L'Anno della Fede ci ha aiutato a sentirci servi inutili?

Brevi e frequenti momenti di riposo con il Signore sono fondamentali

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La liturgia di questa domenica propone due temi alla nostra meditazione: la potenza della fede e il servire con umiltà. 

La fede è un dono di Dio, ma nello stesso tempo è una virtù che necessita di essere provata. La logica di Dio è sempre di condividere quello che si è gratuitamente ricevuto (Mt 10,8b). E questo deve valere anche per il tesori spirituali che ci vengono concessi. La forma più sublime di manifestare la fede è attraverso la correzione fraterna ed il perdono, che costituiscono le dimensioni più alte dell’amore a Dio e al prossimo. 

Infatti,  se noi amiamo qualcuno, a tal punto da considerarlo nostro fratello (perché noi stessi ci riconosciamo figli adottivi di Dio) allora rimproveriamolo quando commette un peccato contro Dio e contro il prossimo. La correzione deve avvenire sempre con dolcezza e con rispetto, ma sempre nella verità e nella giustizia, perché colui che è ripreso, possa riconoscere la sua colpa e riprendere la sua retta condotta.

E se questo dovesse avvenire svariate volte nel corso di una giornata, siamo invitati a conservare verso di lui un continua disponibilità al perdono. Questo significa vivere pienamente la nostra fede. 

Se riflettiamo ancora, scopriremo che la correzione fraterna non solo ha il potere di indurre alla conversione dal male già avvenuto, ma previene anche i possibili scandali, limitando l’azione del maligno.

La parola greca scandalo (skàndalon) significa ostacolo, inciampo. I discepoli di Cristo non devono essere pietre di inciampo per gli altri, ma si devono “accollarsi” i loro peccati per non far sprofondare gli altri nell’abisso del male. Questo perché il male ha la capacità intrinseca di estendersi molto rapidamente, si espande a macchia d’olio da ognuno di noi verso chi ci vive vicino. 

Per questa ragione, ogni cristiano ha il dovere di vigilare su stesso, e se alcune volte si dovesse addormentare spiritualmente, deve accettare umilmente il richiamo del fratello, che a sua volta, deve essere sempre pronto a esortarlo a desistere dal male. E poiché nessun uomo è perfetto, ognuno di noi deve assolvere al duplice compito di essere coraggioso nell’ammonire chi è nell’errore, e nello stesso di lasciarsi correggere quando la lampada della sua fede fa poca luce. 

E per accrescere questa fede nella Chiesa e nel mondo, Gesù desidera che siamo noi stessi ad esortare il prossimo a sradicarsi dalla sua cattiva condotta, a scongiurarlo ad abbandonare quel peccato che ha messo radici nel cuore, per lasciarsi trapiantare sul terreno fertile della sconfinato mare della pazienza e della misericordia di Dio. 

La riconoscenza per la magnanimità che Dio manifesta per ciascuno di noi, quando è autentica,  suscita sempre un intimo ringraziamento a Dio, che sfocia nel servizio fedele e generoso verso il prossimo.

La motivazione interiore che deve spingere ad essere perseveranti nel servizio deve essere quella di credere al valore eterno delle nostre opere di bene, che ci seguiranno per sempre nel cielo. Questo tesoro di amore e di bene che avremo accumulato nel cielo durante la vita terrena, costituirà la vera garanzia del riposo eterno : “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.” (Lc 12,37).

Qui si parla del ritorno del padrone (la parusia), quando saremo serviti da Gesù che avremo servito nei poveri, negli ammalati e negli emarginati. 

Nel vangelo di Luca di oggi leggiamo: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?” (Lc 17, 7-8).

Qui, invece, si parla del servizio che i discepoli di Cisto sono chiamati a compiere durante la loro vita terrena. 

Il segreto per rimanere sempre fedeli al volere del padrone è quello di non esaltarsi, ma proseguire umilmente il servizio al quale Dio ci ha chiamati.

“Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10) deve costituire un “ritornello spirituale” nella nostra vita, quasi una frase da ripetere ogni volta che ci spogliamo della veste del servizio.

Queste parole cariche di umiltà, se pronunziate non solo con la bocca, ma credute con il cuore, diventano un deterrente contro ogni superbia umana e contro ogni orgoglio verso Dio e verso il prossimo. Quante volte abbiamo ascoltato affermazioni del tipo: “Ho fatto il catechista per i bambini della prima comunione e poi non mi sono arrivati figli”. “Ho trascorso anni al servizio della mensa dei poveri ed ora ho perso anch’io il lavoro”. “Ho lasciato tutto per partire in missione e adesso non vedo i frutti che speravo.” 

Sono tutte frasi che lasciano intendere un idea distorta del servizio, perché da esse traspare il concetto di servire per avere qualcosa in cambio da Dio. Questa mentalità mondana del dare per avere nell’immediato, esclude il credere alla ricompensa della vita eterna, diventa un negoziare con Dio per ottenere benefici solo su questa terra. Il servizio amorevole, come lo concepisce Gesù Cristo, ha invece lo scopo di accrescere la fede oltre i confini di questa vita, per giungere gioiosi a ricevere da Dio la corona della beatitudine eterna.  

Nello stesso tempo va ricordato che un’anticipazione del premio l’ho otteniamo già su questa terra, perché quando il servizio è svolto in maniera disinteressata e continuativa, prendiamo già parte alla gioia del padrone, diveniamo partecipi di quella letizia e di quella pace che è propria di Dio (Mt 25,14-30). In questo modo mettiamo a frutto il talento di riconoscere nel prossimo abbandonato, sofferente e umiliato la persona del nostro padrone, Gesù Cristo. 

Questo non significa che il discepolo di Cristo debba vivere con ansietà e preoccupazione la dimensione del servizio. E’ fondamentale ritagliarsi brevi e frequenti momenti di riposo con il Signore. Solo così il discepolo di Cristo ha la possibilità di ricaricarsi fisicamente e spiritualmente dalla fatiche della sua opera di apostolato. L’importante è che il riposo sia un tempo passato con il Signore (Mc 6-30-32).

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Osvaldo Rinaldi

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