"L'infanzia di Gesù" di Joseph Ratzinger e la Dottrina sociale della Chiesa (Seconda parte)

Intervento di monsignor Giampaolo Crepaldi nella presentazione del libro a Trieste

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Venerdì 22 febbraio, alle ore 16.30, si è svolta a Trieste presso l’Aula Magna dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose la presentazione del libro “L’infanzia di Gesù” di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI. Riportiamo oggi la seconda parte dell’intervento pronunciato da monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste. 

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La salute politica e la salvezza dai peccati

Ne “L’infanzia di Gesù” Benedetto XVI raccoglie con cura le “prove” della Divinità del Bambino, sullo sfondo dell’attesa di salvezza di Israele. Vorrei qui soffermarmi su due passaggi molto significativi del libro. 

Il primo è il “sì” di Maria. Con esso, dice il Papa, “inizia in senso proprio il Nuovo Testamento” (p. 36). Ma questo “sì” è “nella continuità della storia biblica della salvezza” (p. 37) e “Maria appare come la figlia di Sion in persona. Le promesse riguardanti Sion si adempiono in lei in modo inaspettato. Maria diventa l’arca dell’alleanza, il luogo di una vera inabitazione del Signore” (p. 38). “Maria diventa la tenda viva di Dio, nella quale, in modo nuovo, Egli vuole dimorare in mezzo agli uomini” (p. 39). Il Signore gli darà il trono di Davide suo padre, dice l’Angelo a Maria, e il suo regno non avrà mai fine. 

Il Nuovo Testamento nasce da un “sì” che rappresenta il compimento delle promesse davidiche e il Figlio dell’Altissimo sarà il “nuovo Davide”, il “Davide definitivo” (p. 106). Ma la situazione del popolo di Israele sembrava contraddire ampiamente questo adempimento della promessa. Scrive Benedetto XVI: “Questo lamento di Israele stava davanti a Dio anche nel momento in cui Gabriele preannunciava alla Vergine Maria il nuovo re sul trono di Davide … L’Angelo annuncia che Dio non ha dimenticato la sua promessa; ora, nel bambino che Maria concepirà per opera dello Spirito Santo, essa si avvererà. Il suo regno non avrà mai fine, dice Gabriele a Maria” (p. 40). 

La regalità divina del Bambino è presente in tutti i racconti evangelici dell’infanzia di Gesù e il libro di Benedetto XVI in ogni luogo lo ricorda. E’ una regalità che adempie in modo nuovo la promessa fatta a Davide e che crea quindi una salutare tensione tra i regni di questo mondo e il regno di Dio. Il Figlio dell’Altissimo è Re nel senso pieno del termine e proprio per questo non può essere ristretto a qualsiasi regno di questo mondo. Nella promessa a Davide era contenuta una apertura ad un inaudito sviluppo che ora si realizza. Cosa questo significhi per la Dottrina sociale della Chiesa e la costruzione della città degli uomini appare evidente nel secondo punto del testo che desidero esaminare. 

A Giuseppe l’Angelo dice: “Maria darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). La regalità divina del Bambino viene qui ribadita, egli è “collegato direttamente con il potere santo e salvifico di Dio” (p. 53). Ma questa promessa del perdono dei peccati sembra eludere il problema politico del momento e, insieme ad esso, la promessa fatta a Davide. Nulla si dice, infatti, della ricostruzione politica del regno di Davide. Scrive l’Autore: “La promessa del perdono dei peccati appare troppo poco e insieme troppo; troppo, perché si invade la sfera riservata a Dio stesso [il Bambino che rimetterà i peccati è Dio, ndr]; troppo poco, perché sembra non sia presa in considerazione la sofferenza concreta di Israele e il suo reale bisogno di salvezza” (p. 54). Ma la regalità salvifica del Figlio dell’Altissimo, che “salverà il suo popolo dai peccati” non esclude che questo abbia delle salutari, anche se non salvifiche, conseguenze anche sulla realtà del regno di questo mondo, senza tuttavia rinchiudersi in esso. Si può dire che la messianicità di Gesù sollevi tutti i problemi, anche quelli politici e legati alla convivenza umana, al loro nucleo fondamentale, senza del quale degradano. Bella ed opportuna la riflessione dell’Autore: “L’uomo è un essere relazionale. Se è disturbata la prima, la fondamentale relazione dell’uomo – la relazione con Dio -, allora non c’è più alcun’altra cosa che possa veramente essere in ordine. Di questa priorità si tratta nel messaggio e nell’operare di Gesù: Egli vuole, in primo luogo, richiamare l’attenzione dell’uomo al nocciolo del suo male e mostrargli: se non sarai guarito in questo, allora, nonostante tutte le cose buone che potrai trovare, non sarai guarito veramente” (p. 55). 

