L'incontro tra Benedetto XVI e i vescovi USA

Il Papa chiede che ragione e fede tornino ad incontrarsi

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di Stefano Fontana
Direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van thuan sullaDottrina Sociale della Chiesa

ROMA, giovedì, 26 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Il discorso che Benedetto XVI ha tenuto giovedì scorso ad un gruppo di vescovi degli Stati Uniti in visita ad limina può essere considerato una piccola summa del rapporto tra fede e politica e un invito ai credenti per un impegno coerente. Quattro insegnamenti stringati, di grande efficacia espressiva ed esportabili in qualsiasi altro contesto sociale e politico. Un esempio di chiarezza dottrinale e pratica. Il punto di partenza del Papa è stata l’idea che “La nostra tradizione non parla a partire da una fede cieca, bensì da una prospettiva razionale che lega il nostro impegno per costruire una società autenticamente giusta, umana e prospera alla nostra certezza fondamentale che l’universo possiede una logica interna accessibile alla ragione umana”.

E’ il tema ratzingeriano per eccellenza: non siamo sperduti in un universo senza senso, dalla realtà emana una luce e un linguaggio che noi possiamo “capire” e che ha per noi valore prescrittivo: si tratta della legge naturale. Essa “non è una minaccia alla nostra libertà, bensì una “lingua” che ci permette di comprendere noi stessi e la verità del nostro essere, e di modellare in tal modo un mondo più giusto e più umano”. Quando ascoltano questa “lingua” i credenti ascoltano la stessa voce che ascolano anche tutti gli altri uomini, perché si tratta di una grammatica naturale. Essi però sanno che questa voce è in qualche modo la voce del Creatore e questo dà loro una sicurezza in più che, quando la ragione si annebbia e le ideologie o gli interessi prendono il sopravvento, rinforza l’ascolto di questa legge e la sua osservanza. I cristiani non solo non possono contraddire la legge naturale, ma pensano di doverne rinforzare il sostegno alla luce della rivelazione, perché “non esiste un regno di questioni terrene che possa essere sottratto al Creatore e al suo dominio”.

Quest’ultima frase di Benedetto XVI riprende la Gaudium et spes del Vaticano II. Come si sa, questa costituzione è stata spesso interpretata come se impostasse in modo nuovo rispetto alla tradizione precedente l’“autonomia” del mondo rispetto alla religione. Benedetto XVI prende proprio spunto da essa per dire che tale autonomia non può essere intesa come “completa autonomia” in quanto la religione cristiana ha come vocazione propria di non permettere che si sottraggano le questioni terrene al dominio del Creatore. In quanto terrene esse hanno un loro grado di autonomia e non si confondono con il regno di Dio, ma in quanto dipendenti dal Creatore esse richiedono per loro natura che la religione cristiana abbia un ruolo pubblico. E’ una esigenza interna alla stessa legge naturale, infatti, non perdere la dipendenza da qualcosa di più grande ed assoluto, perché in questo caso essa cadrebbe in balia delle deformazioni causate dagli interessi umani.

E’ questo uno degli aspetti su cui Benedetto XVI ritorna più spesso: l’esigenza della ragione di aprirsi alla fede va di pari passo con il compito della fede di confermare e purificare la ragione. Questo comporta, secondo quanto Benedetto XVI ha detto ai vescovi americani, che la Chiesa comprenda a tutti i livelli la gravità delle minacce che il moderno secolarismo pone a questo ruolo pubblico e che si manifestano soprattutto come limitazione della libertà di religione, tollerata al massimo come libertà di culto, ma non come libertà di coscienza (negli Stati Uniti i vescovi stanno conducendo una dura battaglia per l’obiezione di coscienza del personale sanitario in caso di aborto). Comporta poi anche, e conseguentemente, la “necessità di mantenere un ordine civile chiaramente radicato nella tradizione giudaico-cristiana” e questo a sua volta richiede che i laici comprendano “la loro responsabilità personale di dare una testimonianza pubblica della loro fede, specialmente per quanto riguarda le grandi questioni morali del nostro tempo”.

Un’ultima cosa è degna di nota in questo discorso di Benedetto XVI. “La preparazione di leader laici impegnati e la presentazione di un’articolazione convincente della visione cristiana dell’uomo e della società” sono da lui considerati “componenti essenziali della nuova evangelizzazione”. La Chiesa non esiste per far andare bene le cose del mondo ma per salvarlo e quando si propone di salvarlo allora contribuisce a fare andare bene anche le sue cose mondane. Chissà quanti laici cristiani impegnati in politica intendono il loro lavoro come “componente essenziale della nuova evangelizzazione”.

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ZENIT Staff

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