L'amore è la nostra essenza (seconda parte)

Intervista con il professor Rob Faesen, esperto in letteratura mistica dei Paesi Bassi e delle Fiandre

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di Paola De Groot-Testoni

ROMA, martedì, 6 marzo 2012 (ZENIT.org) – La prima parte dell’intervista al professor Rob Faesen è stata pubblicata lunedì 5 marzo 2012.

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Qual è stato il ruolo o l’influenza dei tedeschi o piuttosto dei mistici “renani”, come Ildegarda di Bingen (circa due secoli prima Ruusbroec) e Meister Eckhart?

Faesen: Mi sembra difficile considerare insieme Hildegard e Eckhart, anche se entrambi sono esponenti di una teologia contemplativa. Nella vita intellettuale del tardo Medioevo, questa dimensione contemplativa diventava a mano a mano sempre meno evidente. E mi sembra che Eckhart nel XIV secolo, ha voluto precisamente fare un tentativo di inserire nuovamente la contemplazione radicale nel pensiero accademico cioè nel posto che gli spettava. Il giudizio di alcune frasi del suo lavoro da parte di Papa Giovanni XXII nel 1329 è significativo. Infatti, nel testo della sentenza si dice che alcune di queste frasi hanno anche un significato ortodosso, ma che devono essere spiegate meglio e più dettagliatamente. Il tentativo di Eckhart di integrare la dimensione contemplativa apparentemente non fu del tutto riuscito. Due secoli prima, ai tempi di Hildegard, questo era diverso. Un esempio significativo: i monaci dell’abbazia di Villers avevano una serie di domande teologiche, e per questo scrissero una lettera alla visionaria Hildegard, non ai docenti dell’Università di Parigi.

Questi autori, spesso poco conosciuti, sembrano appartenere al passato. È così?

Faesen: Infatti, in un certo senso, è vero: quando li ascoltiamo, sentiamo una voce dal passato. Una voce che suona diversa rispetto a quelle del nostro tempo, forse strana, insolita. E mi sembra giusto non scavalcarla troppo in fretta. E, non troppo in fretta, adeguarla a quelle del nostro tempo. Perché questi scrittori sono in grado – proprio perché così “strani” – di aprire i nostri occhi a dimensioni che sono inusuali nella nostra epoca, ma non per questo meno importanti. Una di queste dimensioni è il grande rispetto per la persona umana. I mistici cristiani dei Paesi Bassi di allora hanno una grande attenzione reverenziale per la persona umana, perché ogni uomo ha una vocazione molto speciale ad amare Dio. Come si è già detto, secondo loro, l’amore non è qualcosa “in più” nella vita umana, ma è l’essenza dell’uomo stesso, più profondo del suo pensiero, del suo volere, della sua maniera di sentire. E, naturalmente, l’amore è personale. Nessuno può amare Dio al mio posto. In questo senso, apre i nostri occhi al valore unico di ogni essere umano. L’uomo è più di un ingranaggio sostituibile nella macchina socio-economica. Ancora di più, questi autori sono in grado di aprire i nostri occhi sull’abisso della persona umana. La caratteristica più profonda dell’uomo è l’apertura a Dio, un’apertura abissale. L’uomo non è, in ultima analisi, un’identità chiusa, nessun “io”, ma è essenzialmente una relazione.

Oggi c’è una fioritura di spiritualità orientali e pratiche come il buddismo e il Reiki. Questo significa che le persone, attratte dall’esotico, stanno dimenticando le proprie radici?

Faesen: Questo fenomeno può essere visto in due modi. In primo luogo, penso che sia un segnale che la vita interiore delle persone non è completamente persa. La nostra cultura contemporanea è fortemente rivolta all’esteriore, e si può vedere questo interesse come un contro-movimento. Apparentemente queste persone sentono che c’è una dimensione più interna, che vale la pena di essere scoperta. In secondo luogo, può essere davvero un segnale che semplicemente non si conosce la tradizione spirituale cristiana. Secondo la mia maniera di vedere la tradizione cristiana è altrettanto affascinante, impegnativa e radicale. Quello che si cerca nelle tradizioni orientali (o per meglio dire: nella rappresentazione occidentale di queste tradizioni) è già presente anche nella tradizione cristiana. O meglio, quella cristiana va oltre a ciò che spesso si cerca in quella orientale. Infatti, gli autori mistici cristiani non cercano principalmente l’armonia interiore, ma il compimento del duplice comandamento dell’amore.

