L'amore di Dio precede tutto. Anche la tentazione di mercanteggiare con Lui

Nell’Udienza generale, il Papa inizia un nuovo ciclo di catechesi sulla Chiesa, a partire dalla chiamata di Dio ad Abramo che inaugurò una storia di salvezza tra un Dio fedele e un popolo spesso infedele

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Nuova stagione, nuovo ciclo di catechesi. Dopo le riflessioni sui sette doni dello Spirito Santo, Papa Francesco saluta l’arrivo dell’estate con una serie di catechesi dedicate alla Chiesa, durante l’Udienza generale del mercoledì. Prima, però, fa i “complimenti” ai numerosi fedeli per la loro presenza massiccia in piazza San Pietro, nonostante il cielo di Roma minacci il diluvio.

“Oggi incomincio un ciclo di catechesi sulla Chiesa”, annuncia poi Francesco, e aggiunge: “È un po’ come un figlio che parla della propria madre, della propria famiglia”. Perché  la Chiesa è questo: una mamma che abbraccia i propri figli, – sottolinea il Pontefice – e non “un’istituzione finalizzata a se stessa o un’associazione privata, una ONG”. Tantomeno, bisogna considerare la Chiesa valutando solo il suo operato o restringendo lo sguardo al clero o alla Santa Sede. “Mi dicono: ‘La Chiesa dice questo, dice quello..’. Rispondo: ‘Di chi parli tu?’. Attenzione a non restringere la Chiesa ai preti, ai vescovi, al Vaticano”.

“La Chiesa è una realtà molto più ampia – afferma il Santo Padre –  che si apre a tutta l’umanità e che non nasce improvvisamente”. Essa è “un popolo con una storia lunga alle spalle e una preparazione che ha inizio molto prima” che Cristo stesso la fondasse.

Proprio da questa “preistoria”, presente nelle pagine dell’Antico Testamento, si snoda la riflessione del Vescovo di Roma. Da quei momenti, cioè, in cui Dio chiamò Abramo, “nostro padre nella fede”, a lasciare “la sua patria terrena” per andare verso la terra che Lui gli avrebbe indicato. Una “vocazione”, questa, che coinvolge fin dall’inizio anche la parentela dell’arameo e tutti coloro a servizio della sua casa, e che culmina nella promessa divina di “una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia del mare”.

È questo il punto, spiega il Pontefice: “Cominciando da Abramo Dio forma un popolo perché porti la sua benedizione a tutte le famiglie della terra. E all’interno di questo popolo nasce Gesù”. Tuttavia, bisogna distinguere il fatto che “non è Abramo a costituire attorno a sé un popolo, ma è lo stesso Dio a dare vita a questo popolo”.

Un “qualcosa di inaudito”, osserva il Papa: un Dio che prende l’iniziativa e rivolge la sua parola all’uomo, “creando un legame e una relazione nuova con lui”. Un Dio che “forma un popolo con tutti coloro che ascoltano la sua Parola e che si mettono in cammino, fidandosi di Lui”. Grazie a questo primo passo del Creatore, ogni creatura può “avere una conversazione” con Lui che è “la preghiera”. “L’unica vera condizione è fidarsi di Dio, ascoltarlo e mettersi in cammino”.

Perché “l’amore di Dio precede tutto”, afferma il Papa, e proprio su questo amore si fonda la fede di Abramo, che si mette in cammino – “anche senza un libro di teologia” – con la sua carovana pur non sapendo bene “chi sia questo Dio e dove li voglia condurre”.

Questo “non significa che siano sempre convinti e fedeli…”, dice Bergoglio. Anzi, “fin dall’inizio ci sono le resistenze, il ripiegamento su sé stessi e sui propri interessi e la tentazione di mercanteggiare con Dio e risolvere le cose a modo proprio”. Sono cioè, tutti quei “tradimenti e i peccati” che segnano il cammino del popolo lungo la storia della salvezza. Una storia caratterizzata proprio dal dualismo tra la “fedeltà di Dio” e “l’infedeltà del popolo”.

“Dio, però, non si stanca – ribadisce, come sempre, Papa Francesco  – Dio ha pazienza, tanta pazienza, e nel tempo continua a educare e a formare il suo popolo, come un padre con il proprio figlio. Dio ti aspetta sempre, e se sei stato un peccatore grosso ti aspetta di più”.

Questa è “la bellezza della Chiesa”, verso la quale Cristo mantiene lo stesso atteggiamento di amore fedel: “Anche noi infatti, pur nel nostro proposito di seguire il Signore Gesù, facciamo esperienza ogni giorno dell’egoismo e della durezza del nostro cuore”, osserva il Papa. Quando però “ci riconosciamo peccatori, Dio ci riempie della sua misericordia e del suo amore”, grazie ai quali  possiamo “crescere come popolo di Dio, come Chiesa”. “Essere Chiesa è sentirsi nelle mani di Dio che ci accarezza”, afferma infatti il Santo Padre.

In altre parole, quindi, “non è la nostra bravura”, né “i nostri meriti” a rendere la Chiesa salda da oltre 2000 anni, ma “è l’esperienza quotidiana di quanto il Signore ci vuole bene e si prende cura di noi”. Una esperienza che, giorno dopo giorno, da secoli, “ci fa sentire davvero suoi, nelle sue mani, e ci fa crescere nella comunione con Lui e tra di noi”.

Il “progetto di Dio”, conclude il Santo Padre, è dunque “formare un popolo benedetto dal suo amore e che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra”. Un progetto che “non muta”, che “è sempre in atto” e che “in Cristo ha avuto il suo compimento”. Un progetto che “ancora oggi Dio continua a realizzarlo nella Chiesa”.

L’esortazione del Vescovo di Roma è pertanto a chiedere al Singore “la grazia di rimare fedeli e pronti a partire ogni giorno verso la nostra vera patria e diventare benedizione”. Sarebbe “bello” infatti – conclude – che il sinonimo della parola cristiani fosse “gente che benedice Dio e tutti gli altri”.

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[Testo completo dell’Udienza Generale: http://www.zenit.org/it/articles/essere-chiesa-e-sentirsi-nelle-mani-di-dio]

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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