L'attesa e la promessa

L’Immacolata Concezione, profezia di Salvezza

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di padre Mario Piatti icms,
direttore del mensile “Maria di Fatima” 

ROMA, giovedì, 6 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Tutti i popoli, da sempre, hanno manifestato – in una molteplice varietà di forme, di riti, di tradizioni – la presenza, la vicinanza e l’opera della divinità e hanno adorato i loro “numi” tutelari. Tutte le culture, con maggiore o minore chiarezza e coscienza, hanno attestato -e attestano tutt’ora- una apertura alla trascendenza, perché il nostro spirito è fatto per elevarsi alle cose del Cielo e, seppure a volte indistintamente, percepisce il richiamo e il fascino del Sacro. Nel famoso discorso all’Areopago (cfr. Atti 17) San Paolo parla del Dio ignoto, al quale gli Ateniesi avevano dedicato un altare, in mezzo alla “selva” dei loro dei: inconsapevole riferimento all’unico vero Dio, Creatore e Signore del mondo, che l’Apostolo annuncerà instancabilmente alle Genti. La stessa ragione umana, se non è “depistata” e viziata da condizionamenti ideologici, da preconcetti e dall’inganno delle nostre passioni, conduce necessariamente a Dio: dalla creazione si può risalire, grazie a una evidenza iscritta nel reale, all’artefice di ogni cosa (cfr. Rm 1,18 ss).

L’inquietudine dello spirito conferma l’innata disposizione, nel cuore dell’uomo, alla piena rivelazione di Dio nella Storia. Nel susseguirsi incessante di epoche e di generazioni, assetate di luce e di verità, ogni secolo vive, in un modo nuovo, l’esperienza di una attesa, pur gravida di mistero, ma rischiarata dal tenue chiarore della speranza. Ombre e luci si alternano e si intrecciano, costituendo il dramma del nostro vivere quotidiano.

Soprattuttoattraverso la Storia della Salvezza –scritta dal cuore e dalla eterna sapienza di Dio, sollecitando la generosa adesione del Popolo eletto- l’Altissimo si è rivolto all’uomo, preparando, nel tempo, l’avvento del Messia. Iahvé sembra non avere fretta: tutto dispone perché, nella pienezza dei tempi, il suo Figlio si incarni, divenga “uno di noi”. I Salmi, i Profeti, tutto l’AT preannunciano il futuro Redentore.

La storia di Israele è attesa della manifestazione di Dio, nel tempo (Incarnazione), e attesa del compimento definitivo (Parusia). La vita è il progressivo realizzarsi di tale attesa: questo è l’unico significato vero della Storia e della nostra storia personale:attesa di liberazione, di pace, di misericordia, di Bene; attesa che sempre più dal piano storico (politico, contingente) passa a quello spirituale, interiore (il nostro cammino personale) e comunitario (il Popolo di Dio, la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo).

Per comprendere il senso della Incarnazione del Verbo, della sua venuta “oggi”, nella nostra vita, occorre ritornare alle origini, a quella profonda e insanabile frattura prodotta, tra Dio e l’uomo, dal “mistero di iniquità” operante nel mondo: dal peccato.

Rileggiamo il capitolo 3 della Genesi: il peccato è una spaventosa catastrofe chetravolge tutto e tutti, guastando ogni rapporto, ogni preziosa trama affettiva della nostra umanità.Compromette e rovina l’amicizia con il Signore; cancella la nostra armonia interiore, provocando una frattura nella personalità umana (ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo); insinua il sospetto e la diffidenza reciproca; coinvolge il delicato rapporto con il creato: “Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo…”.

Il peccato stravolge il senso del dono e del progetto di Dio: la donna che tu mi hai posto accanto… è lei la causa del Male! mentre, poco prima, l’uomo aveva esclamato, sorpreso di fronte alla sua compagna: “Questa volta essa è carne della mia carne e osso dalle mie ossa” (Gn 2,23).

L’uomo sceglie se stesso, non si fida di Dio, ascolta altre voci (= il serpente). Si genera una spirale di violenza e di odio, il cui primo “frutto” perverso è il fratricidio (v. capitolo 4: Caino e Abele).

La morte è conseguenza diretta del peccato: ci si affida a ciò che non dà la vita, anzi a ciò che la toglie, la spegne. E può spegnerla per sempre, con la morte eterna, l’inferno: radicale desolazione, vuoto, “non-senso” scelto liberamente, rifiutando le continue proposte e ispirazioni di Dio. Terribile è la forza disgregante del male: una sola colpa grave ha in sé la potenzialità di renderci nemici di Dio per una eternità!

Nel tragico quadro di desolazione, che ci è offerto dal terzo capitolo della Genesi, si leva imprevista una parola profetica, una misteriosa promessa: “Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe… “ (<em>Gn 3,15). È il “protovangelo”, il primo accenno messianico della sacra Scrittura, l’indicazione di una futura salvezza. Al peccato si contrappone, da subito, una Grazia promessa, un futuro compiersi di Benedizione, attraverso una “lotta”, una inimicizia che attraverserà la storia dell’uomo e nella quale siamo tutti coinvolti.

A ogni colpa corrisponde, nel piano salvifico di Dio, la Grazia: il gratuito dono di Dio che ci raggiunge tramite “la donna” (Maria) e la sua stirpe (Cristo). In Maria, Cristo ha trionfato: ha vinto l’Amore, secondo la sua qualità “materna”. “Maria viene collocata al centro stesso di quella inimicizia, di quella lotta che accompagna la storia dell’umanità sulla terra e la storia stessa della salvezza… ella, che appartiene agli umili e poveri del Signore, porta in sé, come nessun altro tra gli esseri umani, quella gloria di grazia che il Padre ci ha dato nel suo Figlio diletto.. Maria rimane così davanti a Dio e anche davanti a tutta l’umanità come il segno immutabile e inviolabile della elezione da parte di Dio… questa elezione è più potente di ogni esperienza del male e del peccato…“ (Redemptoris Mater 11).

Il peccato, qualunque peccato, porta sempre in sé – con la meritata condanna – irrevocabilmente un richiamo alla Grazia promessa, che esige di essere accolta. E Maria si trova lì, sulla porta dell’abisso, nel cuore di quella lotta, per riconsegnarci al Cielo, per ricondurci al nostro destino.

Ecco perché la amiamo, la invochiamo, la veneriamo; ecco perché fiduciosi ci rivolgiamo a Lei, immacolata Madre di Misericordia e di Amore.

Adesso e nell’ora della nostra morte preghi per noi e interceda, per noi e per il mondo, la Salvezza.

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ZENIT Staff

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