L'Amore comanda di amare

Lectio Divina per la 30ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la 30ª Domenica del Tempo Ordinario – Anno A.

Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.

***

LECTIO DIVINA

Rito Romano – XXX Domenica del Tempo Ordinario –  Anno A – 26 ottobre 2014
Es 22,21-27; Sal 17; 1Ts 1,5-10; Mt 22,34-40

Rito Ambrosiano – Domenica dopo la Dedicazione – ‘Il mandato missionario’
At 10,34-48a; Sal 95; 1Cor 1,17b-24; Lc 24,44-49a

1) L’Amore totale. Gesù è stato tra gli uomini e Lui, l’Emmanuele, vi resta perché ci ama. Per accorgerci di questo amore e viverne dobbiamo prima di tutto essere semplici. I semplici, come i bambini, sentono “d’istinto” chi li ama, gli credono, e sono felici quando arriva – anche il viso diventa subito un altro – e il loro volto si intristisce quando riparte. Questi semplici, questi poveri ascoltano Cristo perché capiscono che è venuto apposta per loro, per annunziare loro la buona e lieta novità dell’Amore di Dio. Nessuno aveva parlato di loro come Lui. Nessuno aveva mostrato di amarli tanto.

Quando Gesù aveva finito di parlare si accorgevano che gli anziani, i farisei, gli uomini che sapevano leggere e guadagnare, scuotevano la testa in atto di malaugurio, e si alzavano storcendo la bocca e ammiccando tra loro, fra dispettosi e scandalizzati, borbottando una cauta disapprovazione.

Ma nessuno rideva, per paura degli ultimi: i Poveri, i Pastori, i Contadini, gli Ortolani, i Fabbri, i Pescatori, i Lebbrosi, insomma i Rifiutati. Questi non potevano staccare gli occhi da Gesù. Avrebbero voluto che continuasse ancora a parlare, perché un sollievo di luce veniva (e viene) dalle sue parole di sapiente amore.

Queste parole d’amore Gesù le dice pure per chi lo interroga, anche se lo fa per metterlo alla prova. Al dottore della Legge che Gli chiede: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento1?” Gesù dà una risposta semplice ed efficace e cita due versetti della Torah che racchiudono l’esperienza di Israele, ricordandoci che solo amando Dio con tutto noi stessi saremo in grado di amare veramente il prossimo, perché lo ameremo con lo stesso amore di Dio. Cristo ribadisce che tutto il cuore, l’anima, la mente sono attratti dall’amore eterno di Dio, e ci dice anche che dei due comandi, antichi e noti, il secondo è simile al primo. Il prossimo allora diventa simile a Dio, e ha voce e cuore “simili” a Dio. Dio non riserva lo spazio del nostro cuore solo per Lui, ma lo amplifica e ci rende capaci di amare di un amore pieno il prossimo: la moglie, il marito, i figli, gli amici, i fratelli e le sorelle della comunità.

Al sapiente della Legge Gesù risponde da Sapiente del cuore. Lui sa che la creatura ha bisogno di molto amore per vivere bene. E offre il suo Vangelo come via per la pienezza e la felicità di questa vita. “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Mt 22, 37). Per tre volte nel vangelo di Matteo, quattro volte in quello di Marco che aggiunge “con tutte le tue forze” (Mc 12, 30), Gesù ripete che l’unica misura dell’amore è amare senza misura.. Se amiamo Dio senza mezze misure, il cuore è capace di amare i tuoi familiari, gli amici, noi stessi, Dio non è geloso, non ruba il cuore: lo moltiplica. Totalità non significa esclusività, dunque:

Ama Dio

– con tutto il cuore: Gesù non parla di “cuore” col significato che oggi daremmo noi a questa parola. Egli la usa in senso biblico, come termine che esprime la realtà più profonda della persona umana. “Amare Dio con tutto il cuore” vuol dire allora voltare tutto il proprio essere e il proprio agire verso Dio, in uno slancio di amore.

“Con tutta l’anima”, che vuol dire la vita, il nostro “spazio intimo” abitato da Dio.“L’amore è l’ala, che Dio ha dato all’anima per salire sino a lui” (Michelangelo Buonarroti). Chi ama con l’anima vede meglio che con gli occhi e il suo amore è puro.

– Con tutta la mente, la quale racchiude il pensiero e l’intelligenza. L’amore rende intelligenti, fa capire prima, andare più a fondo e più lontano.

