"L'infanzia di Gesù" di Joseph Ratzinger e la Dottrina sociale della Chiesa (Terza parte)

Intervento di monsignor Giampaolo Crepaldi nella presentazione del libro a Trieste

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Venerdì 22 febbraio, alle ore 16.30, si è svolta a Trieste presso l’Aula Magna dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose la presentazione del libro “L’infanzia di Gesù” di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI. Riportiamo oggi la terza e ultima parte dell’intervento pronunciato da monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste. 

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La salvezza attesa fuori da Israele

Vorrei tornare su un punto che nella visione di Joseph Ratzinger è a mio avviso molto importante e sul quale è bene che non ci siano equivoci. L’apertura all’universalità della salvezza è già presente nel Vecchio Testamento e nella religione di Israele. Certamente c’è l’idea del “Regno di Davide” ma Israele va ben oltre l’idea di un “Dio nazionale”, che rimarrebbe all’interno delle divinità mitiche e della religione del mito. Questo è molto importante per dire che l’universalità del messaggio cristiano non è in contrasto con la religione di Israele, dentro la quale c’era la tensione verso il Dio vero ed unico. Il “Davide definitivo” valorizza e completa una attesa già presente nell’”Israele eterno”. 

La stesa cosa si può dire dell’incontro della fede con la ragione. L’universalità del messaggio cristiano richiede che esso si rivolga a tutti gli uomini in quanto uomini. Deve assumere il linguaggio degli uomini e non solo quello di una nazione o di una cultura. Del resto Dio stesso si fa uomo nel Bambino di Nazaret. Ora, anche questa dimensione che possiamo chiamare dell’incontro tra fede e ragione o della religione “dal volto umano”, non era estranea ad Israele, che fin da subito, e poi soprattutto per i richiami dei Profeti, non si pose alla ricerca di un Dio che lo rassicurasse dalle sue paure ma un Dio di verità e giustizia. Anche da questi punti di vista, quindi, il Nuovo Testamento non esclude il Vecchio, anzi, non ne può fare a meno. La Dottrina sociale della Chiesa non annuncia solo un Dio di salvezza, ma annuncia anche il Dio unico, vero e buono che ha creato tutte le cose secondo verità e bontà. 

Nel libro “L’infanzia di Gesù” questa dinamica propria della Dottrina sociale della Chiesa è presentata nel racconto della visita dei Magi a Betlemme. Il senso del racconto della visita dei Magi, secondo Ratzinger, è proprio questo: rispondere alla domanda di “come persone fuori di Israele potessero vedere proprio nel ‘re dei Giudei’ il portatore di una salvezza che li riguardava” (108). E’ evidente l’importanza di questa domanda per la Dottrina sociale della Chiesa, che non è un positivismo per i cattolici ma un discorso rivolto a tutti gli uomini. 

La risposta di Benedetto XVI è articolata. Cerchiamo di seguire questa articolazione. Dapprima egli fa notare che il termine “Magi” aveva almeno due significati principali. Mago poteva significare chi portava una “conoscenza filosofia e religiosa” (p. 109) oppure chi “si mette dalla parte dei demoni” (p. 110). La religione infatti, spiega Ratzinger, “può diventare la via verso una vera conoscenza” oppure diventare “demoniaca e distruttiva” (p. 109). I Magi del racconto evangelico appartengono alla prima categoria. Essi sono “sapienti” (p. 110) e “ricercatori della verità” (p. 112). Più in profondità essi “rappresentano l’attesa interiore dello spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo” (p. 113). 

