L'anima esiste ed è immortale (Quinta parte)

L’antropologia di Cartesio: l’anima è immortale / 2

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Secondo Cartesio l’essere umano è una sostanza pensante che conosce non la realtà, ma la sua rappresentazione, cioè le idee.

Tutto ciò che è pensato è un’idea, anche un atto volitivo o un sentimento: “Prendo il nome di idea per tutto ciò che è concepito immediatamente dallo spirito: di guisa che, quando voglio e temo, poiché concepisco in pari tempo che voglio e che temo, questo volere e questo timore sono messi da me nel numero delle idee”[i].

La res cogitans “per essere non necessita di luogo alcuno né dipende da alcuna cosa materiale”[ii]. Essa si identifica con l’anima tout court, ed “è assolutamente distinta dal corpo”[iii], infatti “anche se il corpo non fosse, l’anima non cesserebbe di essere tutto quello che è”[iv].

L’essere umano è quindi composto di due sostanze irrelate: il corpo, res extensa, e l’anima-pensiero, res cogitans, ma è indubitabile soltanto l’esistenza di quest’ultimo. Cartesio avendo rilevato che è indubitabile l’esistenza dell’io pensante perché la sua conoscenza presenta i caratteri della chiarezza e della distinzione, assume “come regola generale che sono tutte vere le nozioni che concepiamo in modo del tutto chiaro e distinto”[v].

L’io, come è stato evidenziato, è assolutamente certo sella sua esistenza in quanto io pensante, ma non sa se la realtà esterna a lui esiste, compreso il proprio corpo. Nell’io è presente un insieme di idee, intese come rappresentazioni degli oggetti, la cui esistenza all’interno del pensiero non garantisce, di per sé, la loro esistenza nella realtà.

L’uscita dal solipsismo gnoseologico è offerta dalla presenza nell’io dell’idea di Dio, la quale, secondo Cartesio, implica la sua esistenza, perché presenta i caratteri della chiarezza e della distinzione.

L’idea di Dio è la più vera delle idee poiché è quella il cui contenuto rappresentativo possiede più realtà oggettiva; infatti, secondo il filosofo, “essendo questa idea assai chiara e distinta, e contenendo in sé più realtà oggettiva di ogni altra,  non c’è nessuna che di per sé sia più vera […] l’idea che ne ho [è] la più vera, la più chiara e la più distinta di tutte quelle che sono nel mio spirito”[vi].

Cartesio, analogamente a Sant’Anselmo, inferisce l’esistenza di Dio dall’idea di essere perfettissimo, cioè dell’essere che, possedendo tutte le perfezioni, deve necessariamente esistere, perché “non vi è minor ripugnanza a concepire un Dio al quale manchi l’esistenza che a concepire una montagna che non abbia vallata”[vii].

Dio, essendo perfettissimo, vero e verace, non può ingannare l’uomo, quindi le idee riguardanti il mondo corporeo rispecchiano la realtà in sé, altrimenti Dio avrebbe creato l’essere umano con una ragione fallace. Scrive:

“La ragione […] ci suggerisce che tutte le nostre idee o nozioni debbono avere qualche fondamento di verità, poiché non potrebbe essere che Dio, che è assolutamente perfetto e veridico, le abbia poste nella nostra mente senza che fossero vere”[viii].

Riguardo al criterio di verità delle idee chiare e distinte, Cartesio afferma : “Ho assunto come regola che sono vere tutte le cose che concepiamo in modo del tutto chiaro e distinto, è certa solo in quanto Dio è o esiste ed è un essere perfetto e tutto quanto è in noi viene da lui”[ix].

E’ evidente che nel ragionamento del filosofo è presente un circolo vizioso: le idee chiare e distinte sono vere; nel pensiero umano è presente Dio come idea chiara e distinta quindi esiste; l’esistenza di Dio garantisce la verità delle idee chiare e distinte.

