L'attualità di Mosè in "Exodus – Dei e Re"

Tra effetti speciali e immagini spettacolari uniti ad un cast stellare, l’ultimo capolavoro di Ridley Scott dà nuova linfa all’Antico Testamento

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“Per 400 anni sono stati schiavi dell’Egitto, ma non si sono dimenticati del loro Dio… e Dio non si è dimenticato del suo popolo…”.

Non poteva esserci attacco migliore per “Exodus- Dei e Re”, ultimo capolavoro di Ridley Scott sulla storia di Mosè, uscito nelle sale cinematografiche italiane giovedì 15 dicembre 2015.

Il film prende spunto dal capolavoro del 1956 di Cecile B. De Mille, I Dieci Comandamenti, ma al tempo stesso lo rivoluziona e lo trasforma.

Exodus si lascia alle spalle i tratti distintivi del genere storico religioso (peplum), assumendo invece i caratteri di un film allegorico e storico-fantastico. La grandezza di quest’opera sta infatti nel non trattare solamente la storia di Mosè e dell’Esodo biblico, ma nel riportare in chiave allegorica tale storia e renderla attuale; così la conversione di Mosè e la liberazione del Popolo di Israele diventano la conversione e la liberazione di ognuno di noi.

Per fare tutto ciò il regista compie scelte audaci e coraggiose fin dal primo istante del film: lo spettatore viene catapultato in medias res all’interno del film, senza che vi sia alcuna introduzione circa la storia di Mosè e le sue origini. Quello di cui viene messo subito al corrente lo spettatore invece, è l’ambiguo rapporto tra il Profeta e Rhamses, due “fratelli”che oscillano tra l’amore e l’odio, tra il rispetto e il conflitto.

Non appena viene rivelata a Mosè (e quindi allo spettatore) la verità circa le sue origini, capiamo subito che il conflitto tra i due fratelli è allegoria del conflitto tra due popoli: il popolo egizio e il popolo ebraico.

Questa ambivalenza sarà la grande costante di tutto il film e lo renderà in un certo senso ambiguo e intrigante: dove finisce l’odio per un fratello che mi esilia, e dove inizia la volontà di liberare il mio popolo? Non a caso lo stesso Dio riprende più volte Mosè: “non li consideri ancora la tua gente?”. E se il profeta biblico non considera ancora gli ebrei come suo popolo, quello che ordina Dio perché lo esegue?

Da qui approdiamo alla seconda grande novità del film: la caratterizzazione di Mosè. Il patriarca nel film ha un forte carattere da condottiero, si potrebbe dire quasi bellicoso. Accettando con difficoltà la sua origine ebraica, Mosè accetta di rendere giustizia a tutti gli ebrei schiavi per mezzo anche di atti “crudeli”.

Il suo personaggio però entra in crisi, dubita dei mezzi con cui tenta di ottenere la libertà del suo popolo, teme che la violenza non porti alla giustizia, arriva a dire a Dio “non sono d’accordo!”, istaurando con Lui un rapporto personale, paritario.

Convive con la sua vena guerriera quella di padre e sposo modello, non a caso la scena del suo matrimonio è una delle più toccanti: “Amerò quello che già conosco di te e avrò fiducia per tutto quello che non conosco”. Per il gioco delle parti, gli è ovviamente contrapposto il fratello Rhamses: se nel profeta prevale la giustizia e l’altruismo, nel giovane faraone regna l’avidità e la paura di perdere il suo ruolo, tanto da dichiarare nel suo emozionante monologo: “vediamo se uccide meglio il tuo Dio o uccido meglio io”.

L’azzardo più grande che il regista fa rimane però la rappresentazione di Dio, il quale parla a Mosè sotto l’aspetto di un bambino.

Dalle sembianze miti e pacate, tipiche di un fanciullo, Dio si rivela vendicativo e intransigente: pur di liberare il suo popolo ormai schiavo da 400 anni, è pronto a punire severamente gli egizi, punizione che culmina con la decima piaga, la morte dei primogeniti. Le prime parole che rivolge a Mosè rendono immediatamente la sua natura e le sue intenzioni: “ho bisogno di un generale per combattere!”.

Anche qui, il contrasto tra il suo aspetto e il suo modo d’essere dona vigore e interesse al personaggio e a tutto il film. L’impianto delle scelte registiche è sorretto e coadiuvato da due grandi aspetti: le grandiose immagini e il cast di notevole spessore. Gli effetti speciali e la fotografia di grande impatto danno la possibilità al regista di rappresentare gli eventi nella loro doppia natura: realistica e spettacolare.

Ecco che alla concreta e impressionante corsa delle bighe, ricca di dettagli di notevole spessore tecnico come la sabbia che si alza dalle ruote e i raggi di sole che illuminano la scena, si contrappone la realizzazione delle dieci piaghe d‘Egitto, in cui vi è un vero e proprio tripudio di effetti speciali, un godimento per gli occhi.

In questo film anche il 3D acquista un valore aggiuntivo: a differenza di tanti film in cui tale tecnologia risulta inadeguata se non addirittura peggiorativa, in questa occasione assistiamo ad un 3D immersivo, in grado di proiettare lo spettatore all’interno del film, tra scenari esotici e battaglie sensazionali.

Il cast risulta perfetto in tutte le sue componenti, da Christian Bale nel ruolo di Mosè all’australiano Joel Edgerton nei panni di Rhamses. Ciò che colpisce sono in realtà le presenze e le interpretazioni di attori sensazionali in ruoli “minori”, come Ben Kingsley nelle vesti del capo tribù Nun e John Turturro nel ruolo del faraone Seti, in grado di rendere estremamente coinvolgenti anche tutte quelle scene in cui non troviamo i protagonisti.

Unica piccola nota di demerito è per noi italiani il doppiaggio, che in alcuni casi non è stato in grado di rendere tutte le sfumature dei personaggi, come in Mosè che risulta un po’ piatto, e in altri è stato eccessivo, come nel bambino/Dio in cui domina la componente capricciosa e infantile.

Con queste premesse e con questi mezzi, le scene acquistano un ulteriore livello di significato, allegorico per l’appunto. Lo gettare La spada che lo contraddistingueva come generale egizio da parte di Mosè, non è allora solo un gesto di rabbia, ma acquista il significato della rinuncia alla sua vecchia vita con tutti i suoi valori e l’abbraccio definitivo alla sua missione. Allo stesso modo, la lenta caduta della bandiera del Faraone verso i fondali del Mar Rosso, segna la fine di un impero, e l’inizio della salvezza del popolo d’Israele.

L’ultima frase che Dio dice a Mosè, al momento della consegna delle Tavole della Legge, racchiude il senso del film e la sua grande attualizzazione: “Noi due siamo qui a parlare ora, ma non sarà sempre così. Un condottiero può cadere, ma la pietra rimarrà sempre. Queste leggi guideranno il popolo sul tuo sentiero!”.

Oggi più che mai, queste parole possono risuonare nei cuori di tutti: l’uomo (e tutte le sue istituzioni), in quanto uomo, è destinato a cadere, forse anche a fallire, ma ciò che Dio comunica attraverso esso rimarrà sempre, poiché la perfezione è solo di Dio, e non dell’uomo.

Exodus – Dei e Re non rappresenta dunque solo un kolossal cinematografico, ma una lezione di storia per tutti gli uomini, e una grande catechesi per tutti i credenti.

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Gianluca Badii

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