L’apertura responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica

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di Angela Maria Cosentino

ROMA, martedì, 21 luglio 2009 (ZENIT.org).- L’attuale crisi economica evidenzia la fragilità di un sistema, a cui occorre rispondere con un cambiamento di stili di vita e un’alleanza tra etica ed economia. Questo è il fondamentale messaggio dell’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI di fronte all’attuale questione sociale, oggi globale.

Il documento rappresenta una proposta rivolta ad intra e ad extra in continuità con il passato (Populorum progressio e Humanae vitae di Paolo VI, Evangelium vitae di Giovanni Paolo II) e nello stesso tempo aperta a nuovi temi (immigrazione, globalizzazione, tutela dell’ambiente, ricerca di fonti alternative di energia, attuale crisi economica e finanziaria, innovative esperienze sindacali). Particolarmente significativo è il collegamento, oggi sempre più inquietante, tra rispetto della vita e sviluppo dei popoli.

Già Humanae vitae, che sottolinea il significato insieme unitivo e procreativo della sessualità, indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale (CV, 15), inaugurando una tematica magisteriale che ha preso corpo in vari documenti, fino all’enciclica Evangelium vitae. La Chiesa propone con forza questo collegamento, nella consapevolezza che non può “avere solide basi una società che – mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata” (EV, 93).

Anche per effetto, in varie parti del mondo, di politiche demografiche che spesso impongono un forte controllo delle nascite con contraccezione, aborto e sterilizzazione. Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno condizionato mentalità e comportamento, e contribuiscono a diffondere anche in altri Stati, come progresso culturale, una deleteria mentalità antinatalista (CV, 28).

Così, l’aborto, insieme ad una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite e sul versante opposto, una mens eutanasica, che in certe condizioni considera la vita non più degna di essere vissuta, e per pressione di gruppi nazionali e internazionali rivendica il riconoscimento giuridico dell’eutanasia , sono espressioni di posizioni culturali che negano la dignità umana e che con tali pratiche, alimentano, a loro volta, una concezione materiale e meccanicistica della vita umana. “Chi potrà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità sullo sviluppo?” (CV 75).

L’apertura moralmente responsabile alla vita, invece, è una ricchezza sociale ed economica, al centro del vero sviluppo. Quando una società si orienta verso la negazione della vita finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per il vero bene dell’uomo. La ridotta sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza alla vita comporta l’inaridimento anche di altre forme di accoglienza sociale. L’apertura alla vita, invece, “tempra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco” ( CV, 28).

È auspicabile, perciò, un maggiore impegno per creare un clima più favorevole a una revisione delle politiche demografiche verso una cultura per la vita. L’iter della mozione con cui il governo italiano si dovrebbe impegnare all’ONU per una moratoria sull’aborto come mezzo di controllo delle nascite è una tappa significativa, di elevato valore simbolico, per contribuire a rompere quella logica di morte che sta attanagliando l’Europa e il mondo intero.

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ZENIT Staff

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