John Henry Newman, un beato di statura mondiale

Cristina Siccardi spiega l’attualità del gigante britannico

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di Antonio Gaspari

ROMA, sabato, 18 settembre 2010 (ZENIT.org).- Domenica 19 settembre il Pontefice Benedetto XVI beatificherà il Cardinale John Henry Newman, un personaggio di statura mondiale. Non a caso è universalmente considerato uno dei più grandi prosatori inglesi e il più autorevole apologista della fede cristiana che la Gran Bretagna abbia prodotto.

Anglicano convertito al cattolicesimo è moto apprezzato anche dai non cristiani.

Sulla sua tomba è inciso “Ex umbris et imaginibus in veritatem”, “Dall’ombra e dai simboli alla verità”.

Ma qual è l’attualità del Cardinale John Henry Newman? Perchè la sua beatificazione ha suscitato così grande interesse? In che modo potrà influenzare la cultura e il cristianesimo nel mondo anglosassone? E perchè il Pontefice ha deciso di portarlo agli onori degli altari?

A queste ed altre cento domande ha provato a rispondere Cristina Siccardi con il libro “Nello specchio del Cardinale John Henry Newman” edito da Fede & Cultura.

Laureata in lettere con indirizzo storico, la Siccardi è specializzata in biografie. Ha pubblicato oltre quaranta opere in Italia e all’estero. Ha scritto per «La Stampa», «La Gazzetta del Piemonte», «L’Osservatore Romano», «Avvenire», «Il nostro tempo» e collabora con diverse riviste culturali e religiose, fra cui «il Timone».

Cristina Siccardi coniugata con due figli è anche membro delle Accademie «Paestum», «Costantiniana», «Ferdinandea» e «Archeologica italiana».

ZENIT l’ha Intervistata.

Quali sono le virtù eroiche ed i meriti per cui Newman verrà dichiarato beato?

Siccardi: John Henry Newman, come ogni santo, visse in grado eroico tutte le virtù teologali e cardinali. Risulta, però, abbastanza complesso farne una disamina specifica, in quanto la sua vita fu caratterizzata da una grandissima unitarietà; si potrebbe quasi affermare che sia vissuto piamente, cioè praticando le virtù in un’armonia capace di esaltarle tutte, senza che nessuna paia emergere sulle altre.

Egli fu cristianamente prudente, nel senso che, mantenendo sempre un fortissimo rigore logico, non permise mai alla sua mente di cedere alle tentazioni intellettuali. L’impostazione che aveva dato alla sua intelligenza ed alla sua anima, lo rendeva refrattario all’avvicinarsi alle tentazioni: proprio perché razionale fuggiva non solo gli errori, ma anche i rischi di cedimento all’errore e, quindi, le occasioni di peccato.

Anche per la giustizia si può fare un discorso analogo. Non dare a ciascuno il suo e, in primo luogo, tutto a Dio è irrazionale, perché rende l’uomo sciocco prima ancora che cattivo.

La fortezza è la virtù che permette alla volontà di imporre alla persona ciò che la ragione le fa conoscere come giusto. Nel suo famoso specchio, Newman non sarebbe riuscito a guardarsi, se la debolezza e gli istinti gli avessero impedito di tradurre in vita e, quindi, in operatività pratica ciò che il suo genio, sempre illuminato dalla grazia divina, gli faceva vedere come giusto.

Dall’ovvietà della fortezza, giungeva la più sublime delle virtù umane: quella capacità di non eccedere, di perseguire l’aurea mediocritas, di camminare sempre su quella sottilissima mediana tra due vizi opposti che Aristotele definisce virtù. L’uomo temperante è l’uomo virtuoso e la temperanza, in Newman, è particolarmente degna di nota, poiché tutta la sua vita è la più bella e plateale smentita dell’accostamento tra genio e sregolatezza: ebbe il genio e fu temperante.

