L’etica dell’aborto: quando l'essere umano non è una persona

Christopher Kaczor affronta la questione da una prospettiva filosofica

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di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 27 marzo 2011 (ZENIT.org).- I fautori del diritto all’aborto spesso accusano gli avversari di voler imporre le loro credenze religiose agli altri. La religione effettivamente fornisce argomentazioni forti al dibattito, ma questo va ben al di là dei soli aspetti di fede, come dimostra un recente libro.

Christopher Kaczor, nel suo libro “The Ethics of Abortion: Women’s Rights, Human Life and the Question of Justice” (ed. Routledge), dà una prospettiva filosofica alla questione dell’aborto e spiega perché non è eticamente giustificabile.

Uno dei punti chiave affrontati da Kaczor riguarda i confini del concetto di persona. Alcuni fautori dell’aborto sostengono che è possibile distinguere gli esseri umani dalle persone. In questo senso, Mary Anne Warren sostiene che per potersi dire persona, l’essere umano deve soddisfare una serie di criteri.

A suo avviso le persone sono tali in quanto hanno coscienza degli oggetti e degli eventi, e la capacità di sentire dolore. Le persone hanno anche la capacità razionale e la capacità di auto-motivarsi a determinate attività, oltre alla capacità di comunicare.

Replicando a tali argomentazioni, Kaczor sottolinea che, se si usassero questi criteri, sarebbe difficile sostenere l’illegittimità dell’infanticidio, poiché il neonato non li soddisfa tanto quanto non li soddisfa un feto non nato.

Peraltro, non cessiamo certo di essere persone quando stiamo dormendo o sotto sedazione per intervento chirurgico, anche se in quei momenti non siamo coscienti o in movimento. Inoltre, neanche coloro che sono affetti da demenza o che sono disabili soddisferebbero i criteri di Warren per la definizione di persona.

Localizzazione

Un altro approccio usato per giustificare l’aborto è quello fondato sulla localizzazione all’interno o all’esterno dell’utero. Ma secondo Kaczor, l’essere persona va ben oltre la questione della localizzazione. Tra l’altro, se dovessimo adottare questo approccio, ne seguirebbe che in caso di fecondazione in vitro, il nuovo essere avrebbe lo status di persona, che perderebbe nel momento dell’impianto nell’utero, per poi riacquistarlo nuovamente alla nascita.

D’altra parte vi sono casi di chirurgia fetale in cui talvolta il feto è estratto dall’utero. Se dovessimo determinare la qualità di persona dalla sua esistenza al di fuori del grembo, allora dovremmo dire in questi casi che il feto nel grembo non è persona, che diventa persona quando è posto fuori dall’utero e che poi perde nuovamente lo status di persona quando vi è reinserito, per riacquistarla infine alla nascita.

Escludendo quindi la localizzazione come criterio per la definizione di persona, Kaczor considera poi se la qualità di persona possa essere acquisita in qualche momento tra il concepimento e la nascita. L’elemento della vitalità, ovvero se il feto in utero è potenzialmente capace di vivere fuori dal grembo materno, è stato considerato dalla Corte suprema degli Stati Uniti, nella nota sentenza Roe contro Wade, come uno degli elementi per determinare se i feti umani siano meritevoli di tutela giuridica, osserva l’autore.

Ma anche questa posizione presenta dei problemi, secondo Kaczor. Per esempio, i gemelli congiunti talvolta dipendono l’uno dall’altro per vivere e tuttavia sono entrambi considerati persone.

Il criterio della vitalità pone anche un altro problema, perché nei Paesi benestanti, con servizi sanitari evoluti, i feti diventano vitali prima di quelli dei Paesi poveri. E i feti di sesso femminile diventano vitali prima dei feti maschi. Ma le differenze di sesso e di benessere dovrebbero avere ripercussioni sullo status di persona?

Un altro approccio è quello di considerare l’acquisizione della capacità di soffrire dolore o di sentire piacere come criterio per attribuire il diritto alla vita, prosegue Kaczor. Ma anche questo non è sufficiente, secondo l’autore, poiché esclude tutti coloro che si trovano sotto anestesia o in coma. Inoltre, aggiunge, alcuni animali hanno questa capacità, eppure noi non riteniamo che abbiano un diritto soggettivo alla vita.

Una possibile riserva, per questa argomentazione, porterebbe a dire che non tutti hanno la capacità di sentire piacere o dolore e che quindi solo coloro che hanno una maggiore sensibilità e una capacità più sviluppata di perseguire interessi sono da considerare persone, spiega Kaczor.

