L'Australia alle prese con BC e AD

La nuova programmazione scolastica prevede l’eliminazione di “avanti” e “dopo Cristo”

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di Paul De Maeyer

ROMA, giovedì, 8 settembre 2011 (ZENIT.org).- Da anni ormai si assiste nel mondo occidentale, in particolare in quello anglosassone, a tentativi da parte di cittadini singoli (atei e non), associazioni per i diritti civili o intere amministrazioni pubbliche di eliminare nel nome del “politicamente corretto” (l’espressione è d’altronde la traduzione letterale dell’inglese “politically correct”) dalla vita pubblica tutti i riferimenti (simboli inclusi) al cristianesimo o alla fede cristiana, perché ritenuti imbarazzanti o addirittura offensivi nei confronti dei non cristiani o non credenti.

Basta pensare, ad esempio, alla battaglia legale svoltasi negli Stati Uniti attorno al monumento dei Dieci Comandamenti collocato nell’estate del 2001 nell’atrio dell’Alabama State Judicial Building dall’allora giudice capo della Corte Suprema dello Stato, Roy Moore, o alla crescente moda nei Paesi anglosassoni di usare l’espressione neutrale “Holiday Season” o “Festive Season” (cioè la stagione delle vacanze o delle feste) per indicare il tempo natalizio.

Più vicino a noi, va ricordato il caso Lautsi v. Italia, cioè la causa legale avviata (e persa in via definitiva in secondo grado davanti alla Corte Europea per i Diritti dell’uomo il 18 marzo scorso) dalla cittadina italiana di origini finlandesi Soile Tuulikki Lautsi contro l’Italia per ottenere la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola frequentata dai suoi figli ad Abano Terme, in provincia di Padova.

Adesso è l’Australia del (vacillante) Primo Ministro laburista Julia Gillard che vuole aggiungere un nuovo capitolo alla crescente allergia, intolleranza o persino fobia nei confronti dei cristiani e della loro fede. Come rivelato nei giorni scorsi dal Daily Telegraph di Sydney (2 settembre), l’organismo responsabile della stesura dei programmi scolastici – l’Australian Curriculum, Assessment and Reporting Authority (ACARA) – ha deciso infatti di cancellare nei libri di testo le tradizionali diciture “BC” (“Before Christ”, cioè “avanti Cristo”) e “AD” (“Anno Domini” o “Nell’anno del Signore”, vale a dire “dopo Cristo”), sostituendole con termini più neutrali.

Secondo il piano delle autorità australiane, che sarebbe dovuto entrare in vigore già dal prossimo anno scolastico ma è slittato in seguito al coro di proteste, nei manuali scolastici si utilizzeranno solo le sigle “BCE” (“Before Common Era” o “Prima dell’era comune”) e “CE” (“Common Era” o “Era comune”). Le due diciture, che non modificano il sistema di datazione sulla nascita di Gesù Cristo come spartiacque della storia ma tolgono ogni riferimento esplicito al suo nome, non sono nuove. Risalgono infatti già al VI secolo, quando il monaco Dionigi il Piccolo (o l’Esiguo) introdusse “l’era cristiana” o “volgare”, ma sono diventate popolari solo verso la fine del XX secolo.

A complementare il cambiamento ‘epocale’ sarà l’espressione “BP” (“Before Present”, cioè “Prima del (tempo) presente”), una scala cronologica usata nel campo delle discipline archeologiche (la datazione tramite il carbonio-14 o radiocarbonio) e scientifiche (ad esempio nella geologia) e che per convenzione ha come punto fisso o “presente” l’anno 1950 dC.

La mossa da parte dei responsabili dell’ACARA ha suscitato una serie di reazioni negative, a cominciare dall’Arcivescovo anglicano di Sydney, Peter Jensen, che sul Daily Telegraph ha parlato di “un tentativo intellettualmente assurdo di cancellare Gesù dalla storia umana”.