Nell’attesa messianica di Israele c’era una tensione politica che non era solo politica e che non avrebbe potuto trovare risposta solo politica. Nella Torah, sembra dire Ratzinger, c’è un elemento salvifico universale che trova realizzazione solo in una Nuova Alleanza. Questa, però, non soffoca né nega la “legge vecchia” – come temeva Neusner nel primo volume – ma la solleva ad un altro livello, l’incontro con Dio in Gesù di Nazaret, dalla cui relazione deriverà saldezza per ogni altra relazione umana. La Dottrina sociale della Chiesa è espressione ed annuncio di questa Nuova Alleanza. La signoria di Cristo è saldamente posta e, con essa, anche la responsabilità umana. 

I due piani della politica e della religione

Se in virtù delle promesse davidiche il Nuovo era atteso ancora in forme legate alla legge e alla stirpe, l’ambito politico non emergeva ancora nella sua legittima autonomia, pur adombrandola. Ora, con Gesù, la signoria di Cristo è, come dicevo, saldamente posta e con essa, però, anche la responsabilità umana. La descrizione dell’evento della nascita di Gesù, svolta nelle pagine 79-94 de “L’infanzia di Gesù” è densa di importanti riflessioni al riguardo. 

Come sempre Papa Ratzinger mostra l’ascendenza veterotestamentaria della nascita di Gesù, “nuovo inizio” (“colui che inaugura una nuova umanità”, p. 84) ma anche “compimento”. Qui lo fa in modo particolare sviluppando il concetto di “primogenitura”. “Maria – si legge in Lc 2,7 – diede alla luce il suo figlio primogenito”. Dio aveva chiesto per sé i figli primogeniti di Israele (Es 13,1s). La primogenitura di Gesù ha quindi un significato legato alla storia di Israele. Ha anche un significato cosmico in quanto “primogenito di tutta la Creazione” (Col 1,15). Il Bambino primogenito viene quindi da lontano e conferma, nel momento stesso in cui rinnova, la storia e il creato. 

Conferma, nel momento in cui rinnova. Ratzinger approfitta di questo concetto per spiegare come ciò che appartiene alla storia umana e deriva dalla natura degli uomini dipende già dal Primogenito ed è da Lui alimentata, ma questo non toglie lo spazio alla libertà umana e all’utilizzo degli strumenti naturali. Viceversa, la libertà umana e l’utilizzo degli strumenti naturali non sono mai completamente indipendente dal Primogenito: “Non potremmo amare se prima non fossimo amati da Dio. La grazia di Dio sempre ci precede, ci abbraccia e ci sostiene. Ma resta vero anche che l’uomo è chiamato a partecipare a questo amore, non è un semplice strumento, privo di volontà propria, dell’onnipotenza di Dio. (pp. 90-91). 

Questa visione getta una luce nuova sulla dimensione della politica. L’uomo è capace di costruire la pace. Al tempo della nascita di Gesù, fa notare Ratzinger, vigeva la pax romana dell’imperatore Augusto. Ma anche quella pace, segnalata come un fatto encomiabile dagli storici, non era vera pace: ”In realtà, anche nel periodo aureo dell’impero romano la sicurezza giuridica, la pace e il benessere non erano mai fuori pericolo, né mai pienamente realizzati. Basta uno sguardo alla Terra Santa per riconoscere i limiti della pax romana” (p. 92). Per questo alla politica il messaggio cristiano assegna la sua responsabilità, a patto però di non divinizzare se stessa e promettere cose che non può mantenere, perché in
questo caso essa si priverebbe della luce di Dio. 

(La prima parte è stata pubblicata sabato 23 febbraio. La terza e ultima parte segue domani, lunedì 25 febbraio)

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ZENIT Staff

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