Si prevede di fare qualcosa per rendere questi mistici più noti al grande pubblico?

Faesen: In realtà succede già. La società Ruusbroec dell’Università di Anversa esiste dal 1925, e il suo primo compito è uno studio scientifico dei testi spirituali e mistici dei Paesi Bassi. Ma fin dall’inizio, si è cercato di renderli conosciuti anche in ambienti più ampi e ciò accade anche oggi. Ci sono molte iniziative per far conoscere i testi mistici alle persone che sono interessate. Ad esempio, ogni estate nella Abbazia di Drongen (nei pressi di Gand), viene organizzata da oltre quindici anni un settimana di studio sulla letteratura mistica. Ci sono ogni anno circa un centinaio di partecipanti. Relativamente nuovi sono invece gli inviti a volte inattesi provenienti dall’estero. Pochi mesi fa, per esempio sono stato invitato da due delle migliori università in Cina (Nankai University, di Tianjin, e Renmin University di Pechino), e mi ha colpito quanto interesse gli studenti cinesi avessero per questi autori mistici. Tra l’altro, non era la prima volta. Nel 1998 c’è stata una simile sessione di studio su Ruusbroec all’Università di Pechino. E di recente è stata pubblicata una traduzione in cinese di alcune importanti opere di Jan van Ruusbroec nella Repubblica Popolare.

Lei è un Gesuita, un “figlio spirituale” di Sant’Ignazio di Loyola. Nonostante le differenze significative tra loro, ci sono punti di incontro tra la mistica fiamminga e la spiritualità ignaziana?

Faesen: Sicuramente. Direi che Ignazio appartiene al movimento spirituale di fine medioevo della Moderna Devotio. Questo movimento non è strettamente un movimento mistico, ma ha cercato di dare alla vita interiore, quante più opportunità possibili. Si potrebbero descriverlo come un ampio sviluppo della cultura europea occidentale in cui si dava ogni giorno un grande valore alle esperienze interiori. Non che in tal modo gli aspetti esteriori venissero considerati superflui. Ma si provava il più possibile a sfruttare il potenziale dell’“interiore”. Lo si può anche vedere nei dipinti per esempio di Rogier van der Weijden o Dirk Bouts. Quest’ultimo è stato è stato definito a volte il “pittore del silenzio” di cui parla. Credo che sia in questa linea che si può capire meglio la spiritualità d’Ignazio. I suoi “Esercizi Spirituali” mostrare la sua cura di creare un rapporto davvero personale con Cristo. Questo è di grande attualità anche oggi. Ebbene, questo movimento della Devotio Moderna ha le sue radici in Jan van Ruusbroec. Il fondatore della Devotio Moderna, il dotto diacono Geert Grote da Deventer, conosceva personalmente Jan van Ruusbroec  e lo ammirava molto. Ha tradotto i suoi testi in latino, ed è andato anche nel monastero di Ruusbroec per parlare con lui. Senza dubbio, l’ideale della Devotio Moderna è stato ispirato dalla preoccupazione di Ruusbroec per una più profonda esperienza interiore della fede. Ignazio di Loyola, ha ereditato totalmente questa preoccupazione. Anche altri aspetti possono essere considerati. Spesso pensiamo che “contemplativi nell’azione” sia un tipico assunto ignaziano. Ma già da prima era stato molto ben formulato da Jan van Ruusbroec. La sua immagine del contemplativo cristiano maturo (o mistico) non è una persona che scompare in Dio, ma qualcuno che è completamente uomo tra gli uomini, e che li ama grazie all’abbondanza dell’amore ricevuto di Dio. Anche nella riflessione di Hadewijch questo tema
è centrale. In realtà, questo ha molto a che fare con l’umanesimo cristiano. Ignazio ne è un noto esponente, ma è completamente in linea con gli antichi mistici.

(La terza e ultima parte dell’intervista al prof. Faesen sarà pubblicata domani, mercoledì 7 marzo)

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ZENIT Staff

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