entrato nel cuore e nella mente di molti al punto da far riflettere sull’importanza di ricorrere a chi presbitero o diacono non è per commentare le Scritture anche nella liturgia della parola eucaristica… O forse, molto più tristemente, la carenza di presbiteri non è, in talune zone occidentali, ancora così “drammaticamente” marcata da far pensare che la Chiesa possa vivere anche secondo equilibri e prospettive differenti da quelle dei secoli precedenti…

• D’altra parte sussiste un numero ancora nutritissimo di Messe a fronte di un novero sempre più ridotto di presbiteri. Chi tra costoro è in grado di garantire lo stesso livello di coinvolgimento e partecipazione alla quarta o quinta celebrazione eucaristica tra il sabato e la domenica? Anche per questa ragione si tratta di moltiplicare gli sforzi perché tutte le componenti del popolo di Dio abbiano pari dignità e l’educazione cristiana orienti effettivamente in questa direzione.

• Comunque, in tutte le circostanze nelle quali gli stessi presbiteri, per anni, presiedono le stesse Messe domenicali di fronte, in larga misura, sempre alle stesse persone, sarebbe possibile realizzare un vero e proprio progetto formativo, tanto semplice quanto immediatamente attuabile. La ciclicità dell’anno liturgico nella Chiesa cattolica, – sia pure con le differenze che esistono ed esisteranno sempre più in futuro, per quanto attiene alla Chiesa cattolica occidentale, tra rito romano e rito ambrosiano -, permette di strutturare un vero e proprio percorso di “catechesi domenicale”. In esso, certamente non sul breve periodo, ma a medio termine, si può contribuire ad accrescere notevolmente la sensibilità dei presenti verso una lettura biblica più matura e capace di orientare la propria esistenza, in evidente, stretta continuità con i valori affermati, giorno dopo giorno, domenica dopo domenica, dalla memoria dell’Ultima Cena.

Gli strumenti bibliografici esistono copiosamente. La possibilità di congegnare qualche strumento ad hoc per parrocchie, vicariati e zone pastorali è alla portata di qualsiasi ufficio catechistico o per il culto divino anche delle diocesi più piccole e meno dotate di risorse culturali in proposito.

Certo: oggi si fa molto più che in passato, ma si dovrebbe e potrebbe fare molto, molto di più e molto meglio. Anzitutto per togliere dal cuore e dalla mente di troppi presbiteri l’idea di non dover continuare ad approfondire i testi biblici, anche quando gli anni della formazione seminaristica sono più o meno lontani. E per far diminuire sempre più il numero dei fedeli che, mentre sembrano ascoltare l’omelia, pensano chiaramente ad altro, perché, in definitiva, quel momento della celebrazione eucaristica non sta toccando la loro vita in modo costruttivo e stimolante sotto il profilo del Vangelo di Gesù.

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* Il prof. Ernesto Borghi è docente di esegesi biblica al Corso Superiore di Scienze Religiose di Trento e all’Istituto di Scienze Religiose a Bolzano, nonché presidente dell’Associazione Biblica della Svizzera Italiana e coordinatore della formazione biblica nella Diocesi di Lugano. Di recente ha curato insieme a Renzo Petraglio il volume “La scrittura che libera. Introduzione alla lettura dell’Antico Testamento” (Borla Edizioni, Roma 2008, 512 pagine, 38 Euro) ed ha pubblicato “Il Tesoro della Parola. Cenni storici e metodologici per leggere la Bibbia nella cultura di tutti” (Borla Edizioni, Roma 2008, 144 pagine, 16 Euro).

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ZENIT Staff

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