“E’ assurdo – ha sottolineato l’esponente anglicano -, perché la venuta di Cristo rimane il punto centrale di datazione e perché la frase ‘era comune’ è priva di senso ed ingannevole”.

Netto è anche il rifiuto di un altro noto esponente protestante, il reverendo Frederick (“Fred”) Nile, che dal 1981 siede quasi ininterrottamente nell’Assemblea legislativa dello Stato del Nuovo Galles del Sud. Il reverendo, che è anche presidente del partito conservatore Christian Democratic Party (CDP), ha definito la scelta dell’organismo una “vergogna assoluta” e un “insulto finale”.

Anche il ministro ombra dell’Istruzione, Christopher Pyne, ha respinto l’iniziativa dell’ACARA, ricordando che “l’Australia è quella che è oggi” grazie alle “fondamenta della nostra Nazione nell’eredità giudeo-cristiana”. Nell’ottica del politico, che è deputato per il Partito Liberale (LP) nel parlamento federale di Canberra, “kowtowing” o “prostrarsi davanti al politicamente corretto” equivale a “negare quello che siamo come popolo”.

Altrettanto nette sono le parole del suo collega di partito, il deputato federale Alexander (“Alex”) Hawke. “Questo rappresenta l’ennesimo tentativo di riscrivere la nostra storia lungo le linee del politicamente corretto”, ha dichiarato (The Hills Shire Times, 6 settembre).

Pungente è stato il commento di un altro politico liberale, Mike Thomas, che presiede attualmente lo Hills Shire Council, nel Nuovo Galles del Sud. Secondo Thomas, la vicenda dimostra che “abbiamo troppi burocrati con troppo poco da fare”. “Non posso credere che il denaro dei contribuenti venga sprecato in questo modo”, ha aggiunto.

Da parte sua, il Ministro dell’Educazione del Nuovo Galles del Sud, Adrian Piccoli, ha dichiarato di non vedere la necessità della riforma. “Non è il mio ruolo come Ministro di microgestire il curriculum, ma sono del parere comune che (il cristianesimo) fa talmente parte della nostra cultura che non vedo alcun bisogno di cambiare le date”, ha detto il politico, membro del National Party (NP o The Nationals) (The Daily Advertiser, 4 settembre).

Il progetto per cancellare le diciture “BC” e “AD” arriva d’altronde in un momento in cui le scuole cattoliche sono molto richieste in Australia, anche tra le famiglie non cattoliche. Lo suggerisce almeno la situazione nello Stato del Sud Australia. Da una recente inchiesta è emerso che quasi 20.000 dei 48.783 studenti – cioè quasi la metà – iscritti nelle scuole cattoliche dello Stato non sono cattolici. Secondo il sito Adelaide Now (30 agosto), alcuni dei genitori in questione hanno dichiarato di essere attirati dalle scuole confessionali perché sono economicamente più accessibili e per il senso di comunione che spesso manca negli istituti scolastici del sistema pubblico. L’unico problema per i genitori non cattolici è che alle volte c’è più insegnamento religioso di quanto pensavano…

Come ha dichiarato il responsabile di Catholic Education South Australia (CESA), Paul Sharkey, l’afflusso di non cattolici pone le scuole cattoliche davanti a una sfida. “Da un lato, se ti concentri sulla fede cattolica e provi a imporre agli studenti le espressioni tradizionali – credenze, rituali o insegnamenti -, respingeranno semplicemente l’imposizione”, ha spiegato. “Dall’altro lato, se provi a tradurre le convinzioni cattoliche e le pratiche in termini facilmente comprensibili per gli studenti, corri il rischio reale di annacquare la fede cattolica”, ha continuato.

“La nostra sfida è quella di coinvolgere gli studenti con un vero e proprio dialogo tra fede cattolica e ciò che conta di più per loro nella loro vita”, ha concluso Sharkey.

Rimane la domanda: come si realizza questo dialogo se persino il nome di Cristo è un tabù?

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ZENIT Staff

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