L'anti-umanesimo di Heidegger (Seconda parte)

La fase “ontologica”

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Heidegger, come Sartre, nega l’esistenza dell’anima spirituale. I motivi di questa negazione sono diversi nei due filosofi: Sartre è materialista e conseguentemente  sostiene che l’essere umano è soltanto corporeo, Heidegger è un anti-metafisico e i concetti di anima e di corpo e i loro rapporti sono stati, secondo il filosofo, una elaborazione del pensiero rappresentativo-concettuale della metafisica, la quale ha “obliato” la verità dell’essere.

Heidegger, a differenza di Sartre, nega che l’uomo sia libero, perché “l’uomo non «possiede» la libertà come una sua proprietà, ma tutt’al più vale il contrario: la libertà, l’esser-ci ek-sistente e disvelante, possiede l’uomo in un modo così originario da essere in grado, essa sola, di custodire e garantire ad un’umanità il rapporto all’ente come tale nella sua totalità […]”[1].

La libertà non è quindi una facoltà dell’uomo, ma è la libertà dell’Essere, il quale necessita di un “luogo” per rivelarsi, perché, scrive il filosofo, “il predominante come tale [l’Essere], per apparire nella sua predominanza, ha bisogno di un luogo per la sua apertura. L’essenza dell’essere-uomo ci si schiude solo se è intesa a partire da questa necessità necessitata dall’essere stesso. Esistenza (Da-sein) dell’uomo storico significa esser posto come il varco in cui la strapotenza dell’essere apparendo irrompe, affinché questo medesimo varco si infranga alla fine sull’essere”[2].

L’uomo è questo “varco” nel quale l’Essere “si annuncia e si nasconde”, l’essere umano non ha quindi una sua consistenza ontologica, ma è la “proiezione dell’essere, in cui è radicato il suo essere gettato nel mondo”[3].

L’uomo è gettato nel mondo dall’Essere ed è il luogo della sua manifestazione e del suo nascondimento.

Egli ha la vocazione di custodire l’Essere,  essendo il suo pastore.

Scrive infatti Heidegger:

“L’uomo non è il padrone dell’essente. L’uomo è il pastore dell’Essere. In questo meno l’uomo non ci perde, anzi ci guadagna, poiché egli  perviene alla verità dell’Essere. Egli guadagna l’essenziale povertà del pastore, la cui dignità consiste in questo: di essere chiamato dall’Essere stesso alla custodia della sua verità”[4].

L’espressione “pastore dell’Essere”, come sostiene Carlini, significa che “l’Essere lo adopera come suo pastore”[5].

L’Essere è il centro di tutta la riflessione filosofica di Heidegger e il suo interesse per l’ uomo è legato unicamente al fatto che egli è l’Esser-ci, e propriamente il “ci”, il luogo storico della rivelazione dell’Essere.

In tutti gli scritti del filosofo tedesco l’indagine verte sempre e soltanto sul problema dell’Essere. Anche Essere e Tempo,  pur essendo un’opera nella quale viene analizzata profondamente l’esistenza umana  in tutti i suoi aspetti, è un testo di ontologia, perché Heidegger, fino dalle prime pagine, afferma di ricercare il senso dell’essere.

Questa ricerca avviene però tramite l’indagine filosofica di colui che si pone il problema dell’Essere , cioè mediante l’analisi “di quell’ente che noi stessi, i cercanti, sempre siamo”[6].

E’ evidente, quindi, come in Essere e Tempo l’indagine riguardante l’uomo ha un fine non antropologico ma ontologico. Scrive infatti:

“La posizione esplicita e trasparente del problema del senso dell’essere richiede l’adeguata posizione preliminare di un ente (l’Esserci [Da-sein]) nei riguardi del suo essere”[7].

Negli scritti successivi a Essere e Tempo, dopo la cosiddetta “svolta”  la ricerca riguarderà direttamente la “verità dell’essere” e il suo rapporto con la storia senza più fare riferimento alle strutture (gli “esistenziali”) dell’essere umano.

La storia è la storia dell’essere e dei suoi accadimenti e l’uomo, cioè l’esserci “è se stesso per il suo essenziale rapporto (Bezug) all’essere in generale”[8].

L’essere umano si risolve in questo rapporto, quindi non è uno spirito incarnato, che possiede le facoltà della ragione e della volontà tramite le quali è libero di autodeterminarsi; in sintesi: è un quid indeterminato e indeterminabile, la cui “essenza” diviene e quindi cambia nel tempo a seconda del rapporto che l’uomo instaura con l’Essere nei diversi contesti storico-culturali.

(La prima parte è stata pubblicata sabato 1 febbraio)

*

NOTE

[1] M. Heidegger, Sull’essenza della verità, Introduzione di U. Galimberti, Editrice La Scuola, Brescia 1973, p. 27.

[2] M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, Presentazione di G. Vattimo, U. Mursia, Milano 1972, II ed., p. 170.

[3] M. Heidegger, Lettera sull’umanesimo (Estratti), in Che cos’è la metafisica, a cura di A. Carlini, La Nuova Italia, Firenze 1974, p. 111.

[4] Ibidem.

[5] A. Carlini, Nota 2, in ibidem.

[6] M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976, p. 22.

[7] Ibidem, p. 23.

[8] M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit., p. 39.

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Maurizio Moscone

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