Kazakistan: beatificato Ladislao Bukowinski, eroe sotto il comunismo

All’Angelus, il Papa ricorda la figura del sacerdote polacco, perseguitato dai sovietici e distintosi per le sue opere di misericordia

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A conclusione dell’Angelus di oggi, papa Francesco ha ricordato la beatificazione, celebrata stamattina a Karaganda, in Kazakistan, di Ladislao Bukowinski (1904-1974), “sacerdote e parroco, perseguitato per la sua fede”.
“Quanto ha sofferto quest’uomo!”, ha sottolineato il Pontefice, secondo il quale il nuovo beato “nella sua vita ha dimostrato sempre grande amore ai più deboli e bisognosi e la sua testimonianza appare come un condensato delle opere di misericordia spirituali e corporali”.
La storia di Bukowinski è simile a quella di molti martiri e perseguitati dal comunismo sovietico. La sua famiglia fuggì dall’Ucraina alla Polonia, nel 1919, due anni dopo la rivoluzione bolscevica.
A Cracovia, il giovane completò gli studi in giurisprudenza presso l’università jagellonica, poi, nel 1926, entrò in seminario e, cinque anni dopo, fu ordinate sacerdote.
Nel 1940, nel pieno dell’invasione sovietica, Bukowinski fu arrestato e condannato a otto anni di gulag. Era diventato un prete scomodo per i comunisti, in quanto carismatico, amato dalla povera gente e strenuo difensore della libertà religiosa.
Scampato ad una fucilazione, nel 1941, il sacerdote uscì di galera e riprese a fare il parroco alla cattedrale di Luck, nella Polonia orientale. Per tutta la durata del conflitto, Bukowinski salvò numerosi bambini, fuggitivi e prigionieri di guerra.
Nel 1945 fu arrestato per la seconda volta e rinchiuso in carcere a Kiev, con l’accusa di essere una spia del Vaticano. Condannato senza processo a dieci anni di lavori forzati, il presbitero fu inviato alle miniere di rame di Zezkazgan, in Kazakistan. Anche nella prigionia, continuò clandestinamente a celebrare messa, predicare, amministrare i sacramenti e visitare i malati.
Nel 1954, venne liberato e mandato a Karaganda, dove lavorò come custode di un cantiere e proseguì di nascosto a celebrare messa e a fare apostolato. Un anno dopo gli venne offerta la possibilità di tornare in Polonia ma Bukowinski rifiuta, per poter rimanere vicino ai cristiani kazaki perseguitati, al punto che chiese e ottenne la cittadinanza sovietica e, lasciato il lavoro, iniziò a girare il paese per evangelizzare.
Arrestato per la terza volta a Karaganda, nel 1960, Bukowinski viene arrestato per la terza volta, con l’accusa di aver fatto costruire illegalmente una chiesa. Scontati altri tre anni di lavori forzati, riprese la sua attività pastorale che non conobbe cedimenti fino alla morte, avvenuta nella città kazaka il 3 dicembre 1974.
[Servizio a cura di Luca Marcolivio]
 

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ZENIT Staff

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