L'ecclesiologia, questione chiave del dialogo ecumenico

Parla il Cardinale Koch, presidente del dicastero per l’Unità dei Cristiani

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CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 22 novembre 2010 (ZENIT.org).- Dopo 50 anni di esistenza del dicastero vaticano dedicato al dialogo ecumenico, è ora di compiere un bilancio del cammino percorso e di discernere quello futuro.

E’ uno dei punti essenziali della riflessione che il Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha compiuto durante il suo intervento all’Assemblea Plenaria del dicastero, lunedì scorso.

Il primo frutto di questo cammino, osserva il neo porporato, si raccoglie all’interno della stessa Chiesa cattolica: è il fatto che l’ecumenismo “non è più una realtà estranea” alla vita delle parrocchie e delle Diocesi.

“Questo ecumenismo di vita ha un’importanza fondamentale, perché senza di questo tutti gli sforzi teologici volti a raggiungere un accordo duraturo su questioni di fede fondamentali tra le varie Chiese saranno vani”, constata.

I passi compiuti verso l’unità, che il Cardinale Koch sottolinea come un processo “irreversibile” per la Chiesa cattolica, sono molti e incoraggianti, ma dopo molti anni il nodo del problema continua ad essere lo stesso: la concezione della natura della Chiesa, l’ecclesiologia.

In questo senso, sottolinea il porporato, “nonostante gli innegabili successi del dialogo ecumenico, ci troviamo, in un certo senso, al punto di partenza del Concilio Vaticano II”.

Ecclesiologia

La questione ecclesiologica è proprio uno dei punti focali del Concilio circa la stessa Chiesa cattolica. Ecumenismo ed ecclesiologia sono intimamente collegati: “l’ecumenismo era un importante filo conduttore del rinnovamento della Chiesa cattolica e della sua autocomprensione”.

Una delle questioni chiave del Concilio, ha spiegato il Cardinale Koch, è la relazione tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, e la questione del subsistit in.

Dal punto di vista ecumenico, con il plurale “Chiese” non si intendono le diverse Chiese locali in cui è presente la Chiesa una e universale, ma quelle comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica.

Il problema ecumenico “consiste nel segnalare in che modo la Chiesa cattolica può e deve comportarsi verso questo plurale, ‘Chiese’, che esistono al di fuori di essa”. Tale questione emerge sia nel dialogo con le Chiese ortodosse che, anche se in modo diverso, nel dialogo con le Chiese e Comunità della Riforma.

Ortodossi

“La definizione che più si addice all’ecclesiologia ortodossa è quella di ecclesiologia eucaristica, concetto sviluppato innanzitutto dai teologi russi in esilio a Parigi dopo la Prima Guerra Mondiale, in chiara opposizione al centralismo del papato della Chiesa cattolica-romana”, ha proseguito il porporato.

Tale ecclesiologia “sottolinea che la Chiesa di Gesù Cristo è presente e si realizza in ogni Chiesa particolare riunita intorno al suo Vescovo, nella quale si celebra l’Eucaristia”.

Per questo, al di fuori di un concilio ecumenico, non può esserci neanche un principio visibile di unità della Chiesa universale, a cui vengono attribuiti alcuni poteri giuridici, come quelli che la Chiesa cattolica riconosce nel ministero petrino.

Secondo l’ecclesiologia cattolica, invece, la Chiesa è sì pienamente presente nelle concrete comunità eucaristiche, ma la singola comunità eucaristica non è la Chiesa nella sua pienezza.

“Per questo, l’unità tra le singole comunità eucaristiche a loro volta unite al proprio Vescovo ed al Vescovo di Roma non è un ingrediente esterno all’ecclesiologia eucaristica, ma ne è la condizione essenziale”.

Il nodo del problema ecumenico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa risiede così nel fatto che “un’ecclesiologia legata alla cultura nazionale ed un’ecclesiologia cattolica orientata verso il concetto di universalità si trovano l’una davanti all’altra, finora in disarmonia”, ha sottolineato il presidente del dicastero vaticano.