– Con tutte le forze, che vuole dire l’insieme di tutte le energie. L’amore rende forti, capaci di affrontare qualsiasi ostacolo e fatica.

2) Due caratteristiche dell’amore vero: grato e gratuito.

Nel Vangelo di Matteo, che la Liturgia ci propone oggi, ritroviamo Gesù alle prese con i farisei, che vivevano nella tentazione di ridurre la morale a una serie di norme esteriori preoccupandosi solo dell’apparenza.

La risposta del Messia è semplice ed efficace e cita due versetti della Legge dell’Antico Testamento, la Torah, che racchiudono l’esperienza di Israele, ricordandoci che solo amando Dio con tutto noi stessi saremo in grado d’amare veramente il prossimo, perché lo ameremo con lo stesso amore di Dio.

Da dove cominciare per amare? Dal lasciarsi amare da Lui, che entra, dilata, allarga le pareti di questo piccolo vaso che è ciascuno di noi. Noi siamo degli amati che diventano amanti di Cristo. La conseguenza, come la si vede in una coppia di innamorati in cui uno ama ciò che l’altro ama, è che dobbiamo amare quello che Cristo ama. E non solo: dobbiamo amare come Lui ama.

Dunque dobbiamo vivere Cristo come ideale della nostra vita. E cosa vuol dire che Cristo è l’ideale della nostra vita? E’ l’ideale per il modo con cui trattiamo le persone, per il modo con cui viviamo l’affetto, con cui concepiamo la vita e guardiamo alle cose e alle persone. Con cui viviamo i rapporti in famiglia, in parrocchia, in comunità sul posto di lavoro. Cristo quale ideale della vita pone due caratteristiche, non sono le sole ma oggi sottolineo queste: la gratitudine e la gratuità.

Un cuore grato è sempre un cuore fedele e la capacità di essere grati, di dire: “grazie”, è il segno –secondo me- della maturità cristiana.

Ci sono momenti nella vita – credo valga per tutti- in cui si sperimenta, già qui sulla terra, il ‘paradiso’, la vera grandezza e bellezza dell’uomo, ed è stato quando ci si è sentiti amati da qualcuno (mamma, papà, fidanzato/a, moglie, marito). Un’esperienza di amore, quello vero, quello del cuore, che non ho dubbi di poterla paragonare ad un ‘assaggio’ di Paradiso e di dire che il modo migliore di gustarla è quella di dire : “Grazie”, riconoscendo che non ci facciamo da noi, che tutto ci è donato. La gratitudine poi innesta in noi la gratuità: ami senza pensare di essere amato. Guardi all’Altro e all’altro, come la Madonna guarda a Cristo: non perché è suo, ma perché c’è.

Questa è la purezza assoluta. Facciamo umilmente lo sforzo di immedesimarci in questa assolutezza della purezza. Una purezza di gratuità che rende la vita incorruttibile: Nella gratuità il rapporto umano non è caduco, perché con Cristo e in Cristo non si sta insieme per un interesse, per un calcolo, per un tornaconto, ma per fede e per amore.

Certo, l’amore per Dio è il più grande e il primo: il primato di Dio è affermato senza esitazione. L’amore per l’uomo viene per secondo. Dicendo però che “il secondo è simile al primo”, Gesù afferma che tra i due comandamenti c’è un legame molto stretto.

Certo è diversa la misura: l’amore per Dio è “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente”. L’amore per l’uomo è “come se stessi”. La totalità appartiene solo al Signore: Lui solo deve essere adorato. Ma l’appartenenza al Signore non può essere senza l’amore per l’uomo. Non si tratta di due
comandamenti paralleli, semplicemente accostati. E neppure basta dire che il secondo si fonda sul primo. Molto di più: il secondo concretizza il primo.

Un esempio di come vivere questi due comandamenti lo possiamo vedere nelle Vergini consacrate nel mondo. Il loro stile di vita e il loro modo di essere è quello di partire dalla loro consacrazione a Dio e parlare sempre di Dio soprattutto con la testimonianza della vita. Queste donne mostrano che Dio va sempre messo al primo posto e che l’essere umano è fatto per Dio: ecco ciò che non va mai dimenticato, neppure là dove la povertà e l’ingiustizia sono grandi, là dove la società tende a costruirsi senza Dio e ciò è sempre contro l’uomo. Queste consacrate vivono la vita come missione e con la grazia di Dio mostrano che è possibile amare castamente, perdonare completamente, servire gratuitamente e gioiosamente. In loro il cuore ha preso il comando, ma è il Cuore di Cristo.

