L'imposizione delle mani nelle Ordinazioni

È possibile la concelebrazione di più vescovi alla consacrazione di un nuovo sacerdote?

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Nella sua rubrica settimanale di liturgia, padre Edward McNamara LC, professore di Liturgia e decano di Teologia presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, risponde oggi alla domanda di un vescovo in Africa.

Alcuni anni fa presi parte all’ordinazione di un sacerdote ed erano presenti cinque vescovi, con un gran numero di sacerdoti. I vescovi imposero le mani per primi, e successivamente i sacerdoti. Credetti che fosse la norma. Un po’ di tempo dopo mi trovai in una diocesi vicina per l’ordinazione di un sacerdote, e notai che stavolta solo il vescovo ordinante aveva imposto le mani, seguito dai sacerdoti presenti. Gli altri due vescovi presenti non imposero le mani. Questo mi fece riflettere in termini di simbolismo liturgico. L’imposizione delle mani da parte dei sacerdoti riconosce l’ammissione del neo-ordinato sacerdote nel presbiterio; allo stesso modo, l’imposizione delle mani da parte di tutti i vescovi nell’ordinazione episcopale simboleggia l’accoglienza del neo-ordinato vescovo nel collegio dei vescovi. Sarebbe quindi corretto dire che nell’ordinazione di un sacerdote, per rispetto al simbolismo liturgico, solo il vescovo ordinante (più il suo ausiliario, se ne ha uno; o il vescovo emerito della diocesi, se ce n’è uno) dovrebbe imporre le mani e non gli altri vescovi presenti?

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In questo caso il nostro lettore, che peraltro è vescovo, ha già inquadrato correttamente la questione, collocando il rito dell’imposizione delle mani da parte di altri che non siano il vescovo ordinante (o i vescovi ordinanti) come dimostrazione dell’ingresso in quel particolare grado di sacerdozio.

Questa è un’antica tradizione, che è ancora oggi riflessa nelle rubriche dell’ordinazione. La fonte principale di questa usanza è la cosiddetta Tradizione apostolica di Sant’Ippolito di Roma, scritta all’incirca nell’anno 215 ma che rispecchia usanze già ben radicate. Gli studiosi di oggi hanno posto in dubbio l’autenticità della paternità di questi testi e tendono a collocare la loro composizione nel Medio Oriente piuttosto che a Roma. Essi sono tuttavia ampiamente concordi riguardo alla data della composizione e l’influenza che ha avuto sulla successiva pratica liturgica nella Chiesa universale.

Per quanto riguarda l’elezione e l’ordinazione dei vescovi, il testo reca:

“2. Si ordini vescovo colui che è stato eletto da tutto il popolo. Quando sarà stato detto il suo nome, ed egli sarà stato gradito a tutti, il popolo si riunirà, assieme al collegio dei preti e ai vescovi che sono presenti, in giorno di domenica. Col consenso di tutti, (i vescovi) gli impongano le mani, e il collegio dei preti assista in silenzio. Tutti conservino il silenzio e preghino nel loro cuore per la discesa dello Spirito Santo. Uno dei vescovi presenti, a richiesta di tutti, imponga le mani a colui che viene ordinato vescovo, e preghi con queste parole…”.

Riguardo all’Ordinazione di un sacerdote la Tradizione Apostolica dice:

“8. Ma quando si ordina un prete, il vescovo imponga la mano sulla sua testa, mentre lo toccano i preti, e dica parole simili a quelle indicate più sopra, come abbiamo detto per il vescovo. E dica questa preghiera…”.

Infine, quando si tratta dell’ordinazione diaconale, l’autore offre ulteriori dettagli circa il significato dell’imposizione delle mani:

“9. Quando si ordina un diacono, lo si scelga come è stato detto più sopra e il vescovo solo gli imponga le mani allo stesso modo. Poi comandiamo che nell’ordinazione del diacono il solo vescovo imponga le mani, perché egli non è ordinato al sacerdozio, ma al servizio del vescovo, per fare ciò che questi gli ordina. Infatti egli non prende parte al consiglio del clero, ma amministra e indica al vescovo ciò che è necessario. Egli non riceve lo Spirito comune al collegio dei presbiteri, del quale i preti partecipano, ma egli fa ciò che gli è affidato sotto il potere del vescovo. Perciò soltanto il vescovo faccia il diacono. Sul prete invece, anche i preti devono imporre le mani, a causa dello Spirito comune alla loro carica. Il prete, infatti, ha il potere di riceverlo, non già di darlo. Per questo motivo egli non ordina il clero ma, all’ordinazione di un presbitero, egli sigilla mentre il vescovo ordina. Sul diacono (il vescovo) dica…”.

Fondamentalmente questa è ancora la pratica comune nella Chiesa, anche se con alcuni cambiamenti rispetto a Ippolito.

Per esempio, piuttosto che avere un solo vescovo ordinante un nuovo vescovo come nella Tradizione Apostolica, l’attuale legge canonica richiede che siano presenti almeno tre vescovi. In questo modo il vescovo ordinante è sempre accompagnato da due co-ordinanti. È vero che un solo vescovo è sufficiente per la validità dell’ordinazione, ma la Santa Sede da una dispensa da questa norma solo in casi straordinari come in tempi di persecuzione o in contesti missionari. Questa ultima situazione era più comune in passato ma è alquanto rara al giorno d’oggi.

Questa legge obbedisce anche a un’antica pratica che assicura la successione apostolica e simboleggia l’unione dei vescovi con l’intero Collegio. In questo modo il Canone 13 del Concilio di Cartagine (394 d.C.) stabilisce: “un vescovo non deve essere ordinato se non da molti vescovi, ma se vi è necessità potrà essere ordinato da tre”. Oltre ai tre vescovi, il rito prevede anche che tutti gli altri vescovi presenti impongano le mani su chi che viene ordinato. Nessun altro dovrebbe farlo.

All’ordinazione di un sacerdote, sostanzialmente solo il vescovo ordinante impone le mani sull’ordinando per conferire lo Spirito Santo. Tutti i sacerdoti presenti o – se sono troppi – un gruppo rappresentativo, impongono anche loro le mani sul candidato come segno della loro comunione nell’unico sacerdozio di Cristo.

In teoria, un altro vescovo che capita di essere presente, non deve partecipare alla simbolica imposizione delle mani, innanzitutto perché il rito stesso stabilisce chiaramente che dev’essere fatto dai sacerdoti; e secondo, in modo da non creare confusione col rito dell’ordinazione episcopale.

Questa mia risposta viene appoggiata dal responso a un dubbio in merito pubblicato su Notitiae nel 1980 dalla Congregazione per il Culto Divino.

La domanda era: durante un’Ordinazione sacerdotale, un vescovo che assiste può partecipare all’imposizione delle mani, accompagnando il celebrante principale e con lui quindi recitare la parte essenziale della preghiera consacratoria?

Per questo quesito, la Congregazione per il Culto Divino consultò la Congregazione per la Dottrina della Fede, che replicò che non doveva essere fatto, o che non era di alcun vantaggio (non expedire).

Se il numero di candidati lo giustifica, un altro vescovo o vescovi possono assistere nei riti complementari quali porgere il calice e la patena e l’unzione delle mani.

A un’ordinazione diaconale solo il vescovo ordinante impone le mani sul candidato.

[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]

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I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.

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Fr. Edward McNamara

Padre Edward McNamara, L.C., è professore di Teologia e direttore spirituale

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