L'eco di Lampedusa

Un avvocato esperto di immigrazione parla dell’impatto negli USA della visita di papa Francesco nell’isola

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Lunedì scorso, Papa Francesco ha compiuto il suo primo viaggio apostolico a Lampedusa, tappa ricorrente per i migranti che tentano di entrare in Italia. Si stima che circa 20mila migranti abbiano perso la vita in mare, nel tentativo di raggiungere l’isola.

Portando la materia dell’immigrazione sotto una luce completamente diversa, la visita del Pontefice ha riempito i giornali di tutto il mondo: da “problema” è diventato “situazione difficile” per gli immigrati.

L’omelia di Papa Francesco ha toccato il nervo scoperto della questione, quando si è soffermato sulle parole del Signore a Caino: “Dov’è tuo fratello?”. Attraverso le tue parole e la sua visita, il Santo Padre ha cercato di portare la riconciliazione tra i residenti di Lampedusa e gli innumerevoli migranti africani che continuano ad arrivare nel paese, passando per l’isola.

In un certo senso, la situazione a Lampedusa è un microcosmo che fa sfondo a un crescente dibattito sull’immigrazione e sulla riforma dell’immigrazione in Europa e in particolare negli Stati Uniti. ZENIT ha parlato con Cesar Martin Estela, cattolico e avvocato in materia di immigrazione, originario di Newark, New Jersey, sul impatto del viaggio del Santo Padre a Lampedusa e la sua rilevanza in materia di immigrazione.

Qual è stata la sua reazione iniziale alle parole di Papa Francesco sulla difficile situazione dei migranti? Le è capitato di incontrare persone alle prese con problemi come quelli descritti dal Santo Padre?

Estela: Sono totalmente d’accordo con le sue dichiarazioni. (Dott. MLK, Jr.: “In qualsiasi luogo l’ingiustizia è una minaccia alla giustizia ovunque”). Come nazione e, in un contesto più ampio, come paese, ci siamo dimenticati di un dovere non scritto posseduto dagli ultimi della nostra società. [“Una civiltà si misura da come tratta i suoi membri più deboli” Winston Churchill e Mt 25:41-46 (Qualunque cosa avete fatto al più piccolo di questi, lo avete fatto a me)].

I migranti rientrano molto facilmente in questa categoria. In America, sono diffamati, considerati un capro espiatorio, incarcerati, arrestati senza motivo, pagati con salari più bassi, discriminati, ridicolizzati, schedati razzialmente, e non sono in grado di partecipare alla democrazia. Fanno parte della società (lavorano in posti di lavoro rigorosi, di solito posti di lavoro che nessun altro può riempire, ne raccolgono i frutti, curano i figli, senza molte delle tutele sul lavoro di cui godono altri membri della società). La motivazione per un immigrato a venire in una terra lontana è molto forte. Un immigrato lascia tutto quello che conosce, ama, e cura: la sua città, il suo quartiere, i suoi amici, la sua famiglia, il suo lavoro, la sua chiesa, e viaggia in autobus, in barca, in auto, in aereo o a piedi per centinaia se non migliaia di chilometri. La migrazione coinvolge la stragrande maggioranza dei cittadini del mondo: i messicani, i peruviani, i sudanesi, i libici, i tunisini vanno incontro a un non piacevole calvario, con il grande fastidio di dover passare la dogana. Ho incontrato molte persone che hanno subito terribili viaggi per arrivare in America semplicemente per riuscire a nutrire e vestire la loro famiglia. Hanno scelto di sfamare la loro famiglia, ma non possono essere con la loro famiglia.

Come migrante, come avvocato sull’immigrazione, come un cittadino degli Stati Uniti (paese di immigrati, esili religiosi, ecc.) e come cattolico (cittadino “universale” o cittadino dell’umanità), sento il dovere nei confronti della difficile situazione degli immigrati. Posso entrare in empatia con gli altri immigrati, posso razionalizzare le loro motivazioni e le paure; posso simpatizzare con le loro cause e sono in grado di aiutarli in questo calvario profondamente personale, terrificante e complicato che è la migrazione forzata. Credo che la parabola del buon samaritano sia rivelatrice perché sottolinea la mancanza di malevolenza che la maggior parte di noi sente verso gli immigrati, ma anche la mancanza di azione di fronte alla sofferenza.

