L'amore sino alla fine

Commento al vangelo della Messa “in Coena Domini”

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“Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” scriveva San Paolo ai Corinzi, e oggi scrive a noi. E qual è il tesoro più grande che l’Apostolo ha ricevuto direttamente da Gesù? Il suo amore fatto carne e sangue, “l’amore sino alla fine” di ogni carne e sangue, perché la fine diventi “l’inizio dei mesi”. Perché il sepolcro e la morte, la fine che ogni uomo sfugge impaurito, diventino il grembo di una vita nuova.

Fratelli, anche io oggi vi annuncio quello che la Chiesa ha trasmesso di generazione in generazione, il suo tesoro più grande: la Pasqua, ovvero il passaggio di Gesù dalla morte alla vita, la risposta ad ogni tua sofferenza, allo smarrimento del mondo, al peccato che uccide ogni uomo. Vi annuncio la vittoria di Cristo sulla morte, che si va a realizzare nella nostra vita in questa Pasqua del 2015.

Stasera, infatti, ha inizio la notte delle notti, la notte della liberazione! Ma per entrarvi dobbiamo scendere anche noi in Egitto con il Popolo di Israele. O meglio, guardare alla nostra vita di oggi, degli ultimi tempi, forse a tutta la nostra storia, per scoprire che l’abbiamo vissuta in Egitto. 

Pensa bene a quale sia la piramide che il faraone ti sta obbligando a costruire. Pensa se dietro a tanta fatica nei rapporti, tanto sudore sul posto di lavoro, non vi sia la tirannia del demonio che, in tutto, ti obbliga a fare mattoni per lui. Satana, infatti, si nasconde sempre nel nostro ego: ci illudiamo di sforzarci per resistere e non morire, per arraffare un po’ di vita attraverso l’affetto degli altri, la stima, il denaro, il prestigio, le cose, mentre sono solo mattoni che impastiamo senza tregua per erigere un mausoleo alla memoria del demonio.

Come fu per Israele, la Pasqua ci coglie dunque schiavi in Egitto, che significa “angoscia”, quella che ci prende al pensiero del futuro, della precarietà, della sofferenza e della morte. Ma proprio nel mezzo di questa terra che abitiamo e che non è la nostra, in questa schiavitù a difendere noi stessi e le nostre idee, i nostri criteri, il nostro onore di fronte a moglie e figli; in questa notte che avvolge il profilo di chi ci è accanto facendocelo apparire per quello che non è, in questa nostra vita viene Cristo per donarci se stesso, e fare di tutti noi i suoi amici che gli assomiglino, perché “come uno è, così sarà il suo amico” (Sir. 6,17). 

Per questo oggi Dio stesso si inchina dinanzi a ciascuno di noi mettendosi ai nostri piedi. La superbia che ci ha fatto assomigliare al demonio, il falso amico che ha comprato la nostra amicizia con le sue false promesse, si può infrangere solo su quest’amore inimmaginabile. L’amore sino alla fine.

Oggi Gesù è in ginocchio per fare giustizia dell’Egitto e del faraone. Si umilia dinanzi a me e a te per lavare nel suo sangue ogni macchia, liberarci dalla schiavitù, e accompagnarci in un autentico esodo che dimentichi e lasci dietro le spalle i peccati antichi. Lui è oggi prostrato davanti a noi, per lavare i nostri piedi affinché essi ci facciano entrare nella Pasqua.

E’ necessario che oggi ci lasciamo lavare i piedi da Gesù, “altrimenti non avremo parte con Lui” della vita eterna. E’ necessario deporre l’arroganza di Pietro, celata in una falsa umiltà che avrebbe compreso solo dopo il tradimento. Ma noi i tradimenti dell’amore di Gesù ce li abbiamo davanti, vero? Ne basterebbe uno, quel giudizio che ha ucciso da tempo nel tuo cuore quel fratello. Lasciamo che Cristo ci ami ancora una volta, perché il suo amore trafigga finalmente il nostro cuore, e prenda possesso di noi.

Fratelli, stiamo entrando nel cuore della Pasqua, che è il cuore di Dio. Abbiamo bisogno di consegnare la nostra carne incapace di servire ai gesti umili di Cristo. Sì, la sua umiltà, il suo annientamento dinanzi a ciascuno di noi, il suo scendere più in basso di quanto non siamo precipitati, deve stasera scuoterci, stordirci, commuoverci in ogni fibra del nostro essere. Dobbiamo restare sbigottiti di fronte allo spettacolo del nostro Dio, del Dio che ci ha creato, dell’Onnipotente, che si sbriciola nelle nostre mani e si scioglie nella nostra bocca; che si spoglia completamente delle sue vesti di splendore, della sua dignità, per restare nudo ai nostri piedi, nudo come noi che abbiamo mangiato del frutto che ci era stato proibito; che si cinge di umiltà come un prode valoroso, per far giustizia e sterminare il principe dell’orgoglio con le armi del servizio. Dobbiamo sentirci trafiggere il cuore dal troppo amore di Cristo, perché Egli possa guarirci dalla superbia e donarci il suo Spirito, la vita nuova che ci fa inchinare dinanzi ai nostri fratelli.

Gesù sapeva che proprio quella era la sua “ora”: l’umiliazione lo avrebbe fatto passare al Padre dal quale, umiliandosi, era venuto. E stasera sa che quell'”ora” si rinnova per ciascuno di noi. Deve di nuovo servirci per farci passare con Lui dall’incapacità di amare sino alla fine i fratelli, alla libertà di umiliarsi e rinunciare a noi stessi per amore di chi ci è accanto, anche del nemico. Siamo stati creati in Lui per vivere come Lui. Se non sapremo servire getteremo la vita nell’inutilità e nella sofferenza della frustrazione. Per questo stasera Gesù viene nel nostro Egitto per purificarci da ogni macchia di orgoglio e donarci se stesso, la sua carne e il suo sangue nella nostra carne e nel nostro sangue.

L’Eucarestia, infatti, è lasciarsi trasformare in Cristo per “fare come Lui”, per “seguire il suo esempio”, come le mani si muovono in virtù del sangue che le irrora. E’ “annunciare la sua morte” in noi, ovvero il suo dono per amore nei nostri gesti, nelle nostre attitudini, nei pensieri e nelle parole, “nell’attesa che Egli venga” a trasformarla in vita. L’Eucarestia è il suo Mistero Pasquale che, celebrato nell’assemblea cristiana, si compie nella vita quotidiana di ogni cristiano. Se la Chiesa, infatti, attende il ritorno del Signore, anche noi ci offriamo al fratello nell’attesa che Cristo venga a trasformare quel gesto in riconciliazione e salvezza per entrambi. 

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Antonello Iapicca

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