Questa problematica “non a caso emerge nella sua maniera più acuta nella questione del primato del Vescovo di Roma, che, da una parte, come osservava Papa Paolo VI, rappresenta il ‘maggiore ostacolo’ per la ricomposizione della piena comunione ecclesiale con l’ortodossia e, dall’altra, agli occhi dell’attuale Pontefice, costituisce anche la ‘maggiore opportunità’ per lo stesso obiettivo”,

Secondo Benedetto XVI, “senza primato, anche la Chiesa cattolica si sarebbe da tempo disgregata in Chiese nazionali e sui iuris, che avrebbero reso confuso e complicato il paesaggio ecumenico”. Grazie al primato, è stato poi possibile “compiere passi vincolanti verso l’unità”.

“Per far avanzare le cose, sarebbe necessario, come ha sottolineato da tempo mons. Bruno Forte, che, da una parte, la Chiesa cattolica approfondisse ulteriormente l’idea che il primato del Vescovo di Roma non è una semplice appendice giuridica esterna all’ecclesiologia eucaristica, ma è un elemento che si fonda precisamente su questa, nel senso che la rete mondiale delle comunità eucaristiche ha bisogno di un servizio a favore dell’unità anche sul piano universale”.

Dall’altra, “la Chiesa ortodossa dovrebbe affrontare con determinazione il problema dell’autocefalia, perché di fondamentale importanza per il suo futuro e per l’ecumenismo, e cercare soluzioni adeguate, al fine di recuperare la propria unità interna e la propria capacità di agire in maniera concertata”.

In questo senso, nel dialogo ecumenico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa sull’ecclesiologia in generale e sul Primato del Vescovo di Roma in particolare “si sono compiuti passi incoraggianti nel corso degli ultimi decenni”, ha aggiunto, sottolineando l’importanza del lavoro della Commissione Mista negli ultimi anni.

Riforma

Il Cardinale Koch ha anche rilevato che il dialogo ecumenico con l’ortodossia “può avere un impatto positivo anche per quanto riguarda il superamento dei problemi ecclesiologici legati alla divisione occidentale della Chiesa”.

“Infatti, anche l’ecclesiologia della Riforma è imperniata sulla comunità locale concreta, come appare chiaramente in Lutero stesso”, per cui “l’ecclesiologia protestante trova anche oggi il suo punto gravitazionale nella comunità locale concreta: la Chiesa di Gesù Cristo è presente pienamente nelle comunità concrete che si riuniscono nella celebrazione liturgica intorno alla Parola e al Sacramento”.

Anche secondo l’ecclesiologia protestante le singole comunità sono in un rapporto di reciproco scambio, ha spiegato il Cardinale. “La dimensione trans-comunitaria della Chiesa esiste implicitamente, ma è secondaria, come lo è la dimensione universale della Chiesa”.

Per questo, la maggiore difficoltà su questo punto è “come possano rapportarsi, da una parte, l’ecclesiologia cattolica con la sua dialettica tra pluralità di chiese locali e unità della Chiesa universale e, dall’altra, l’ecclesiologia protestante, che vede nella comunità concreta la più autentica realizzazione della Chiesa, e come sia possibile pervenire ad un solido consenso nella materia”.

A complicare la situazione, si aggiunge il fatto che la dimensione sacramentale della Chiesa è un punto estremamente controverso, perché, “a differenza delle Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, la Chiesa cattolica ha un’ecclesiologia prettamente sacramentale”.

Un’altra questione che nel dialogo ecumenico dovrebbe essere chiarita da parte protestante riguarda il modo in cui oggi le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma concepiscono se stesse e come si autodefinisce la Riforma: come un conto alla rovescia del tempo moderno e come stella del mattino della modernità, in quanto rottura decisiva con il passato, oppure come uno sviluppo in fondamentale continuità con 1.500 anni di storia della Chiesa cristiana.

“È auspicabile che tale o
rientamento teologico riesca ad imporsi e che, con ciò, si possa trovare una risposta soddisfacente nella materia, anche in previsione dell’Anniversario della Riforma, che sarà celebrato nel 2017”, ha concluso il neo porporato.

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ZENIT Staff

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