Quali sono gli stenti e le difficoltà dei suoi clienti che sono immigrati negli Stati Uniti?

Estela:Un giovane camminava da El Salvador a Miami a piedi per entrare negli Stati Uniti. Conosco una famiglia ecuadoriana a New Jersey la cui figlia di tredici anni è sparita per sei mesi, quando i coyote hanno smesso di rispondere a tutte le chiamate. La loro figlia si è trovata nello stato di Washington con una famiglia americana che l’ha trovata attraverso l’ufficio di stato sociale. La ragazza ha ora un trauma emotivo grave a causa della sua esperienza.

Conosco anche una ragazza di tredici anni che è stata forzata a viaggiare da sola negli Stati Uniti dopo aver visto tre suoi zii uccisi. C’era anche un altra mio cliente che cercava asilo per evitare la prostituzione forzata nel suo paese d’origine.

Nel suo lavoro come avvocato in materia di immigrazione, ha incontrato o confermato ciò che il Papa descrive come ‘l’indifferenza globalizzata’ quando si parla di migranti?

Estela: A livello ‘micro’ e ‘macro’, sì e no. Ci sono determinate politiche nazionali in atto oggi nel sistema di immigrazione che dimostrano la carità verso questi immigrati. Alcuni casi sono chiusi, altri casi non sono più riferiti alla deportazione, alcuni individui vengono rilasciati dalle carceri a causa dei loro legami familiari (questo non era normale alcuni anni fa) e ad alcuni uomini e donne che sono entrati da bambini è concesso lo status legale. Il campo politico, a Washington, il “problema” dell’immigrazione è analizzato da questa angolatura. Molti dirigenti eletti, che hanno una mente religiosa, partono con argomenti anti-immigrazione: non è un nostro problema se sono qui illegalmente e dovrebbero solamente partire; è ingiusto per gli immigrati avere uno status nel quale ci sia una ricompensa per aver infranto la legge o per premiare i loro bambini che sono entrati a minori con uno status giuridico in modo che possano partecipare pienamente all’unica società che conoscono. Molti individui si sentono giustificati nel negare ogni forma di status giuridico per gli undici milioni o gli stranieri senza documenti negli Stati Uniti, perché hanno infranto la legge per arrivarci (indipendentemente dalla motivazione: ho rubato una pagnotta di pane per trovare mio figlio). L’indifferenza globalizzata è palpabile quando senti che dirigenti eletti si schierano contro la concessione dello status legale a giovani uomini e donne che non hanno violato nessuna legge, hanno studiato negli Stati Uniti e si sono “americanizzati” in ogni modo (Sono la progenie di questo paese sia se concedi loro lo status legale oppure no). L’indifferenza globalizzata è palpabile quando apprendi del possibile utilizzo di droni armati sulla frontiera tra USA e Messico. L’indifferenza globalizzata è palpabile quando devi parlare con dirigenti di deportazione che si preoccupano poco o nulla del trauma psicologico ed emotivo impresso sulla persona che deve indossare un braccialetto alla caviglia. La loro risposta: “almeno lui non è in carcere”. Come se qualcuno deve essere grato al suo padrone per mantenerlo come schiavo. L’indifferenza globalizzata è palpabile quando gli immigrati privi di documenti ottengono una diversa applicazione della giustizia e delle regole in tribunale. L’indifferenza globalizzata è palpabile quando gli immigrati privi di documenti spesso scontano pene detentive per essere senza documenti che sono spesso volte più lunghe rispetto a quelle di chi ha commesso un violenza,  un furto o un reato di droga.

Ora che il Senato degli Stati Uniti ha votato a favore della riforma di immigrazione, ritiene che il prossimo passo per il governo sarà quello di indirizzarsi verso i bisogni di chi vive nel paese, cercando una vita migliore in America?

