L'educazione alla legalità passa anche attraverso la cultura

Parla Matteo Cosenza, direttore del Quotidiano di Calabria

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di Chiara Santomiero

REGGIO CALABRIA, sabato, 16 ottobre 2010 (ZENIT.org).- “Da dove è realisticamente possibile cominciare a servire il bene comune dell’Italia in questa stagione nuova e tanto difficile?”. A questa domanda sono chiamati a portare il proprio contributo di riflessione e proposta i 1200 delegati riuniti a Reggio Calabria per la 46ma Settimana sociale dei cattolici italiani dal tema “Un’Agenda di speranza per il futuro del Paese”.

“Le conclusioni di queste giornate – ha avvertito il Comitato organizzatore – che ‘davvero’ non sono state già scritte, ma devono scaturire dal lavoro comune, andranno poi declinate nel contesto specifico di ogni territorio”.

Quale può essere la nozione di bene comune in un contesto particolare come quello della Calabria, che ospita l’appuntamento, segnato “dalla complessità di problemi vecchi e nuovi”, come ha affermato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, nella sua prolusione?

ZENIT ne ha parlato con Matteo Cosenza, direttore del Quotidiano di Calabria, che il 25 settembre scorso ha promosso una marcia di solidarietà per il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, più volte oggetto dell’intimidazione da parte della ‘ndrangheta. Alla manifestazione hanno partecipato 40 mila persone, rappresentanti del mondo dell’associazionismo, del volontariato, degli enti territoriali, delle associazioni di categoria, della politica, della scuola e dell’Università.

Non solo lavoro

I dati Istat dello scorso settembre sulla disoccupazione al sud non aprono alla speranza: il 13,4% di disoccupazione complessiva (al nord è del 6,1); senza lavoro un ragazzo tra i 15 e i 24 anni su tre e circa una su due le giovani donne. Una situazione che ha ricadute pesanti sul territorio sotto diversi aspetti.

“Molti giovani – spiega Cosenza – vengono assoldati dalla ‘drangheta; i due principali clan calabresi rivali contano l’uno 700 e l’altro 800 dipendenti nella sola Rosarno”. Ma non è solo la mancanza di lavoro a determinare questa situazione: “molto si gioca sullo status symbol che comporta l’appartenza al clan: un uomo di ‘rispetto’, che veste bene, ha soldi da spendere nel contesto di una sotto-aggregazione sociale che a suo modo ‘funziona’”.

“Non possiamo considerare questi ragazzi – afferma Cosenza – come dei ‘nemici’; pur non assolvendoli, che colpa hanno loro di una scelta quasi obbligata in un contesto in cui mancano altri modelli di riferimento altrettanto autorevoli?”. “Ben vengano, quindi – prosegue Cosenza – 1000 o 10 mila posti di lavoro – è drammatica l’idea di una generazione che rischia di invecchiare senza aver mai lavorato – ma senza un contesto in cui sia presente una cultura della legalità diffusa, la ‘ndrangheta non scomparirà”.

L’impegno educativo

Anche i vescovi, nel documento “Per un paese solidale. Chiesa italiana e mezzogiorno” hanno indicato la sfida educativa diretta ai giovani come “la più decisiva per lo sviluppo integrale del Sud”. Un’educazione “al gratuito e persino al grazioso, e non solo all’utile e a ciò che conviene; al bello e persino al meraviglioso, e non solo al gusto e a ciò che piace; alla giustizia e persino alla santità e non solo alla convenienza e all’opportunità” (n.17).

“E’ proprio in questo – concorda Cosenza – che si gioca l’elaborazione di una cultura diversa che cambia l’approccio al proprio territorio, alla famiglia, al panorama, al mare, ai paesi”. “L’educazione alla legalità – afferma il direttore del Quotidiano di Calabria – non passa solo attraverso lezioni, incontri con i magistrati, l’acquisizione di contenuti, ma attraverso l’arte, il riconoscimento della storia da cui si proviene, delle proprie peculiarità culturali, qualcosa di più profondo che diventa per i giovani calabresi un’idea nella quale credere per non essere sopraffatti dalla violenza o dall’intimidazione del contesto che li circonda”.

“La coralità dell’impegno di tutti verso questo traguardo – si appassiona Cosenza – deve diventare come una grande bandiera dietro la quale riunire tutte le forze”. Insostituibile, in questa direzione, “un ruolo forte della comunità ecclesiale, che continui a parlare a voce alta anche attraverso le molteplici esperienze educative e di intervento concreto sul territorio che la caratterizzano”. “E’ molto importante – afferma Cosenza – la scelta di far svolgere la Settimana sociale dei cattolici proprio a Reggio Calabria: è un messaggio di fiducia e di speranza per tutti i calabresi riguardo al fatto che il cambiamento è possibile”.

Un contesto che cambia

Sono numerosi i segnali di un contesto che vuole affermare una voglia di cambiamento. “La stessa tensione che ha portato a un intensificarsi degli attentati – suggerisce Cosenza – indica che c’è un protagonismo positivo di magistratura, forze dell’ordine, istituzioni statali ‘fedeli’, società civile che preoccupa l’organizzazione mafiosa”. “La novità in questo campo – prosegue Cosenza – è rappresentata dall’avvicinarsi ‘pericoloso’ delle indagini non tanto ai ranghi della ‘ndrangheta, quanto ai ‘santuari’ della collusione, a quella cosiddetta ‘zona grigia’ della società che è responsabile dello stato delle cose non meno degli appartenenti veri e propri alle cosche”.

“La marcia di solidarietà per il procuratore Di Landro – spiega Cosenza – rappresenta una novità assoluta, un fatto che può considerarsi storico”. Infatti “in una regione come la Calabria in cui storicamente lo Stato, non senza qualche ragione, è stato avvertito spesso come un ‘nemico’, il fatto che 40 mila persone sfilino insieme in segno di solidarietà per un suo rappresentante, indica davvero un cambiamento”. “Se la ‘ndrangheta è tanto radicata sul territorio – spiega ancora Cosenza – è proprio perchè alligna in un tessuto culturale che non riconosce le istituzioni come il ‘proprio’ Stato: la marcia ha posto un segno nettissimo di inversione di tendenza”.

Cosa rimane per “l’Agenda di speranza” della Calabria di questi fermenti? “Un valore acquisito – afferma Cosenza -: c’è una Calabria onesta, in cui convergono tante posizioni diverse a livello civile, culturale, politico, che si riconosce in un’idea di bene comune fondato su valori insopprimibili: per prima cosa la libertà di scegliere un lavoro, di aprire un’attività, di vivere la propria vita senza subire costrizioni ed intimidazioni”. “Se avremo la capacità – conclude Cosenza – di mettere in rete tutti questi ‘pezzi’ isolati di buona Calabria, comprese le tante esperienze del mondo cattolico, cambiare sarà veramente possibile”.

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ZENIT Staff

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