Sulla base di queste virtù umane egli, incarnando, più che teorizzando, il principio tomista della natura quale base necessaria per l’innesto della sovranatura, cioè della Grazia, ricevette da Dio e fece fruttificare le virtù teologali. La più evidente, in lui, è certamente la Fede; quella Fede pensata, voluta, cercata e, infine, accolta nella splendida umiltà del naufrago che, stremato, raggiunge la terra ferma.

Questa sfolgorante luce di Fede pare, ad un superficiale esame, oscurare la speranza e la carità del nuovo Beato. Niente di più falso. La sua stessa granitica razionalità, la sua indefettibile volontà di ricerca e la sua disponibilità ad abbandonare ogni certezza ed ogni comodità filosofica ed intellettuale, trovano la loro ragione spiritualmente profonda nella sublimità della sua speranza: egli sentì sempre la sua salvezza e la sua vita come indissolubilmente legate a Dio e a nostro Signore Gesù Cristo.

La Fede, cui quasi giunse con la ragione, fu sempre sorretta dalla spirituale dolcezza della speranza cristiana, speranza che convertì il suo stesso rigore razionale in amoroso afflato. Ecco il vertice della virtù cristiana. Tutta la sua vita fu un’appassionata ricerca di Dio. E questo amore rese, di fatto, possibile l’eroicità delle altre virtù che ad esso lo condussero.

Che cosa ha rappresentato Newman nella cultura e nel dibattito religioso britannico?

Siccardi: Newman è stato una Cassandra inascoltata sia nel mondo anglicano che nella Chiesa cattolica. Egli, con assoluta lucidità, vide come la progressiva influenza della Chiesa bassa nell’Anglicanesimo avrebbe condotto quest’ultimo alla rovina, cui stiamo assistendo negli ultimi decenni.

La Chiesa bassa d’Inghilterra rappresenta i cedimenti all’irrazionalismo protestante ed alla tentazione di staccare la Fede dalla ragione, per relegarla nel campo del sentimentalismo, quando non dell’istintualità. Egli cercò di salvare l’Anglicanesimo da questa deriva. Ma, ben presto, si accorse che, per reggere alla marea della protestantizzazione, l’unico appiglio efficace è l’ancoraggio alla Chiesa di Roma. Cercò, quindi, di portare la Chiesa d’Inghilterra al Cattolicesimo.

Ma non vi riuscì e, dunque, si vide costretto a convertirsi da solo, anche se tale conversione produsse un effetto emulativo molto grande, sia sul piano quantitativo, che, soprattutto, su quello qualitativo.

Egli vide i medesimi pericoli che minavano l’Anglicanesimo anche affacciarsi minacciosi sulla Chiesa cattolica. Il ruolo, che nell’Anglicanesimo aveva giocato la Chiesa bassa, nella Sposa di Cristo lo giocava il modernismo, con il suo irrazionale razionalismo e la sua carica rivoluzionaria.

Egli previde con quasi un secolo di anticipo ciò che si sarebbe abbattuto sul Corpo mistico di Nostro Signore e ne additò le cause (liberalismo religioso, indifferentismo, latitudinarismo, relativismo…) ed il rimedio (l’immutabilità della Fede di sempre).

Egli fu, quindi, iniziatore di un movimento di grandi convertiti dall’Anglicanesimo alla Chiesa di Roma. Quel movimento che, nei fatti, dimostrava come le migliori intelligenze religiose non possano permanere fuori dall’ovile romano, se non a prezzo di mutilare ed insultare la loro stessa intelligenza. Si pensi, ad esempio, a Chesterton e Benson o alla famiglia di Tolkien. Questo movimento influì molto pesantemente sul clima culturale del Cattolicesimo inglese della fine del XIX secolo e della prima metà del XX, lasciando profonde tracce fino ad oggi; più tra i laici acculturati che, a dire il vero, nel clero cattolico britannico.

La sua conversione al cattolicesimo fu un shock per la Chiesa anglicana. Cosa accadrà ora con la sua beatificazione?