Essi, quindi, riconoscono la “regalità di Cristo” . Si prostrano davanti al Bambino e i doni “sono un riconoscimento della dignità regale di Colui al quale vengono offerti” (p. 124). In Lui essi vedono il punto verso cui converge la storia e Colui che fa “parlare” il creato svelandone il senso originario. Tutto ciò, ancora una volta, non è senza collegamenti con il Vecchio Testamento, dato che Betlemme è la città dove era nato il re Davide e dove ora nasce il “Davide definitivo”. Questa regalità è riconosciuta dall’esterno di Israele e indica quindi la prospettiva universale del cristianesimo e contemporaneamente la convergenza in Lui delle religioni e della ragione umana in quanto tale. E’ un messaggio importante per la Dottrina sociale della Chiesa non solo sul piano del metodo, ossia del dialogo con tutti gli uomini sui problemi della convivenza sociale e politica, ma anche su quello dei contenuti in quanto questo dialogo viene svolto dentro la pretesa cristiana che la regalità del Bambino di Nazaret è la risposta alle attese dell’umanità.

Storia e fede ne “L’infanzia di Gesù”

Concludo questo mio intervento passando da alcuni temi contenutistici ad un aspetto del metodo adoperato da Benedetto XVI in questa trilogia su Gesù di Nararet e quindi anche in questo ultimo volume. Nella Introduzione al primo volume su Gesù di Nazaret, Benedetto XVI aveva enunciato il suo metodo esegetico. Con altre parole egli ne parlò anche nel discorso alla Commissione teologica internazionale del 1 dicembre 2009 sostenendo che solo la ragione che si apre al mistero diventa vera saggezza: «Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede, che ci hanno insegnato molte cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della storia della salvezza, ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo: che Gesù era realmente Figlio di Dio, che il Dio trinitario entra nella nostra storia, in un determinato momento storico, in un uomo come noi. L’essenziale è rimasto nascosto!». 

«C’è un duplice uso della ragione – proseguiva il Papa – e un duplice modo di essere sapienti o piccoli. C’è un modo di usare la ragione che è autonomo, che si pone sopra Dio: in questo metodo Dio non entra, quindi Dio non c’è. E così, infine, anche in teologia: si pesca nelle acque della Sacra Scrittura con una rete che permette di prendere solo pesci di una certa misura e quanto va oltre questa misura non entra nella rete e quindi non può esistere. Così il grande mistero di Gesù, del Figlio fattosi uomo, si riduce a un Gesù storico: una figura tragica, un fantasma senza carne e ossa, un uomo che è rimasto nel sepolcro, si è corrotto ed è realmente un morto. Il metodo sa “captare” certi pesci, ma esclude il grande mistero, perché l’uomo si fa egli stesso la misura: ha questa superbia, che nello stesso tempo è una grande stoltezza perché assolutizza certi metodi non adatti alle realtà grandi. È la specializzazione che vede tutti i dettagli, ma non vede più la totalità. E c’è l’altro modo di usare la ragione, di essere sapienti, quello dell’uomo che riconosce chi è; riconosce la propria misura e la grandezza di Dio, aprendosi nell’umiltà alla novità dell’agire di Dio. Così, proprio accettando la propria piccolezza, facendosi piccolo come realmente è, arriva alla verità. In questo modo, anche la ragione può esprimere tutte le sue possibilità, non viene spenta, ma si allarga, diviene più grande ». 

E’ questo il metodo che egli ha adoperato nella trilogia su Gesù di Nazaret. il suo punto di vista non è mai solo storico, ma presuppone sempre la verità della fede. In questo modo egli mostra come la luce della fede permetta di comprendere fino in fondo anche i fatti della storia e che non è tanto Gesù a mostrare il Messia ma il Messia a mostrare Gesù. I fatti rimarrebbero incomprensibili senza la luce della fede. Soprattutto essi rimarrebbero solo dei fatti ormai trascorsi e non avrebbero più nulla da dirci oggi. 

Ritengo che questo sia il metodo che dobbiamo adoperare nella conoscenza delle questioni sociali e nell’utilizzo della sapienza sociale, e quindi nell’uso opportuno della Dottrina sociale della Chiesa. Esaminare i problemi sociali solo in quanto tali, ossia con i connotati che le scienze umane ne danno, non produce nessuna sapienza sociale e, in realtà, rende ciechi anche per la pianificazione degli interventi, in quanto i veri problemi ci sfuggono. 

(La seconda parte è stata pubblicata domenica 24 febbraio)

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ZENIT Staff

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