L'appello di un vescovo nigeriano contro il terrorismo

Monsignor Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza episcopale, definisce la Chiesa un “faro di speranza”

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

L’arcivescovo Ignatius Kaigama, presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria, ha lanciato un appello alla comunità internazionale per affrontare alla radice il problema del terrorismo.

In un’intervista concessa a ZENIT, l’arcivescovo di Jos affronta il flagello del gruppo islamico Boko Haram e avverte che se la comunità mondiale non riuscirà a sradicare la violenza del movimento radicale “il terrorismo religioso continuerà a propagarsi oltre la Nigeria anche in altre parti del Africa”.

Il presule invita inoltre il governo nigeriano a migliorare l’intelligence e “i buoni cristiani e i buoni musulmani” a proseguire i loro sforzi di dialogo per “rafforzare la fiducia e l’armonia tra tutti i nigeriani indipendentemente dalla tribù o la religione”.

La violenza di Boko Haram, che sconfina anche in Camerun, ha causato già migliaia di vittime e ha messo in fuga migliaia di civili, sia cristiani che musulmani.

Come è la situazione attualmente in Nigeria?

Per ora nel paese c’è la calma. A quanto pare, la questione più scottante è ancora l’insicurezza, specialmente negli Stati di Borno, Yobe e Adamawa. Ci sono i soliti timori nell’aria per possibili attacchi, mentre nel Nord-Est vige lo stato di emergenza imposto dal governo per stanare i gruppi estremisti. Gli attacchi e le uccisioni sono proseguiti specialmente in queste zone, colpendo cristiani, musulmani e seguaci delle religioni tradizionali. Gli agenti di sicurezza nigeriani sono determinati a sconfiggere il terrorismo nella parte nordorientale del Paese, ma sembra che i Boko Haram siano altrettanto determinati a raggiungere l’obiettivo di imporre le loro credenze religiose ai nigeriani con la violenza piuttosto che con la testimonianza e la persuasione gentile.

Può descrivere la situazione attuale della comunità cristiana? Quali sono i bisogni della gente?

Ci sono attacchi contro comunità, dove per decenni cristiani e musulmani hanno vissuto insieme. I cristiani non stanno abbandonando la pratica della loro religione, perché alcuni lo vogliono. La religione significa molto per i nigeriani e di fronte a sfide multidimensionali, la religione rimane un balsamo confortante. Stiamo parlando di religioni civili che mirano a creare un’armonia sociale e a preparare le persone in vista della santità e della vita eterna.

I cristiani che sono stati attaccati hanno bisogno di conforto spirituale e di essere rassicurati riguardo alla presenza di Dio. In uno spirito di preghiera speriamo che Dio un giorno ponga fine a questi attacchi. Materialmente, molti hanno perso case, mezzi di sostentamento e cari, mentre molte persone colpite sono rimaste traumatizzate. Hanno bisogno di riabilitazione, sia in senso materiale che spirituale. Il vescovo della diocesi di Maiduguri, mons. Oliver Doeme, può testimoniare che il suo seminario minore è stato chiuso in seguito ad un attacco di Boko Haram, mentre le Suore Agostiniane della zona hanno dovuto trasferirsi con le loro novizie, perché il loro convento e la loro clinica erano stati attaccati.

Secondo lei, in che modo la Chiesa, i governi, le organizzazioni dovrebbero essere d’aiuto?

La Chiesa è un faro di speranza. Essa è di aiuto nei limiti delle proprie risorse per sostenere servizi umanitari e caritativi. Inoltre incoraggia incessanti preghiere e le virtù della carità e del perdono. Assicura ai suoi membri che Cristo è sempre con loro. Promuove il dialogo interreligioso e insiste sull’uso di mezzi pacifici per la risoluzione delle crisi. In Nigeria la Chiesa Cattolica ha organizzato un evento di preghiera della durata di sei mesi presso famiglie, parrocchie e diocesi, che culminerà in un pellegrinaggio a novembre, che radunerà i cattolici da ogni parte del paese per pregare per la Nigeria ed in particolare per la conversione dei malvagi. Il governo detiene il ruolo più determinante nell’assicurare la protezione delle vite umane e delle proprietà, alla luce di quella che è la prima responsabilità costituzionale di ogni governo. I politici possono fare ben più degli aiuti umanitari, ma anche difendere il territorio della nazione, eliminandovi ogni forma di aggressione. Le organizzazioni hanno l’obiettivo di collaborare con la Chiesa e con il governo, creando più sinergia, aiutando a costruire la fiducia, la pace, la coesistenza, ecc. Vanno compiuti degli sforzi concertati per paralizzare le fonti di finanziamento, allestimento ed acquisizione di sofisticate attrezzature da parte dei terroristi.

Lei non ha avuto paura nel procedere con il suo ministero nonostante la pericolosa situazione attuale. Non si è sentito minacciato? Si aspetta che altri sacerdoti agiscano come ha agito lei?

