L'anencefalo è un cadavere?

ROMA, domenica, 21 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo per la rubrica di Bioetica le risposte ai quesiti posti da due lettori da parte della dottoressa Chiara Mantovani, Presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (AMCI) di Ferrara e Presidente di Scienza & Vita di Ferrara, e di Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, Presidente del Movimento per la Vita italiano, membro della Pontificia Accademia per la Vita e docente presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma.

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L’anencefalo è un cadavere?

Sì?

Dobbiamo rivedere le posizioni sull’interruzione di gravidanza degli anencefali.

No?

Allora l’espianto viene eseguito su uomini non ancora cadaveri.

In attesa di riscontro porgo distinti saluti.

Risponde Chiara Mantovani

Il bambino anencefalico che nasce, nasce vivo. La sua vita può durare pochi minuti, qualche ora o qualche giorno; talvolta qualche settimana. Ciò dipende dalla gravità della sua anencefalia. Già, perché il termine “anencefalico” non significa “senza cervello”, totalmente privo di tutto il cervello. Il termine è generico e denomina una grave condizione patologica malformativa che consiste in una mancanza di alcune parti dell’encefalo. Di solito è proprio la corteccia cerebrale, quella che allo stato attuale delle conoscenze è individuata come la sede della coscienza e dei movimenti volontari, la parte più gravemente mancante. Ma i centri profondi, che presiedono alla funzioni di respirazione, per esempio, hanno ancora una certa funzionalità. Proprio per questo la diagnosi di morte del bimbo anencafalico va fatta esaminando la presenza di queste funzionalità e dichiarata solo quando questi segni cessano di essere presenti. I protocolli al riguardo sono molti precisi. Il neonato non sarà dichiarato morto, e dunque non saranno eventualmente espiantati gli organi, fino a quando tutto il silenzio elettrico di quel poco di encefalo è documentato.

Il problema in gravidanza non sussiste: la placenta garantisce al piccolo tutto ciò che abbisogna alla sua vitalità intrauterina. Sarà la nascita a “lasciarlo solo” nella gestione della sua respirazione e circolazione e dunque a evidenziare la sua incapacità di vita autonoma, ma non sussiste alcun dubbio della sua vita in utero.

Riassumendo: è lecito espiantare gli organi di un bimbo anecefalico solo quando – come per qualsiasi altra persona – ci sarà sicurezza che tutto l’encefalo sia totalmente non funzionante. E questo solo dopo un tempo ancora più prolungato che nel caso di un adulto.

Anche il neonato anencefalico nasce e muore: in tempi fortemente ravvicinati, ma pur sempre presenti e diversificati.

A disposizione per eventuali approfondimenti (sebbene la materia sia strettamente specialistica) la saluto caramente.

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Come è possibile considerare uomo chi non ha il cervello? Non è contraddittorio che per favorire il trapianto di organi si consideri morta una persona per il solo fatto che il suo cervello ha cessato totalmente di funzionare, e che invece l’ embrione sia considerato un individuo vivente anche quando non si è formato il cervello?

Risponde Carlo Casini

L’ argomento è inconsistente, anzi – a ben guardare – rafforza la tesi che il concepito è pienamente un essere umano vivente fin dal momento dell’incontro dello spermatozoo con l’ ovocita. Infatti la morte (totale e reale, non parziale o apparente) del cervello è considerata morte dell’uomo anche quando artificialmente si riesce a far circolare il sangue nel suo corpo e a riempire ritmicamente di aria i suoi polmoni, perché il cervello è la parte che rende un organismo unitario il corpo umano.

Esso unifica e finalizza le varie funzioni. Tant’è vero che la morte è chiamata anche “decomposizione”. Le singole parti possono continuare per qualche tempo a vivere (è noto il fenomeno della crescita della barba e delle unghie anche nei cadaveri), ma l’ uomo, in quanto unità organica, non c’è più.

Se così è, se cioè il dato decisivo per ritenere l’ esistenza di una vita umana individuale è l’ unità organica determinata da un principio unificatore e finalizzatore, allora è evidente che nell’embrione un tale principio unificatore e organizzatore che lo rende un organismo non solo è presente, ma svolge una funzione possente e mirabile tutta proiettata verso il futuro. L’ uomo non è il suo cervello anche se il cervello ne coordina le funzioni vitali. L’ adulto che non ha più cervello non ha più futuro nel mondo visibile: è morto.

Ma l’ embrione che non ha cervello non è equiparabile ad un cadavere perché ha in sé una forza coordinatrice che gli garantisce non solo uno sviluppo vitale straordinario, ma anche un futuro. Egli non è affatto morto. Anzi è particolarmente vivo.

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ZENIT Staff

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