L'arcivescovo di Baltimora a difesa della libertà religiosa (Seconda parte)

Intervista con monsignor William E. Lori sulla dimensione americana e internazionale della tematica

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di Ann Schneible

ROMA, mercoledì, 4 luglio 2012 (ZENIT.org) – La prima parte dell’intervista a monsignor William Lori, arcivescovo di Baltimora, è stata pubblicata ieri, martedì 3 luglio 2012.

Lei è a Roma per ricevere il pallio, essendosi recentemente insediato come arcivescovo di Baltimora. In questa veste, quali iniziative prenderà in difesa della libertà religiosa?

Mons. Lori: Abbiamo avuto il privilegio di aprire le Due Settimane per la Libertà proprio a Baltimora, nella più antica cattedrale del Paese (la Basilica del Santuario nazionale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria), pietra miliare posta nel 1806 da John Carroll, cugino di quel John Carroll di Carrolton, che firmò la dichiarazione di Indipendenza. Progettata da Benjamin Latrobe, questa chiesa è semplicemente stupenda. Riflette davvero l’esperienza americana alle sue radici e, al tempo stesso, incarna la nostra tradizione cattolica.

La messa inaugurale delle Due Settimane per la Libertà ha dato grande energia all’arcidiocesi. Quella sera a concelebrare c’erano tra i 60 e i 70 sacerdoti. Sono venuti fedeli dall’intera arcidiocesi che sta ospitando una ricchissima lista di eventi durante le Due Settimane. Ringraziamo Dio per questo. Molte delle manifestazioni erano già in corso prima del mio intervento, quindi ne sono semplicemente un beneficiario.

La seconda cosa che incombe nel Maryland è un referendum sul matrimonio. Il Maryland è uno di quegli stati dove le nozze omosessuali sono legali. Il referendum potrebbe quindi rovesciare questa legge, secondo quella che riteniamo sia la volontà popolare: la difesa del matrimonio tradizionale, per tutte le ragioni che i vostri lettori riterranno convincenti.

Perché tutto questo è importante da una prospettiva di libertà religiosa? Innanzitutto perché nel Maryland, l’esenzione religiosa è davvero limitata. C’è possibilità di esenzione dal presiedere un matrimonio omosessuale, garantita comunque dal Primo Emendamento, quindi è come se non ci fosse affatto esenzione. Siamo davvero di fronte ad una sfida per la libertà religiosa.

Qualche tempo fa, nel Comune di Baltimora, i reparti maternità hanno ricevuto dall’amministrazione cittadina, l’obbligo di esplicitare con dei cartelli esterni che non si pratica l’aborto. Pensiamo che si tratti di un incursione non nella libertà religiosa, ma nella libertà di manifestazione del pensiero. Alla fine la libertà religiosa – ovvero la libertà di portare i nostri valori sulla pubblica piazza – e la libertà di manifestazione del pensiero sono strettamente legate: crescono o muoiono insieme.

Come possono gli americani, solitamente molto attivi quando si tocca un tema come la libertà religiosa, contribuire al dibattito internazionale sullo stesso tema?

Mons. Lori: Mi permetta di risponderle sia da un punto di vista nazionale che da un punto di vista internazionale.

Sul piano internazionale, vediamo che in molti luoghi del mondo i sacerdoti non possono presentarsi come tali; in molti paesi celebrare messa è illegale; altrove popoli come i cristiano-caldei dell’Iraq vengono massacrati. Sono sopratutto i cristiani ad essere oggetto di persecuzione religiosa. Viviamo ancora in un’epoca di martirio e questi fatti sono molto lontani dalla nostra esperienza di Americani.

Il punto è questo: come possiamo diventare, in modo credibile, campioni dei diritti di questi popoli perseguitati e repressi, quando permettiamo alla fiaccola della libertà di spegnersi nella nostra patria? Come possiamo essere lieti del fatto che il Dipartimento di Stato pubblica il suo rapporto annuale sui diritti religiosi in tutto il mondo ma quest’anno cancellerà la sezione sulla libertà religiosa e costringerà il lettore a riferirsi ad un rapporto vecchio di alcuni anni e non aggiornato?

Credo che sia in gioco la nostra credibilità. Stiamo semplicemente facendo quello che i cittadini fanno da sempre: richiamiamo il nostro paese ad essere sincero con se stesso. Pensiamo che i fondatori riconobbero la libertà religiosa non solo perché era utile e nemmeno soltanto perché era un antidoto all’anarchia, ma in primo luogo perché era un principio buono in sé. Un principio valido non solo per l’America ma universale. Ogni paese dovrebbe poter dire: non tutti sono credenti ma la religione è un dato positivo. Ora non stiamo dicendo questo e non stiamo nemmeno dicendo che è neutrale.

Stiamo inoltre esportando vigorosamente la nostra cultura laicista e talvolta questo si manifesta nel forzare le istituzioni cattoliche a violare i principi e gli insegnamenti della Chiesa.

Se analizziamo il problema sul piano nazionale, vediamo che è in atto una sfida. Infatti, con l’avanzata del relativismo, abbiamo i nostri due partiti che esprimono le loro opinioni, non facendo un appello alla verità ma un appello al potere. A mio avviso, entrambi i partiti dovrebbero farsi un esame di coscienza.

Qual è il nostro ruolo, allora? Il nostro ruolo, come credenti e cittadini, è quello di richiamare entrambi i partiti a principi, ideali, verità durature, che superino le divisioni partigiane e – che tu sia Cattolico, che tu sia un democratico o un repubblicano – ti permettano di lavorare dall’interno per portare questi principi nei partiti e nel corpo politico. La libertà religiosa non avrà pace, finché vivremo immersi in questa cultura relativistica pilotata dal potere.

[Traduzione dall’inglese e adattamento a cura di Luca Marcolivio]

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ZENIT Staff

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