Sono un essere umano, pertanto provo paura come tutti, tuttavia molte volte c’è una forza al di là di me stesso che mi spinge avanti. Davanti a tale turbolenza mi sento ispirato a dare speranza, ad essere una voce e a assicurare nuovamente che Dio non ci ha abbandonato. In momenti come questi, la gente ha bisogno di una guida. Da parte mia, io incoraggio i miei sacerdoti a stare affianco dei fedeli nelle parrocchie; fortunatamente al momento nessuno dei miei sacerdoti ha mai abbandonato i propri fedeli. Gesù non ha mai lasciato il gregge, quindi dobbiamo stare con loro. Papa Francesco ha recentemente ricordato che il pastore deve odorare come le pecore ed è quello che cerchiamo di fare. Cerchiamo di avere cura del nostro gregge, pur consapevoli dei rischi di violenza contro persone innocenti, quindi dobbiamo essere prudenti e non metterci deliberatamente in pericolo. Da lunedì scorso tutti i sacerdoti, le suore e selezionati leader laici sono riuniti alla nostra annuale Assemblea Generale, della durata di una settimana, per interagire, condividere esperienze ed incoraggiarsi vicendevolmente a rimanere forti, fedeli e vicini alla nostra gente. Concluderemo domani la nostra assemblea con un’ordinazione sacerdotale in una parrocchia rurale: è una maniera per incoraggiare i parroci di campagna che in passato hanno subito aggressioni e dimostrare loro che siamo tutti uniti.

Avendo lei definito malvagio il gruppo di Boko Haram ed essendo, al tempo stesso, un sostenitore del dialogo, può spiegarci in che modo il dialogo può contrastare il male prodotto da tali terroristi?

Il dialogo è possibile laddove entrambe le parti sono determinate a incontrarsi faccia a faccia, affrontando le questioni con carità e maturità. Boko Haram non è un soggetto trasparente, quindi non sappiamo nemmeno cosa realmente sia. Il dialogo non è possibile con persone che appaiono di volta in volta su internet o il cui impatto è percepito solo dopo che è stato inferto un terribile danno. Già parliamo con musulmani che, come le loro controparti cristiane, sono patriottici, moderati nelle loro concezioni religiose e ben disposti ad un’interazione sociale civilizzata. Il dialogo è uno strumento potente per aiutarci ad uscire dalla rete della violenza. Il dialogo è un’opzione migliore della violenza. È meno ‘costoso’ dell’ostilità.

C’è un appello che desidera lanciare?

Il nostro governo dovrebbe incentivare la raccolta di informazioni; assicurare l’effettivo utilizzo dei fondi stanziati per combattere il terrorismo; assicurare che gli agenti della sicurezza siano tutti motivati, ben equipaggiati e, nel caso in cui uno di loro perda la vita, i loro familiari siano accolti e trattati con dignità.

La maggioranza dei buoni cristiani e dei buoni musulmani continuano ad essere buoni ed impegnarsi concretamente per aumentare la fiducia e l’armonia tra i nigeriani irrispettosi delle tribù o delle religioni.

La comunità internazionale non dovrebbe aiutare un gruppo religioso contro un altro, quanto, piuttosto, aiutare la Nigeria a contrastare il problema del terrorismo alla radice, usando l’esperienza, la competenza e le risorse materiali per fermare questa mi
naccia. Se ciò fallisse, il terrorismo a sfondo religioso continuerà a diffondersi non solo oltre i confini della Nigeria verso il resto del continente africano ma finirà per inghiottire l’intera comunità internazionale. Stiamo facendo del nostro meglio per rafforzare la pace ed incoraggiare il nostro Centro per il Dialogo, la Pace e la Riconciliazione, istituito a Jos per iniziative proattive per preservare la pace. Il centro ha fatto già molto per far incontrare diversi gruppi e farli parlare e ragionare insieme. L’arcidiocesi cattolica di Jos dispone anche di una scuola vocazionale dove sono ammessi giovani musulmani e cristiani, i quali studiano insieme per due anni, apprendendo abilità vocazionali e la cultura del dialogo, quindi divenendo agenti di pace nei loro villaggi piuttosto che lasciarsi coinvolgere in confronti ostili. Tutte queste iniziative hanno bisogno di sostegno ed andrebbero replicate nel maggior numero di luoghi possibili.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Deborah Castellano Lubov

Deborah Castellano Lubov is Senior Vatican Correspondent for Zenit and its English edition. Author of 'The Other Francis,' now published in five languages, she gave a personal, in-depth look at the Holy Father, through interviews with those closest to him and collaborating with him, featuring the preface of Vatican Secretary of State, Cardinal Pietro Parolin. Lubov often covers the Pope's trips abroad, and often from the Papal Flight, where she has also asked him questions on the return-flight press conference on behalf of the English-speaking press present. Deborah Castellano Lubov, who also serves as NBC Vatican Analyst and collaborator, also has done much TV & radio commentary, including for NBC, Sky, EWTN, BBC, Vatican Radio, AP, Reuters and more. She also has written for various Catholic publications.

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione