L'arcivescovo Celli presenta il primo giornalista laico beato

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CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 12 giugno 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il profilo di Manuel Lozano Garrido (Lolo), spagnolo, primo giornalista laico che è stato beatificato questo sabato a Linares (Spagna), presentato l’8 giugno scorso ai giornalisti nella sede della Radio Vaticana dall’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali.

* * *

Ogni persona piena di Dio è molto ricca e la sua personalità presenta mille sfaccettature luminose. Manuel Lozano è così, esemplare come persona umana, attivo nel servizio della carità come battezzato, ammirevole nella sua condizione di malato, eccellente come scrittore e giornalista.

A me corrisponde sottolineare proprio quest’ultimo aspetto e ritengo che un’esperienza così intensa di Dio, che si esprime nei mezzi di comunicazione in ogni momento storico, sia un bene per la Chiesa e per la società.

Lolo è stato un convinto apostolo nel campo del giornalismo e nella diffusione di libri; la sua macchina da scrivere è stata il veicolo per comunicare la verità, una verità che, però, scaturiva dalla sorgente di una preghiera intensa e piena d’amore. Proprio per questo ogni verità, piccola o grande che fosse, era piena di bellezza, sempre luminosa, persino nella cronaca di fatti dolorosi o difficili.

Per lui, che ha vissuto in un momento molto diverso dal nostro, le notizie esprimono la vita concreta delle persone e della società. “Quello che nei giornali attira il nostro interesse, non è altro che quel fiume della vita cha rinforza l’organismo e riscalda dolcemente l’intelligenza”. Lolo voleva trovare la persona nel discorso quotidiano dei giornali, convinto di scoprire comunque quella luce del bene che è sempre presente dove ci sono esseri umani. E faceva sempre un collegamento tra notizie e la Buona Novella del Vangelo. Vedeva sempre Gesù come paradigma della comunicazione.

Contrariamente a ciò che si pensa,  la chiave della vita è più vicina alle colonne dei giornali che non a coloro che si vantano di una grande saggezza. Mai come oggi i giornalisti sono riusciti ad essere fedeli alla realtà. Il giornale è una cattedra del buon vivere o uno specchio di conoscenze che riflette in continuazione quelle che la vita offre. Cristo non è vissuto tra le tipografie, né ha fatto giornalismo o bollettini, ma ditemi quali premi Pullitzer o Mariano de Cavia fanno un giornale così leale e genuino come quello che Lui scrisse nelle menti dei suoi concittadini. Non ci sono macchine da presa o televisione che riflettano con la purezza delle sue labbra le immagini del momento spirituale di cui ogni spettatore ha urgentemente bisogno. Lui afferrava benissimo la vita nei suoi messaggi, e ci insegnò a non togliere mai gli occhi da ciò che ci circonda, per approfondire la realtà, meditandola ed amandola con passione. Con il sole o con le nubi, nel lutto o nelle ore del successo, la vita offre sempre il suo frutto di verità. Certo, la verità si nasconde agli occhi velati, perciò ha bisogno di ciceroni che aiutino a farla vedere. Poche cose sono così palesemente realistiche nella parabola del seminatore e gli Apostoli hanno supplicato: “spiegacela”.

Ho pensato di riportare oggi alla nostra riflessione il suo “Decalogo del giornalista”, che è una metafora espressa in termini molto poetici. Lolo scrive sempre con lo sguardo meravigliato di una persona che tocca con mano l’Amore di Dio ogni giorno. Perciò non si tratta di un testo giuridico e tanto meno operativo. È piuttosto un’esortazione, quasi una meditazione che ci mette di fronte allo stupore e al rispetto di un mestiere che costruisce ponti tra gli essere umani, riferendo le loro faccende quotidiane con garbo e fedeltà.     

IL DECALOGO DEL GIORNALISTA

1. Ringrazia l’angelo che sulla tua fronte segnò la stella della Verità e che la fa brillare ogni momento.

2. Ogni giorno partorirai il tuo messaggio con dolore, perché la verità è una brace che si toglie dal cielo e brucia il nostro cuore per illuminare. Tu fai in modo di portarla dolcemente fino ai cuori dei tuoi fratelli.

3. Tu, quando scriverai, lo dovrai fare in ginocchio per amare; seduto per giudicare, in piedi e con forza per combattere e seminare.

4. Apri con stupore gli occhi a ciò che vedrai, e lascia le tue mani riempirsi della freschezza della linfa, in modo che gli altri, quando ti leggeranno, toccheranno con mano il miracolo palpitante della vita.

5. Il buon pellegrino della parola pagherà con la moneta della franchezza nella porta aperta della locanda che è ogni cuore.

6. Lavora il pane dell’informazione pulita con il sale del buon stile e il lievito dell’eterno. Poi offrilo affettato per avvivare l’interesse, ma non togliere a ciascuno la gioia di assaporare, giudicare ed assimilare.

7. Albero di Dio, chiedi di diventare una rovere dura ed impenetrabile all’ascia della lusinga e della corruzione, ma con la tua fronte nel fogliame al momento della raccolta.

8. Se chiamano fallimento il tuo silenzio perché la luce manca all’appello, accetta e taci. Guai al povero idolo con i piedi fatti con il fango della bugia. Ma attento anche alla vanagloria del martire quando le parole non si fanno sentire a causa della codardia.

9. Taglia la mano che vuole imbrattare, perché le macchie nei cervelli sono come quelle ferite che non guariscono mai.

10. Ricorda che non sei nato per la stampa a colori (gialla, nera, rossa..). Né confetteria, né piatti forti. Meglio servire il buon boccone della vita pulita e speranzosa, così come è.

Questa meditazione, anche se espressa in termini molto diversi a quelli che oggi segnano la cultura digitale, contengono una grande, perenne verità: la comunicazione è un mestiere, ma è soprattutto una vocazione che richiede spessore umano e rispetto scrupoloso della verità.

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ZENIT Staff

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