L'anatema dei vescovi calabresi contro la 'ndrangheta: "È il male assoluto"

Presentata ieri la Nota pastorale sul fenomeno mafioso. 12 pagine di dura condanna contro questa “opera del Maligno”, a cui opporre l’impegno cristiano in politica e la parola del Vangelo

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“Il male assoluto”, “l’anti-religione”, “l’antistato”, una “struttura pubblica di peccato”, “opera del male e del Maligno”. Non usano mezzi termini i vescovi della Conferenza Episcopale della Calabria per stigmatizzare il male che, più di ogni altro, mette in ginocchio la loro terra: la mafia, che nel sud dell’Italia assume la terribile faccia della ‘ndrangheta.

Sono circa 12 le pagine buttate giù dai presuli calabresi per denunciare questa grave piaga, andando a comporre un’appassionata nota pastorale che, datata 25 dicembre, è stata presentata ieri mattina a Reggio Calabria dal presidente della Cec, mons. Salvatore Nunnari, e dal vicepresidente mons. Francesco Milito.

“Testimoniare la verità del Vangelo” è il titolo del documento. E in virtù di questa verità i vescovi non hanno paura a esprimere la dura posizione della Chiesa contro questa organizzazione criminale “tra le più pericolose e violente”, che, attiva in terra calabra dalla seconda metà dell’Ottocento, conta oggi un fatturato di circa 53 miliardi di euroe ramificazioni fino al Canada e all’Australia.

I vescovi per il loro testo traggono spunto dai documenti elaborati da colleghi e predecessori negli ultimi 70 anni. La spinta maggiore è tuttavia la “scomunica ai mafiosi” che Papa Francesco ha pronunciato davanti ai 250mila fedeli riuniti nella piana di Sibari, durante la visita pastorale dello scorso 21 giugno. “Quando non si adora Dio si diventa adoratori del male – disse il Papa in quell’occasione – La ‘ndrangheta è adorazione del male. E il male va combattuto, bisogna dirgli di no. I mafiosi sono scomunicati, non sono in comunione con Dio”.

Sulla stessa scia i pastori della Calabria affermano quindi nella nota che “la ‘ndrangheta non ha nulla di cristiano. Attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi e di formule che scimmiottano il sacro, si pone come una forma di religiosità capovolta, sacralità atea e negazione dell’unico vero Dio”.

“Essa – proseguono – si poggia su legami familiari, che rendono più solidi sia l’omertà, sia i veli di copertura. Utilizzando vincoli di sangue, o costruiti attraverso una religiosità deviata, nonché lo stesso linguaggio di atti sacramentali (si pensi alla figura dei ‘padrini’), i boss cercano di garantirsi obbedienza, coperture e fedeltà. Lì dove attecchisce e prospera svolge un profondo condizionamento della vita sociale, politica e imprenditoriale nella nostra terra”.

Come una “piovra”, dunque, la ‘ndrangheta, attraverso la forza del denaro e delle armi, “stende i suoi tentacoli dove può, con affari illeciti, riciclando soldi, schiavizzando le persone e ritagliandosi spazi di potere”, accusano i vescovi.

E da lì stilano, una dopo l’altra, le crude definizioni della vera natura della mafia: antistato, “con le sue forme di dipendenza, che essa crea nei paesi e nelle città”; anti-religione, “con i suoi simbolismi e i suoi atteggiamenti utilizzati al fine di guadagnare consenso”; struttura pubblica di peccato, “perché stritola i suoi figli”, soprattutto “il debole e l’indifeso”, e “calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”. La ‘ndrangheta è insomma “in tutta evidenza, opera del male e del Maligno”, perché “contro la vita dell’uomo e contro la sua terra”.

Pertanto “l’appartenenza ad ogni forma di criminalità organizzata non è titolo di vanto o di forza, ma titolo di disonore e di debolezza, oltre che di offesa esplicita alla religione cristiana”.

Ma questa ‘incompatibilità’ non riguarda solo la vita religiosa – annota la Conferenza Episcopale -, bensì “l’essere umano in generale”. Quell’essere umano che in una “terra meravigliosa” come la Calabria, è per sua natura “dal cuore aperto ed accogliente”, “capace di grandi sacrifici”, ma che è soffocato tuttavia da disoccupazione, corruzione, da “una politica che tante volte sembra completamente distante dai veri bisogni della gente”.

Questi, affermano i vescovi, “sono tra i mali più frequenti della nostra terra, segnata dalla triste presenza della criminalità organizzata, che le fa pagare un prezzo durissimo in termini di sviluppo economico, di crisi della speranza e di prospettive per il futuro”.

Dinanzi a tale scenario “la Chiesa si china sull’uomo ferito e grida il suo dolore e la sua indignazione”. La Chiesa Calabra, in particolare – si legge ancora nella pastorale – “avverte il grido di un popolo e di un territorio ferito nella sua dignità; accompagna il cammino sofferente di chi porta sulle spalle il peso di frequenti ingiustizie e di atteggiamenti estorsivi dentro i quali la mancanza di lavoro si salda con la piaga del lavoro nero; il ricatto e l’usura si sposano con la promessa di guadagni facili attraverso la chimera del gioco d’azzardo e, sulla frontiera devozionale, all’intercessione dei santi patroni del cielo si sostituisce l’affidamento ai ‘padrini’ di questa terra”.

A questo potere che permea singoli e istituzioni, la Conferenza Episcopale calabrese suggerisce di opporre un serio impegno in politica da parte dei cristiani: “Non bisogna disertare la politica, anche se casi di corruzione spingerebbero a cedere alla tentazione di farsi da parte”, dicono i vescovi.

“Il cammino è lungo”, non c’è dubbio, ma cominciando “dalla presa di distanza alle forti denunce, dalla presa di coscienza alla testimonianza”, è possibile giungere passo dopo passo “al deciso appello al pentimento, alla conversione, alla pacificazione del cuore di fronte alla luce del Vangelo”. E anche per i criminali più incalliti c’è una speranza di conversione.

Già adesso, al di là di tutto, – evidenziano i vescovi – “accanto alla gramigna silenziosamente cresce il campo del bene che si distingue per la sua luminosità e la sua coerenza”. Un campo – affermano –  “seminato dal lavoro capillare e feriale di pastori e di laici che, nella predicazione, nella catechesi, nell’impegno sociale, hanno dissodato e coltivano il terreno, perché cresca il buon grano”.

“Vogliamo infondere coraggio – concludono quindi i presuli – e soprattutto, rilanciare la fiducia nelle grandi capacità dei calabresi, credenti e persone di buona volontà, troppo spesso vanificate dalla indifferenza, dalle omissioni, dalla mancanza di impegno e dalla rassegnata indulgenza di molti”.

“La parola chiave è una sola: Vangelo!”, lo stesso di cui le mafie sono acerrime “nemiche”. Come nemiche lo sono anche “per il presente e l’avvenire della nostra Calabria” e per l’anima dell’intera comunità umana.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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