Siccardi: Newman traccia l’unica via di sopravvivenza per la Chiesa d’Inghilterra, vale a dire la sua confluenza nella Cattolicità. Questo disegno non trova accoglienza e, quindi, lo scisma britannico si incammina nella direzione opposta, che lo condurrà all’attuale egemonia della Chiesa bassa. Questa scelta irrazionalistica tenderà a produrre molte conversioni a Roma, soprattutto nel ceto intellettuale.

Que
sto processo ha subito una fortissima battuta d’arresto con l’ecumenismo postconciliare, in quanto l’alto clero cattolico britannico ha preferito sviluppare le buone relazioni con l’Arcivescovo di Canterbury, piuttosto che favorire le conversioni. Di fatto, si sono, in tutti i modi, scoraggiate le abiure, soprattutto di personaggi pubblici.

Con l’ascesa al Soglio petrino di Benedetto XVI, questa “politica” è drasticamente mutata; si pensi, ad esempio, alle aperture disciplinari e ritualistiche del felicemente regnante Pontefice per favorire la conversione in massa di ampi settori della Chiesa Alta d’Inghilterra. I rapporti ecumenici tra la Chiesa di Roma e quella di Londra si sono raffreddati, ma il flusso delle conversioni è, sia pure lentamente, ripreso ed ha una tendenza ad incrementarsi.

In questa cornice, quindi, la beatificazione del Cardinale Newman segna la definitiva inversione di rotta dei massimi vertici della Chiesa a riguardo del problema anglicano: si passa dall’ecumenismo alla missionarietà.

Per la Chiesa d’Inghilterra, questo, ovviamente, significa un ulteriore motivo di frizione con Roma. La crisi dell’Anglicanesimo, così bene illustrata da Newman, si approfondisce: esso ha gravi problemi di sopravvivenza, in quanto non è né protestante in senso stretto (nonostante la crescita di peso della Chiesa bassa al suo interno), né cattolico; vorrebbe essere una via mediana fra le due cose, ma ciò è logicamente e razionalmente impossibile, poiché, qualora si accetti la Tradizione come criterio della Fede, non si può escludere da essa il primato petrino, così sempre presente.

La beatificazione del Cardinal Newman rappresenta, per l’Anglicanesimo, un ulteriore passo verso l’esito fatale della sua agonia.

Quali sono le ragioni che lo convinsero a diventare cattolico?

Siccardi: Come abbiamo accennato più volte in risposta alle Sue cortesissime domande precedenti, il principio etico ed esistenziale assoluto, cui Newman non ha mai derogato, è l’accettazione della Verità quale mostrata dalla ragione; si tratta, ovviamente, di una ragione religiosa ed illuminata dall’umile sottomissione a Dio, ma non per questo meno spietatamente logica.

Il Protestantesimo calvinista gli appare, al primo serio esame, come razionalmente insostenibile, perché in contrasto dottrinale con quanto creduto dai Padri della Chiesa, secondo il principio che, se Dio ha rivelato la Verità, questa non può conoscere evoluzioni legate alla contingenza dei tempi, ma deve mantenersi sempre immutabile.

Da questa conclusione egli trae l’obbligo etico di seguire ciò che la Chiesa ha sempre detto, ma, in un primo tempo, pensa di poterlo fare anche fuori dell’obbedienza al Papa. È il momento dell’Anglicanesimo, della via mediana e del Movimento di Oxford. Questo compromesso, però, si dimostra razionalmente insostenibile, in quanto il primato petrino è sempre stato parte integrante della Fede della Chiesa.

Ma, soprattutto, ciò che gli rende eticamente impossibile rimanere anglicano è la constatazione che il distacco da Roma favorisce, quando non causa, il proliferare delle eresie; egli constata che la radice di tutte le eresie è l’arroganza e la presunzione del libero esame.

E questo lo constata non dopo la Riforma luterana, ma già studiando le eresie dei primi secoli. Egli vede come errori diametralmente opposti, come Arianesimo (svalutazione del Figlio nei confronti del Padre) e Monofisismo (negazione della natura umana di Cristo e riconoscimento unicamente della Sua divinità), abbiano nell’orgoglio di separarsi dal Papa la loro radice comune e come la loro genesi sia simile in maniera impressionante a quella della Riforma protestante e della stessa nascita dell’Anglicanesimo.

