Ivan Basso: "Il ciclismo è gioco, benessere e scuola di vita"

Dopo aver partecipato alla gara di beneficenza “Pedala per un sorriso”, il due volte vincitore del Giro d’Italia ha parlato di cosa significhi per lui la bicicletta come sport e stile di vita

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“Se dovessi pensare a un gioco, tolto il piacere di giocare con i miei figli a casa che è la cosa più bella, penso alla bicicletta. Per me è ancora un gioco, un divertimento ed è il mio lavoro”. Con queste parole Ivan Basso, vincitore di due Giri d’Italia (2006 e 2010) e due volte sul podio al Tour de France (2004 e 2005), ha descritto il rapporto che ha sempre avuto con il ciclismo. Con questo spirito ha partecipato, domenica 9 novembre, alla gara di beneficenza “Pedala per un sorriso” organizzata, presso l’Università Europea di Roma, da padre Luca Maria Centomo e i suoi collaboratori.

L’obiettivo era supportare “Aiutali”, un ramo di “Cooperazione Umanitaria Internazionale” attivo in programmi e progetti di sostegno economico per paesi in via di sviluppo. Scopo dell’iniziativa è di raccogliere fondi destinati principalmente alla scuola delle Suore Figlie di Sant’Anna presso Arbaba, nell’Etiopia settentrionale. “Pedala per un sorriso” è stata resa possibile anche dalla disponibilità del team e dello staff direttivo della squadra professionistica di ciclismo “Cannondale Pro Cycling”, guidata da Roberto Amadio.

Alla gara hanno partecipato oltre 400 atleti fra amatori, ex professionisti come Stefano Zanatta, Biagio Conte, Dario Mariuzzo e Mario Scirea (attuali direttori sportivi della Cannondale) e ciclisti in attività come Valerio Agnoli, Elia Viviani, Marco Marcato e appunto Ivan Basso. Quest’ultimo, tra autografi e foto con fan e appassionati, ha raccontato a ZENIT cosa rappresenta per lui correre in bicicletta.

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Come si sente Ivan Basso a essere l’ospite d’onore di una gara di beneficenza come “Pedala per un sorriso”?

In queste cose non conta come ci si sente. Bisogna prendervi parte e dare il proprio contributo. Sono poi i partecipanti che ti danno il sentore di quanto tu sia importante per questa iniziativa. La risposta di oggi è stata eccellente. Non è semplice ottenere numeri così significativi. Bisogna fare i complimenti a padre Luca (Centomo, ndr) e ai suoi collaboratori. Noi abbiamo cercato di sostenere questo progetto per tutta questa stagione, io in prima persona e la mia squadra, la Cannondale. Trovo che la risposta della gente sia stata straordinaria. Nel tardo pomeriggio c’è ancora il piazzale pieno: vuol dire che la gente ha passato una bellissima domenica.

Questi valori positivi possono essere un esempio per chi vuol praticare il ciclismo a livello amatoriale o agonistico?

Credo che la cosa importante non sia pensare solo e sempre al ciclismo come agonismo. Questa è stata una giornata di sport dove la gente ha poi pranzato e trascorso insieme il pomeriggio. Quindi, a prescindere dal discorso agonistico, è una giornata di benessere, una giornata dove si creano momenti di aggregazione, momenti di felicità e sorriso.

È questo lo spirito da trasmettere a chiunque voglia salire in bicicletta?

Il ciclismo porta benessere, la bici regala forma e autostima. Non bisogna pensare alla bici solo come a uno strumento da competizione. Lo è in alcune occasioni e la competizione ovviamente è bella ma molto spesso, anche per un agonista o per un professionista, la cosa più importante è proprio il benessere. Senza dimenticare ovviamente la forma fisica per andar forte in corsa. Sono aspetti inscindibili. Il sacrificio che fai in bici è un sacrificio che alla fine gratifica. È una fatica, ma quando hai mal di gambe quello poi passa e se hai una certa tolleranza, la fatica poi può anche regalarti una sensazione di benessere.

Come si è avvicinato e appassionato al ciclismo?

Difficile andare indietro di così tanti anni. Sicuramente bisogna avere la spinta di qualcuno. Nel mio caso si è trattato dei miei genitori. Poi, andando avanti, questo sport da gioco è diventato anche un lavoro e il bello del ciclismo è che gioco, sport e lavoro restano sempre una cosa unica. Quindi dipende da come si considera la questione, ma alla fine il concetto è sempre quello.

Nella carriera di un ciclista quanto conta l’aspetto umano rispetto a quello tecnico?

L’aspetto tecnico lo puoi allenare, l’aspetto umano lo migliori solo cercando di stare insieme ad altre persone e collaborando con loro con il massimo rispetto. Questo alla fine è quello che fa la differenza. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico è sufficiente allenarsi di più, è molto più semplice da migliorare. Con la giusta mentalità si possono compensare le carenze tecniche.

Che consigli si sentirebbe di dare oggi a un giovane che vuole provare a farsi strada nel mondo del ciclismo agonistico e professionistico?

La cosa migliore è sviluppare la propria tenacia, il proprio talento, cercando di migliorarsi giorno dopo giorno senza farsi travolgere dalla fretta. Cercando di vivere la quotidianità con i propri compagni e dirigenti e provando sempre a sorridere. Perché, alla fine, sorridere è la terapia migliore.

A proposito di compagni di squadra, qual è la sua opinione nel dibattito sul considerare il ciclismo più uno sport per singoli o di squadra?

È uno sport di squadra. Le cose bisogna sempre vederle molto più allargate. Il ciclismo è uno sport speciale, una scuola di vita. Se uno riesce a intraprenderlo nel modo giusto, ti dà tanto a prescindere dal livello a cui tu lo fai e da quanto riesci a vincere.

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Alessandro de Vecchi

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