Ma il problema, in questo caso, è che le persone differiscono molto in termini di sensibilità al dolore o al piacere ed è quindi difficile concludere che ciò possa costituire una base per compiere una radicale differenziazione concernente la qualità di persona o la titolarità di diritti.

Gradualismo

La risposta degli abortisti alle predette critiche è tratta dalla visione gradualistica, secondo Kaczor, in base alla quale, il diritto alla vita si rafforza gradualmente con l’avanzare della gravidanza e quanto più il feto diventa simile alle persone come noi, tanto più diventa suscettibile di protezione.

Ciò nonostante, secondo Kaczor esiste una differenza tra il diritto alla vita e gli altri diritti. Vi sono restrizioni di età per il diritto di voto, per guidare, per essere eletti ai pubblici uffici. Questo perché tali diritti implicano la capacità di svolgere le responsabilità che comportano.

Ma il diritto alla vita non contiene implicitamente alcuna responsabilità corrispondente e quindi può essere goduto a prescindere da qualsiasi requisito di età o di abilità mentale.

Un altro problema insito nel gradualismo è che lo sviluppo umano non si conclude affatto con la nascita. Se lo status morale fosse legato allo sviluppo psicologico, allora l’uccisione di un quattordicenne richiederebbe maggiore giustificazione dell’omicidio di un bimbo di sei anni.

La debolezza di tali argomenti, secondo Kaczor, ci porta a concludere che non esistono differenze eticamente rilevanti tra gli esseri umani nei loro vari stadi di sviluppo, tali da considerare alcuni come non-persone. Di conseguenza, la dignità e il valore della persona umana non inizia dopo la nascita, né in qualche momento durante la gestazione. Pertanto, tutti gli esseri umani sono anche persone umane.

La storia ci fornisce molti esempi della necessità di rispettare tutti gli esseri umani come persone dotate di dignità. Nessuno oggi, almeno in Occidente, secondo Kaczor, difenderebbe la schiavitù, la misoginia o l’antisemitismo. Siamo veramente legittimati a trattare alcuni esseri umani come inferiori alle persone, o saremo anche noi giudicati dalla storia come un ulteriore episodio della lunga serie di sfruttamenti dei deboli da parte dei più forti?

Concepimento

Ciò solleva la questione se gli esseri umani inizino la loro esistenza al momento del concepimento. Questa non è principalmente una questione morale, ma è una questione scientifica, secondo Kaczor.

Al riguardo, l’autore cita una serie di testi scientifici e medici, in cui si afferma che con il concepimento inizia una nuova vita umana e che con la creazione di un essere composto di 46 cromosomi avviene un cambiamento fondamentale.

Dopo il concepimento nessun agente esterno è responsabile dei cambiamenti che trasformano il neoconcepito organismo in qualcosa di diverso. È invece lo stesso embrione che si sviluppa per raggiungere i suoi successivi stadi di crescita.

“Parlando per analogia, l’embrione umano quindi non è un mero progetto dettagliato della casa che sarà costruita, ma è già una minuscola casa che costruisce se stessa per diventare più grande e più complessa, attraverso un’auto-sviluppo verso la maturità”, chiarisce Kaczor.

Gli altri capitoli del libro prendono poi in considerazione una serie di argomenti utilizzati dagli abortisti, che l’autore esamina, uno dopo l’altro, sottolineandone gli elementi di debolezza.

Per esempio è sta
to sostenuto che, poiché nei primi stadi di vita è possibile che si sviluppino dei gemelli, l’embrione non può essere considerato un essere umano individuale. Kaczor replica a questa argomentazione sostenendo che anche se un essere può essere diviso in due esseri, questo non significa che non sia mai stato un essere individuale.

Del resto, ha aggiunto, la maggior parte delle piante può dare vita ad altre piante, ma questo non significa che le prime non possano essere piante individuali e distinte dalle altre.

Il libro prende in esame anche le ipotesi più pesanti, come la gravidanza a seguito di stupro o incesto. In questi casi, la qualità di persona del feto – insiste Kaczor – non dipende dal modo in cui questo è stato concepito. “Sei quello che sei a prescindere dalle circostanze del tuo concepimento e della tua nascita”, sostiene.

Il lavoro profondamente ragionato di Kazcor contiene molte altre attente considerazioni, che lo rendono una valida fonte per tutti coloro che si battono per la tutela della vita umana.

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ZENIT Staff

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