La dimostrazione dell’esistenza del mondo esterno all’io, muovendo dall’idea di Dio, è soltanto apparente e quindi fallace. Conseguentemente, seguendo il modo di pensare di Cartesio, l’essere umano sarebbe certo soltanto dell’esistenza di se stesso come res cogitans, e sarebbe chiuso nelle sue idee, cioè nelle sue rappresentazioni della realtà esterna.

Ogni essere umano sarebbe quindi una monade spirituale chiusa in se stessa. A questa conclusione potrebbe pervenire tutta la geniale riflessione di Cartesio, inficiata da un paradigma antropologico che è tipico dell’età moderna, secondo la quale l’essere umano è scisso in due dimensioni spirito e corpo, tra loro irrelate, per cui si affermerà in seguito che la conoscenza dipende o unicamente dai sensi (empirismo) o unicamente dal pensiero (razionalismo e idealismo).

Inoltre è da sottolineare che è falso il ragionamento tramite il quale il filosofo afferma l’esistenza della res cogitans. Infatti Cartesio afferma “penso dunque sono” poi si chiede “che cosa sono?” e risponde “res cogitans”, ma dalla costatazione che “io penso” si deduce che sono un’attività pensante e non una sostanza pensante, così come dal fatto che cammino o mangio si deduce che sono un’attività camminante o mangiante e non una sostanza camminante o mangiante.

L’antropologia cartesiana presenta delle evidenti incongruenze e offre un’apparente soluzione riguardo alla mortalità o immortalità dell’anima spirituale. Infatti l’anima, avendo un rapporto estrinseco con il corpo, non segue le vicende di quest’ultimo e, quindi, quando il corpo morendo si corrompe, essa essendo immateriale non può corrompersi e morire, come avviene per l’anima[x] (materiale) degli animali.

Il filosofo scrive in proposito:

“Dopo tutto questo [dopo avere parlato delle differenze tra gli animali e gli uomini],  avevo descritto l’anima razionale, e fatto vedere che in nessun modo può derivare dalla potenza della materia, come delle altre cose di cui avevo parlato, che deve essere creata appositamente,  […] mi sono un po’  dilungato a proposito dell’anima, perché è uno degli argomenti più importanti; infatti, dopo l’errore di quelli che negano Dio […] non ve n’è un altro che allontani di più gli uomini deboli dal giusto cammino della virtù che immaginare che l’anima delle bestie sia di natura uguale alla nostra e che, di conseguenza, non dobbiamo temere nulla, né nulla sperare dopo questa vita, come le mosche e le formiche; mentre, quando si sa quanto esse differiscano, si comprendono molto meglio gli argomenti che provano che la nostra anima è di una natura interamente indipendente dal corpo, e che quindi non è soggetta a morire con esso; poi, considerato che non si vedano altre cause che la distruggano, si è naturalmente portati a concludere che essa è immortale”[xi].

Cartesio, come San Tommaso,  afferma quindi non solo che l’anima umana è creata direttamente da Dio ma anche che è immortale.

La questione relativa  al destino dell’anima dopo la morte è però più complessa nell’antropologia di San Tommaso, poiché quest’ultimo è consapevole che il legame tra spirito e corpo è intrinseco, e si potrebbe quindi sostenere che la distruzione del corpo comporti anche  quella  dell’anima,  così come la distruzione della tela di un quadro porta con sé la scomparsa della bellezza del dipinto.

In generale, l’antropologia dell’Aquinate è radicalmente diversa da quella di Cartesio, perché secondo San Tommaso l’uomo  è uno lo spirito incarnato, che conosce tramite i sensi e l’intelletto e che non può dubitare dell’esistenza del mondo perché ad esso è immediatamente aperto, essendo costitutivamente aperto all’essere.

Il modello antropologico personalistico tommasiano è stato affermato sulla base di una metodologia filosofica fenomenologica ante litteram, mentre il modello cartesiano è il risultato dell’applicazione del metodo matematico nel campo filosofico. Infatti il matematico Cartesio ha cercato di dimostrare a priori tutte le verità filosofiche partendo dal postulato cogito erg
o sum
, così come nella geometria euclidea le verità geometriche si dimostrano partendo dal postulato delle rette parallele.

