L'albero in piazza San Pietro riavvicina la Chiese cattolica e ortodossa ucraine

Intervista all’arcivescovo Svioatoslav Schevchuck e l’eparca Milan Sasik alla cerimonia di illuminazione

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CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 18 dicembre 2011 (ZENIT.org) – L’albero di natale a piazza San Pietro, una tradizione nata dalla volontà di Giovanni Paolo II, querst’anno ha rappresentato un motivo di avvicinamento con la Chiesa ortodossa.

L’abete rosso, di 30,5 metri di altezza, proveniente dalla regione ucraina di Zakarpattya, si è illuminato quando un bimbo del Paese, vestito tradizionalmente, ha premuto l’interruttore. 

Presenti alla cerimonia: Sua beatitudine Svioatoslav Schevchuck, arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc; l’arcivescovo Mieczysław Mokrzycki, di Leopoli dei Latini; l’eparca Milan Sasik, di Mukachevo, e altri rappresentanti della Chiesa ortodossa, guidati dall’arcivescovo di Poltava e Myrhorod.

“L’albero di Natale che l’Ucraina offre oggi al Santo Padre è il simbolo dell’unità e della pace natalizia della nostra terra – ha detto sua beatitudine Svioatoslav Schevchuck – ma anche un simbolo dell’unità e pace della Chiesa cattolica dell’Ucraina, esistente nel rito bizantino e latino, nonché testimone di devozione e unione al successore di Pietro, papa Benedetto XVI”.Un simbolo, ha aggiunto l’arcivescovo, frutto “della collaborazione e della pace tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa ucraina, rappresentata dai nostri fratelli ortodossi, insieme a noi qui in questa antica piazza di San Pietro”.

L’arcivescovo Mieczysław Mokrzycki parlando alle circa duemila persone presenti, ha sottolineato, invece, che il dono avviene nel 20° anniversario dell’indipendenza dell’Ucraina dall’Unione sovietica e nel 10° della visita di Giovanni Paolo II nel Paese.

L’eparca Milan Sasik, dal canto suo, ha ricordato che come l’obelisco di piazza san Pietro ha visto la morte dell’apostolo Pietro, testimone del suo amore verso Cristo come primo Papa di Roma; così l’albero è testimone del loro vescovo martire, Teodoro Romza, vissuto a pochi chilometri dal bosco dove l’albero è stato prelevato, del quale si celebrano i 10 anni della beatificazione  ad opera di Giovanni Paolo II.

Il beato Romzsa, ucciso probabilmente dal Kgb, in tempo di proibizione della fede, meritò di conseguire la palma della gloria per aver conservato la fedeltà alla Chiesa, e con la sua morte diede coraggio a tutto il clero per opporsi alla distruzione della diocesi.

Ben 128 sacerdoti presero, infatti la via della prigionia e l’internamento in Siberia e la Chiesa greco-cattolica continuò a vivere nel nascondimento, in mezzo a continui controlli e persecuzioni, testimoniando la grande fede e il legame con la Sede Apostolica di Roma.

Per capire meglio, poi, la situazione della Chiesa in ucraina, Zenit ha rivolto alcune domande a due autorità religiose presenti.

Il primo punto trattato è la questione dei due riti tra la Chiesa cattolica e gli ortodossi, a cui ha risposto Sua beatitudine Svioatoslav Schevchuck.

“Ci sono due riti della chiesa cattolica, quello latino e quello bizantino”, ha detto l’arcivescovo. “Noi bizantini abbiamo lo stesso rito e la stessa tradizione liturgica, religiosa e spirituale degli ortodossi. Ci sono alcune convergenze ancora da raggiungere e per questo esiste un dialogo teologico ecumenico”.

Parlando del periodo dopo il comunismo, l’eparca Milan Sasik, ha spiegato a Zenit che “la nostra Chiesa cattolica di rito bizantino è stata soppressa per più di quarant’anni. Grazie a Dio, alla fine del 1989 è uscita la legge di Gorbaciov sulla tolleranza e libertà religiosa. Questa ha portato altre problematiche, molte tensioni, perché purtroppo la Chiesa ortodossa nonostante sia stata perseguitata, dopo la Seconda guerra mondiale è stata favorita dallo stato comunista”.

“Questa tensione tra le Chiese è stata superata, è un periodo che grazie a Dio è rimasto già nella storia – ha precisato Sua beatitudine Schevchuck – adesso cerchiamo di andare avanti, tutti vogliono continuare un dialogo di pace e collaborazione”.

Schevchuck ha affermato, inoltre, che “in Ucraina c’è veramente un desiderio da parte di tutti i fedeli di pace e collaborazione fra le Chiese. Noi capi di queste Chiese cerchiamo di rispondere a questo desiderio e si può dire che si sia avviato veramente un dialogo di pace e collaborazione, di cui l’albero ne è simbolo”.

A tal proposito, ha sottolineato come la presenza dell’arcivescovo di Poltava e Myrhorod, rappresentante della Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca, sia “un segno chiaro che cattolici e ortodossi ucraini aspirano alla collaborazione e all’unità”.

L’eparca Milan Sasik, ancora, ha ricordato come “il vero ecumenismo può esistere soltanto nella verità e l’amore”, quindi “non si può parlare di ecumenismo e non dire le verità”. Anche se, ha concluso, “l’unica verità è Gesù ed è questo che ci deve unire e perdonare le offese”. 

Riguardo, poi, al beato Romza, Sasik ha aggiunto: “Abbiamo un martire, un protettore dal cielo, ma abbiamo anche tanti altri martiri, che grazie al loro sangue stanno rinnovando la Chiesa”.

La Chiesa greco-cattolica ucraina, la cosiddetta “Chiesa del silenzio”, ha visto, infatti, la beatificazione, il 27 giugno 2000, di una schiera di 25 martiri, testimoni della fedeltà a Dio in un’epoca di persecuzione da parte del comunismo, con la denominazione ufficiale “Mykolay Charneckyj e 24 compagni”.

Sempre nella medesima occasione Giovanni Paolo II beatificò anche il già citato vescovo Teodoro Romza ed il sacerdote Omeljan Kovc, anch’essi martiri greco-cattolici, senza però includerli nell’elenco del gruppo suddetto.

La Chiesa Cattolica ha inoltre iniziato altre cause relative martiri del regime comunista nell’ex Unione Sovietica: il gruppo ucraino “Pietro Mekelyta e 47 compagni”, del quale fanno parte anche il sacerdote Anatolii Hurhula e sua moglie Irina Durbak, ed i russi “Eduard Profitlich e 15 compagni”.

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ZENIT Staff

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