Estela: Io credo che l’immigrazione non sia un problema che sarà risolto rinforzando le frontiere
o con la sicurezza. Credo che l’immigrazione sia una risposta alle motivazioni sociali, politiche ed economiche del paese di origine degli immigrati. Non credo che gli Stati Uniti dovrebbero essere responsabili della risoluzione dei problemi di un altro paese, ma dovrebbero accettare il loro ruolo nel mondo, come faro di speranza per gli immigranti. Non dovrebbero essere visti come un peso, ma come una medaglia d’onore che il mondo ha concesso l’America. Il prossimo passo del governo è quello di creare un programma di immigrazione temporaneo per affrontare le conseguenze dell’immigrazione. Limitarsi a rimproverare gli immigrati e lamentare gli impatti negativi percepiti da parte degli immigranti stessi non è una soluzione legale.

In quale area del lavoro la sua fede entra in gioco e la sostiene o le dà anche delle intuizioni riguardo ai casi che lei tratta?

Estela: La dottrina sociale cattolica che è radicata in me, mi spinge a trattare i clienti e gestire i loro casi. Nel trattare con i clienti, io sono compassionevole, mentre ascolto a questi “ membri minimi della società”. Provo simpatia per le loro telefonate, le loro lamentele e i loro dilemmi personali. Ho un sacco di ragazze madri tra le mie clienti. Quindi, facciamoci due conti. Una ragazza madre, prova di documenti, svolge 2 o 3 lavori, subisce molestie sessuali, riceve bassi salari e lavora in condizioni di sfruttamento. Prende il bus o va a piedi, nel caldo soffocante e nel freddo pungente. So di essere compassionevole quando spiego le sue opportunità legali o le sue mancanze. So che spesso un immigrato vuole semplicemente essere ascoltato e preso in considerazione, quindi semplicemente lo ascolto al telefono mentre mi chiedono delle questioni legali che abbiamo prima affrontato.

Trattando i casi dinanzi al giudice di immigrazione o al servizio dell’immigrazione, cerco di rendere l’immigrante personale al giudice o arbitro. Non è solo un altro messicano, honduregno o cinese. Questo è troppo comune quando trattiamo i casi degli immigrati tutti allo stesso modo. Rendendo un caso personale, lo tolgo dalla zona dell’indifferenza.

Uno dei principi guida per me è l’unità familiare. Per la maggior parte degli immigrati, la scelta di rimanere negli Stati Uniti è in contrasto con la loro capacità di vivere con la propria famiglia (coniuge/figli). La mia fede mi aiuta a spiegare ai clienti che forse non hanno possibilità legali di restare negli Stati Uniti, che tornare a casa non è la fine del mondo e può essere il modo che Dio ha per aiutarli a salvare la loro famiglia da un pericolo molto più grande rispetto alla povertà.

Che messaggio porta la visita del Santo Padre a paesi, come per esempio gli Stati Uniti, che sono ancora lavorando su come trattare l’immigrazione e la riforma di immigrazione?

Estela: L’omelia e il messaggio del Papa Francesco reindirizzano la nostra attenzione nel trattare con il “problema dell’immigrazione” (credo che la maggior parte dei paesi in Europa e negli Stati Uniti ne parlano soprattutto in questi termini) per affrontare la difficile situazione degli immigrati. Ciò ci spinge a vedere altre nazioni come i nostri vicini del Sud / Nord / Est / Ovest. Si tratta di un invito a tutti noi (individualmente e collettivamente) a vedere gli immigranti come membri integranti della nostra “società” e a trattarli conformemente. Essa promuove un cambiamento del cuore e, di conseguenza, delle azioni (spingendo ad agire più come il buon samaritano e meno come il fariseo e il sacerdote). Nel contesto della riforma dell’immigrazione, considerazioni di base per una unità familiare degli immigranti, la capacità di restare al lavoro, viaggiare, ottenere la patente di guida, sono di primaria importanza, di modo che i più deboli tra noi possano godere di uguaglianza, rispetto, sicurezza e cura. Non sto nemmeno parlando di residenza o di cittadinanza, solo di documenti di base.

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Junno Arocho Esteves

Newark, New Jersey, USA Bachelor of Science degree in Diplomacy and International Relations.

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