La filosofia però non è la scienza, e il metodo valido per questa non lo è altrettanto per l’altra, perché diversi sono gli oggetti formali.

Il pensiero antropologico di Tommaso non è astratto come quello del padre del pensiero moderno, i cui effetti storici sono fungenti nella cultura odierna che celebra l’io umano come misura di tutte le cose.

La filosofia tommasiana possiede delle virtualità da scoprire e da approfondire avvalendosi del metodo fenomenologico. Inoltre, tale filosofia può essere integrata con gli apporti offerti dall’ermeneutica contemporanea in merito alla dimensione storica e narrativa della persona umana, la cui riflessione è assente nell’Aquinate, come in tutta la filosofia medioevale.

(La sesta parte segue sabato 7 dicembre. La quarta parte è stata pubblicata sabato 9 novembre)

*

NOTE

[i] Cartesio, Obiezioni e risposte, in Opere filosofiche, vol. II, cit., p.171. Hobbes, contemporaneo di Cartesio, condivide con quest’ultimo che l’essere umano conosce le idee della realtà, conseguentemente la realtà esterna al pensiero è sconosciuta e concorda con la tesi di Cartesio, secondo cui “cogito ergo sum”, ma afferma che ciò per cui l’essere umano pensa è non il pensiero, ma il corpo (cfr. T. Hobbes, Obiezioni alle meditazioni, II). .

[ii] Idem, Discorso sul metodo, cit., p. 73.

[iii] Ibidem, p. 73.

[iv] Ibidem, pp. 73-74.

[v] Ibidem, p. 74.

[vi] Idem, Meditazioni metafisiche, cit., pp. 43-44.

[vii] Ibidem, pp. 61-62.

Cartesio dimostra a priori l’esistenza di Dio anche argomentando che in lui, come in ogni essere umano, è presente “l’idea di un essere più perfetto di me”, che non può derivare da lui che è imperfetto, né dal nulla (ex nihilo nihil), “così rimaneva solo che fosse stata posta in me da una natura veramente più perfetta di quello che io fossi, anzi avente in sé tutte le perfezioni di cui potevo avere qualche idea, cioè, per dirla in una parola, che fosse Dio” (Idem, Discorso sul metodo, cit., p. 75).

Un’ulteriore dimostrazione dell’esistenza di Dio viene fornita dal filosofo, partendo dall’idea di perfezione presente nella sua anima. Se essa fosse causata da lui “avrei potuto darmi – scrive Cartesio – tutto il sovrappiù che sapevo mancarmi e, in tal modo, essere anch’io infinito, eterno, immutabile, onnisciente, onnipotente, possedere insomma tutte le perfezioni che potevo notare in Dio” (ibidem, p. 76), la causa di questa idea era quindi colui che possedeva queste perfezioni: Dio (cfr. ibidem).

La critica mossa da Tommaso alla prova a priori di Sant’Anselmo è valida anche nei confronti delle argomentazioni di Cartesio. Dall’idea di un essere di cui non si può pensare il maggiore non si può inferire la sua esistenza, perché è un indebito passaggio dall’ordine logico-ideale a quello reale. Scrive Tommaso:

“Posto che ognuno intenda che con questo nome Dio è significato […] ciò che è tale che nulla di più grande può essere concepito, non ne segue per ciò che si intenda che la cosa significata da questo nome sia nella natura, ma soltanto che è nell’apprensione dell’intelletto” (San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I,  1, 1).

[viii] Idem, Discorso sul metodo, cit., p. 81.

[ix] Ibidem, p. 79.

[x]L’anima, come è stato evidenziato nei precedenti articoli, è il principio della vita negli esseri  viventi.

[xi] Cartesio, Discorso sul metodo, p. 95.

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Maurizio Moscone

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