"L'Italia non entri nel grande mercato internazionale dei figli"

Dopo la condanna di Strasburgo sull’utero in affitto, una campagna chiede al Governo italiano di continuare ad opporsi a questa moderna forma di schiavismo

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L’ennesimo colpo di piccone sulla legge 40 è giunto da Strasburgo, lo scorso 27 gennaio. I giudici della Corte europea dei Diritti dell’Uomo hanno infatti sanzionato l’Italia per aver tolto a una coppia il bambino nato due anni prima, in Russia, attraverso maternità surrogata.

La vicenda ha inizio quattro anni fa. I due coniugi italiani di 55 e 43 anni, dopo aver tentato invano di avere figli anche con la fecondazione artificiale omologa, decidono di recarsi a Mosca e rivolgersi alla società legale Rosjurconsulting affinché istruisca la pratica per l’utero in affitto in cambio di un’ingente somma di denaro.

La pratica fa il suo corso e nel febbraio 2011 nasce il bambino dal ventre di una donna che si è offerta di portare a termine la gravidanza. La coppia torna in Italia e si reca nel proprio Comune di residenza per trascrivere l’atto di nascita del neonato. Ma in base alla legge 40 che vieta la maternità surrogata, i pubblici ufficiali negano la trascrizione in quanto il piccolo non ha legami biologici con nessuno dei due genitori (anche gli spermatozoi erano infatti stati acquistati da estranei).

In seguito viene aperta nei confronti della coppia una procedura per aver portato in Italia un bambino non loro senza rispettare la normativa sull’adozione internazionale. I giudici italiani, in considerazione dell’interesse superiore del bambino e del comportamento illegale dei due coniugi, decidono così di togliere loro il piccolo e di affidarlo ai servizi sociali. Inizia l’iter di adozione e nel 2013 il piccolo viene affidato a una famiglia in possesso dei requisiti richiesti dalla legge italiana.

La questione non finisce qui. I due coniugi si rivolgono alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo sostenendo che un’autorità pubblica ha esercitato un’ingerenza sul loro diritto alla vita privata e familiare, contravvenendo così all’art. 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (il quale, però, ammette tale ingerenza laddove essa “sia prevista dalla legge” nazionale o sia necessaria “alla protezione […] della morale”).

Con una sentenza del 27 gennaio 2015 la Corte ha dato ragione alla coppia. Le toghe di Strasburgo hanno stabilito che ogni Paese è libero di valutare autonomamente il tema dell’utero in affitto e hanno riconosciuto che i coniugi hanno messo in pratica un comportamento contrario al diritto italiano. Tuttavia, hanno anche sottolineato che quella di allontanare il minore affidandolo ai servizi sociali è una misura sproporzionata poiché i sei mesi passati con i due coniugi sono stati, per il piccolo, “un periodo che va a coprire tappe importanti della sua giovane vita” e “che ha visto (i due ricorrenti) assumere le vesti di genitori nei suoi confronti”.

Di qui l’obbligo nei confronti dell’Italia non a restituire il piccolo ai due coniugi – in quanto “il piccolo ha indubbiamente sviluppato dei legami emotivi con la famiglia d’accoglienza con cui vive dal 2013” – ma a risarcirli con 20mila euro per danni morali (loro ne avevano richiesti 100mila) e 10mila euro per le spese processuali sostenute.

Il caso in questione è solo la punta di un iceberg composto da tante coppie che ricorrono all’estero tentando di aggirare la legislazione italiana. È del novembre scorso il respingimento da parte della Corte di Cassazione del ricorso di una coppia che aveva avuto un figlio “affittando” un utero in Ucraina e che se l’era poi visto togliere da un Tribunale.

La Suprema corte ha fatto così rispettare il divieto di tale pratica contenuto nella legge 40. Divieto che tuttavia nell’aprile scorso fu dichiarato illegittimo da una sentenza della Corte costituzionale. La delicata questione è dunque oggetto spesso di sentenze, ma il tanto daffare da parte dei giudici fa da contraltare al silenzio che regna a Palazzo Chigi su questo come su altri temi cosiddetti etici.

È così la società civile a sollecitare un maggior impegno da parte del nostro Esecutivo affinché si faccia garante del diritto delle donne a non vedersi sfruttate nel loro corpo e del diritto dei bambini ad avere una mamma e un papà. È in questo che si colloca la petizione lanciata da Manif pour Tous Italia sul sito CitizenGo per chiedere al Governo italiano di ricorrere alla Grande Camera della Corte europea dei Diritti dell’Uomo contro questa sentenza.

Un modo, si legge nel testo della campagna, per evitare “che l’Italia faccia il suo ingresso nel grande mercato internazionale dei figli”. Mercato foriero di uno schiavismo moderno, come denunciato in un’intervista a ZENIT dalla prof.ssa Assuntina Morresi del Comitato Nazionale di Bioetica.

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Federico Cenci

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