*

LETTURA PATRISTICA 

Sant’Agostino d’Ippona (+ 430)  
Sermo 34, 7-8

       Bene, fratelli miei, interrogate voi stessi, scuotete le celle interiori: osservate, e vedete bene se avete un po’ di carità, e quel tanto che avrete trovato accrescete. Fate attenzione ad un tale tesoro, perché siate ricchi dentro. Certamente, le altre cose che hanno un grande valore, vengono definite «care»; e non invano. Esaminate la consuetudine del vostro linguaggio: questa cosa è più cara di quella. Che vuol dire è più cara, se non che è più preziosa? Se si dice più cara, cos’è più prezioso; cos’è più caro della carità stessa, fratelli miei? Qual è, riteniamo, il suo valore? Da dove deriva il suo valore? Il valore del frumento: il tuo danaro, il valore di un fondo: il tuo argento; il valore di una gemma: il tuo oro; il valore della carità sei tu stesso. Tu chiedi peraltro di sapere come possedere il fondo, la gemma, il frumento; come comprare e tenere presso di te il fondo. Ma se vuoi avere la carità, cerca te e trova te. Hai paura infatti di darti per non consumarti? Anzi, se non ti doni, ti perdi. La stessa carità parla per bocca della Sapienza, e ti dice qualcosa perché non ti spaventi quanto vien detto: Dona te stesso. Se uno infatti ti vuol vendere un fondo, ti dirà: Dammi il tuo oro; e chi ti vuol vendere qualcos’altro: Dammi il tuo danaro, o dammi il tuo argento. Ascolta ciò che ti dice la carità per bocca della Sapienza: “Dammi il tuo cuore, figlio mio” (Pr 23,26). «Dammi», dice: cosa? «Il tuo cuore, figlio mio». Era male quando era da te, quando ti apparteneva: infatti eri portato alle futilità ed agli amori lascivi e perniciosi. Toglilo di là. Dove lo porti?Dammi, egli dice, il tuo cuore. Sia per me, e non si perda per te. Osserva, infatti, cosa ti dice, allorché vuole rimettere in te qualcosa, perché tu ami soprattutto te stesso: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente” (Mt 23,37Dt 6,5). Cosa rimane del tuo cuore, per amare te stesso? Cosa della tua anima? E cosa della tua mente? Con tutto, egli dice. Tutto te stesso esige, colui che ti ha fatto.

       Però, non esser triste quasi non ti resti nulla di che rallegrarti in te stesso. “Gioisca Israele“, non in sè, “bensì in colui che lo ha fatto” (Ps 149,2)

       “Il prossimo quanto deve essere amato?” Risponderei e direi: Se nulla mi è rimasto, come mi amerò; poiché mi si ordina di amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente colui che mi ha fatto, in che modo mi si ordina il secondo precetto di amare il prossimo come me stesso? Il che è più che il dire di amare il prossimo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. In che modo? “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,37Mt 22,39). Dio con tutto me stesso: il prossimo come me. Come me, così te? Vuoi sentire come ti ami? Per questo ti ami, poiché ami Dio con tutto te stesso. Ritieni infatti di avanzare con Dio, perché ami Dio? E poiché ami Dio, si aggiunga qualcosa a Dio? E se non ami, avrai di meno? Quando ami, tu progredisci: lì tu sarai dove non perirai. Ma mi risponderai e dirai: Quando infatti non mi sono amato? Non ti amavi affatto, quando non amavi Dio che ti ha fatto. Anzi quando ti odiavi credevi di amarti. “Chi infatti ama l’iniquità, odia la sua anima” (Ps 10,6).

*

NOTE

1 E’ utile ricordare che i rabbini avevano ricavato dalla Torah ben 613 precetti, così da applicare a tutte le situazioni possibili della vita le norme sempre prioritarie dei 10 comandamenti. Ovviamente anche il giudeo più rigorosamente osservante doveva smarrirsi in quella selva di prescrizioni e quindi i maestri ebrei cercavano di individuare una gerarchia, opportune distinzioni e soprattutto un principio unificatore di tanti dettami; di qui la domanda a Gesù.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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