L'eterno riposo per Lucio Magri

Commento sulla “morte assistita” di Lucio Magri, fondatore de Il Manifesto

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di Piero Gheddo

ROMA, giovedì, 1 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Leggo sui giornali “la scelta cosciente di darsi la morte” di Lucio Magri, uno dei fondatori del “Manifesto” nel 1969, che è andato da Roma in Svizzera per poter realizzare la sua “morte assistita” in modo legale. Soffriva di “un depressione vera, incurabile. Un lento scivolare nel buio provocato da un intreccio di ragioni pubbliche e private”. Aveva 79 anni. Ho pregato per lui: “L’eterno riposo dona a Lucio Magri, o Signore, splenda a lui la luce perpetua, riposi in pace. Amen”.

Ho brevemente conosciuto questo personaggio politico allora già famoso nella prima metà degli anni Settanta, in un dibattito all’Università statale di Milano, ricavandone un’impressione sostanzialmente positiva. Naturalmente non eravamo d’accordo sui rimedi alla miseria e alla fame di miliardi di uomini, ma ho ammirato la sua passione per la povera gente, la volontà espressa di dare tutta la sua vita per la realizzazione dei grandi ideali di giustizia e di eguaglianza che Mao Tze Tung esprimeva in quegli anni nella sua “Rivoluzione culturale” e nel suo “Libretto Rosso”, che avevo da poco letto nel primo viaggio fatto in Cina (aprile-maggio 1973). Magri aveva anche manifestato la sua ammirazione per i missionari e la loro opera di carità e di vita con i poveri. Il che mi aveva confortato e incoraggiato, in quell’ambiente sessantottino certo non ben disposto verso un prete che si presentava col suo colletto bianco e parlava dell’opera della Chiesa nel “terzo mondo” per portare il Vangelo, la vera soluzione alla miseria e alla fame nel mondo.

Ma allora, povero e caro Lucio, perché questo “scivolare nel buio” di una morte prematura, quando potevi ancora fare tanto per i poveri di tutto il mondo? La Repubblica scrive: “Magri voleva volare alto… ucciso da un’ambizione troppo grande…voleva cambiare il mondo e il mondo, negli ultimi anni gli appariva insopportabile smentita della sua utopia, il segno intollerabile di un fallimento, la constatazione amarissima della separazione tra sé e la realtà. Così le ali ha deciso di tagliarsele da sé, ma evitando agli amici lo spettacolo del sangue sul selciato”.

Il fallimento di un’utopia è evidente. Ma perchè il fallimento di una persona che nutriva sinceramente grandi ideali di bene, di giustizia, di pace, e veniva dal mondo democristiano bergamasco? La risposta l’ha data in quegli anni Paolo VI nel messaggio del Natale 1969: “I più grandi valori umani disgiunti da Cristo diventano facilmente disvalori”. Sentenza non facile da spiegare e da capire, ma la storia dell’uomo e dei popoli ne dimostrano la verità ogni giorno.

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ZENIT Staff

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