Quelle ragioni sono ancora oggi rilevanti?

Siccardi: Quelle ragioni sono rilevanti oggi esattamente come lo erano ai tempi di san Tommaso d’Aquino o a quelli del Cardinale Newman. Il Cattolicesimo è l’unica religione assolutamente ragionevole e ciò è razionalmente dimostrabile.

Verrebbe da domandarsi come mai, allora, ci siano atei o seguaci di altre religioni. La risposta è la vita del Cardinale Newman: per arrivare a comprendere razionalmente l’inevitabilità della Fede cattolica occorrono due presupposti: il primo è la correttezza delle informazioni di cui si dispone; il secondo è la ferrea volontà di condurre il ragionamento fino alle sue estreme conseguenze, costi quello che costi.

Questi due impedimenti sono gli effetti principali del peccato originale e della conseguente corruzione della natura umana, vale a dire un obnubilamento della ragione, che non è più in grado di riconoscere, verrebbe da dire istintivamente, gli errori, e un infiacchimento della volontà che non sorregge più automaticamente la ragione.

Dal punto di vista culturale e religioso, qual è l’attualità di Newman oggi?

Siccardi: Newman è, possiamo dire, il santo di Benedetto XVI. La sua vita è l’incarnazione dei due criteri guida della spiritualità e del governo dell’attuale Papa. Da un lato, come abbiamo sottolineato più volte, Newman rappresenta la prova vissuta della ragionevolezza cattolica e solo di questa. Si può dire che egli sia stato il manifesto vivo di quanto il Cardinale Ratzinger prima e Benedetto XVI poi vanno dicendo del rapporto tra Fede e ragione, vale a dire che la Fede non è altro che il completamento soprannaturale della ragione umana, che essa, senza nulla contraddire, tutto spiega.

L’altra stella polare del pontificato di Sua Santità, conseguenza logica della prima, è l’assoluta necessità dell’unità diacronica della Chiesa. Newman è la più bella condanna di ogni idea di «Chiesa conciliare» contrapposta alla Chiesa precedente, che la storia terrena del Corpo mistico di Cristo ci abbia donato.

Egli si fece cattolico proprio perché la Chiesa di Roma fu sempre una e se stessa dalla Pentecoste in poi. Si può dire, in altri termini che egli si convertì perché vide nella Sposa di Gesù la concreta attuazione del principio logico che la Chiesa è la Tradizione.

In un’epoca come l’attuale, nella quale, addirittura tra le più alte gerarchie ecclesiastiche, si mettono in dubbio questi due principi, affermando che la Chiesa cattolica abbia qualche cosa da imparare dalle false religioni e che oggi la Sposa di Cristo debba essere, dunque, qualche cosa di nuovo e alla moda, il Cardinale Newman è la più bella risposta di Benedetto XVI a questi apostati ed a tutti i nemici della Chiesa.

Mi permetto, a questo riguardo, di suggerire la lettura di quel bellissimo documento noto come Biglietto Speech, riportato integralmente nel libro. Si tratta della lettera con cui John Henry Newman, appena creato Cardinale, ringrazia Leone XIII dell’onore concessogli. Da essa emerge “l’interpretazione autentica” della sua vita: una continua battaglia contro il liberalismo religioso, ovvero contro il relativismo in materia dottrinale, quell’idea cripto-massonica ed illuminista, con derivazioni gnostiche, che pone ogni religione, ogni credo, ogni principio, ogni idea sullo stesso piano, indipendentemente da ogni analisi sulla sua veridicità o falsità.

È in questo che l’anima di Newman è sempre rimasta costante, indipendentemente dalle conversioni: ha corretto progressivamente gli errori dottrinali che commetteva, ma è sempre rimasto certo del principio razionale che la menzogna non ha diritti, perché è la Verità ad averli.

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ZENIT Staff

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