L’ascolto apre le porte al Re

di Aurelio Porfiri*

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ROMA, martedì, 1° marzo 2011 (ZENIT.org).- Non molti giorni fa, mi sono trovato in un meeting per discutere sull’organizzazione di una certa celebrazione liturgica per un’importante ricorrenza di un’istituzione religiosa. I partecipanti, tutti ben intenzionati me incluso, cercavano di trovare un accordo sul come rendere questa celebrazione più “partecipata”. Ad un certo punto, ascoltate alcune opinioni, è cominciata a risuonare in me come una sirena d’allarme e mi sono improvvisamente irrigidito, come credo gli altri avranno notato.

Qual era il problema che aveva provocato questo stato? La solita vulgata sulla “partecipazione attiva”. Intendiamoci bene: la partecipazione attiva è principio sacrosanto, ma la versione della vulgata più o meno corrente, no. Per molti, inebriati dallo spirito del Concilio, partecipazione attiva significa che tutti devono fare tutto. Se tu non parli, canti o ti muovi più o meno dall’inizio alla fine, questo significa che tu non stai partecipando. Io credo sia così evidente che questa visione è veramente ristretta ma, si creda o no, essa domina tutti gli ultimi decenni dell’era (in) volgare. Naturalmente, non proprio tutti la pensano così ma sembra che questo atteggiamento sia così diffuso che è veramente difficile poterlo buttare giù. E’ ovvio che l’atteggiamento in questione è quello che ha decimato il canto del coro, laddove ancora esiste (il coro, intendo). Già, se il coro canta la “gente” non partecipa, il popolo non si sente parte della liturgia, l’assemblea mugugna…sarà vero? Innanzitutto vorrei rivelare qualcosa che malgrado la sua ovvietà si tende a non considerare propriamente: il coro non è solitamente composto da marziani o da esseri unicellulari ma è anch’esso composto di “gente, popolo, assemblea”. Diremmo che è una parte più qualificata dell’assemblea che svolge una funzione a nome di tutti. Questa funzione è articolata in varie responsabilità, dal guidare il canto dell’assemblea al proporre antifone e melodie varie fino all’arricchire la nostra comprensione dei testi sacri con composizioni piu’ elaborate. In tutte queste funzioni l’assemblea partecipa, in quanto anche ascoltare è partecipare.

Se io leggo un libro, mi sento coinvolto nel contenuto anche se non l’ho scritto io (se il contenuto è interessante, ovviamente). Perché quando ascolto un’omelia implicitamente sto partecipando mentre se ascolto un coro eseguire un brano pertinente alla celebrazione questo mi esclude? Sappiamo come i codici emozionali (quelli che la musica sa sollecitare così bene) abbiano una potenza più profonda di quelli puramente verbali. Ma non bisogna dimenticare che qualche tentativo di “partecipazionismo”, è stato fatto anche per l’omelia. Chi non ricorda l’omelia partecipata? Ora, già questo nome la dice lunga, in quanto significa che tutte le altre in cui la gente non parla, non sono partecipate. Nell’omelia partecipata il sacerdote solitamente comincia a fare domande all’assemblea o a sollecitare “risonanze”. Io capisco le buone intenzioni implicite in questo tentativo, ma non si può evitare che l’omelia in questo modo scada nell’interrogazione scolastica.

Io credo che dovremmo un poco rivedere i fondamenti dell’idea di partecipazione, di cui l’ascolto è parte integrante. Il padre Achille Triacca, in un saggio contenuto nel volume “Actuosa Participatio” edito dalla Libreria Editrice Vaticana, dice che per comprendere meglio l’aggettivo “Actuosa Partecipatio” dovremmo oggettivare la realtà “Liturgia”. Penso che questo sia profondamente vero. Finché continueremo a pensare che siamo noi a fare la Liturgia, non ne comprenderemo l’alterità. Dovremmo riscoprire l’importanza dell’ascolto. Già, se ne parla tanto, lo si tira fuori spesso (soprattutto quando significa che ad ascoltare debbano essere gli altri) ma non lo si prende seriamente, veramente sul serio. Eppure, ascoltare è una funzione primaria anche per la fede; ma tutt’oggi si riduce l’ascolto semplicemente al codice verbale, come già abbiamo detto, senza considerare l’importanza ed il peso dei codici emozionali. Eppure ascoltare, è aprire il cuore all’invasione dell’altro, una invasione che ci cambia, sconvolge anche violentemente, una invasione che uccide alcune delle cose che abitano in noi da tempo immemorabile per fare posto a nuove fioriture, a primavere che si fanno strada in campi inariditi, a parti memori di sofferenze ma preludio di nuove gioie. L’ascolto, quando interpella l’uomo intero, non l’uomo solo logico, l’uomo vero, l’uomo integrale, è spalancamento di nuovi mondi.

Nel Salmo 44, al versetto 11, c’è una frase significativa: “Ascolta, figlia, guarda, porgi l’orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al re piacerà la tua bellezza”. In questo verso la figlia, la Chiesa, è invitata ad ascoltare come funzione primaria. Molto interessante è che il verbo guardare è posto tra due parti che sono pertinenti alla funzione dell’ascoltare, come se il salmista ci volesse far intendere che uno sguardo puro deriva da un ascolto attento. Se sappiamo ascoltare, vediamo meglio. Per metterci in ascolto dobbiamo fare vuoto in noi, dobbiamo fare posto a ciò di cui tanto necessitiamo. Ecco perché dobbiamo dimenticare il nostro popolo e la casa di nostro padre; questo è un invito che va compreso nel suo contesto: per accedere alla presenza regale dobbiamo purificare noi stessi, anche da tutto ciò che ci trattiene nel mondo. Tutto questo succede quando si ascolta. Se questo ascolto è puro, il re sarà conquistato dalla bellezza della figlia. Il re si diletta di sguardi puri, il re cerca nella Chiesa la bellezza, lo splendore nella forma. Non dice che il re si innamorerà della sua efficienza, del suo attivismo, del suo partecipazionismo; dice che si innamorerà della sua bellezza. L’ascolto apre le porte al re; non abbiamo paura della bellezza. Fa molto più paura chi crede che la bellezza e lo splendore della gloria siano qualcosa da relegare in un angolo come cosa di cui vergognarsi.

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*Aurelio Porfiri vive a Macao ed è sposato, con un figlio. E’ professore associato di musica liturgica e direzione di coro e coordinatore per l’intero programma musicale presso la University of Saint Joseph a Macao (Cina). Sempre a Macao collabora con il Polytechnic Institute, la Santa Rosa de Lima e il Fatima School; insegna inoltre allo Shanghai Conservatory of Music (Cina). Da anni scrive per varie riviste tra cui: L’Emanuele, la Nuova Alleanza, Liturgia, La Vita in Cristo e nella Chiesa. E’ socio del Centro Azione Liturgica (CAL) e dell’Associazione Professori di Liturgia (APL). Sta completando un Dottorato in Storia. Come compositore ha al suo attivo Oratori, Messe, Mottetti e canti liturgici in latino, italiano ed inglese. Ha pubblicato al momento quattro libri, l’ultimo edito dalle edizioni san Paolo intitolato “Abisso di Luce”.

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ZENIT Staff

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