Israele non dovrebbe considerare i richiedenti asilo come una minaccia

Padre David Neuhaus, vicario del patriarcato latino e responsabile dei migranti, commenta la politica israeliana in materia di rifugiati

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«Dovremmo trattare i rifugiati come esseri umani anziché etichettarli a priori come criminali». Padre David Neuhaus, vicario del patriarcato latino per i cattolici di lingua ebraica e responsabile per la pastorale dei migranti in Israele, commenta così ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la politica israeliana in materia di richiedenti asilo. «Molti politici e media locali descrivono i rifugiati come degli infiltrati. Non si dovrebbero usare parole tanto dure per delle persone costrette a fuggire per salvare la propria vita».

Ricordando il messaggio di Papa Francesco per la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato – che si celebra domenica 19 gennaio – padre Neuhaus sottolinea come i richiedenti asilo dovrebbero esser considerati «un dono e non una minaccia». Purtroppo non è così in Israele, dove nel 2012 il parlamento ha approvato un provvedimento, l’Anti-Infiltration Act, che permetteva al governo di detenere fino a tre anni tutti gli immigrati irregolari, inclusi i richiedenti asilo, prima di espellerli dal paese.

Lo scorso dicembre la Knesset ha ridotto il periodo di detenzione a un anno e contemporaneamente il primo gruppo di richiedenti asilo – circa 480 persone provenienti da diversi stati dell’Africa – è stato trasferito in una struttura nel deserto del Negev. Di fatto una prigione da cui durante la notte non può uscire nessuno e dove i migranti sono obbligati a presentarsi ai controlli tre volte al giorno.

Nelle ultime settimane migliaia di persone hanno protestato in piazza a Tel Aviv e di fronte al parlamento a Gerusalemme, e non è mancata neanche la reazione dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Israele è tra i paesi firmatari della Convenzione di Ginevra che proibisce di applicare sanzioni contro i richiedenti asilo, sebbene immigrati illegalmente. «Il governo israeliano – dichiara padre Neuhaus – avrebbe la possibilità di distinguere tra rifugiati e migranti in cerca di lavoro. Ma ciò non accade: i richiedenti asilo sono spesso trattati come tutti gli altri, senza che nessuno verifichi se hanno effettivamente diritto allo status di rifugiati». Peraltro, prosegue il religioso, pochissime richieste vengono approvate e soltanto dopo lunghe attese.

Attualmente in Israele i richiedenti asilo sono circa 53mila, in maggior parte giunti da Eritrea e Sudan. Oltre 40mila di loro sono cristiani, perlopiù ortodossi. «La quasi totalità dei rifugiati avrebbe preferito chiedere asilo in Europa – spiega padre Neuhaus – ma le frontiere dell’Unione sono chiuse ai rifugiati provenienti dall’Africa. Nel frattempo anche Israele ha costruito una barriera che in pratica impedisce ai rifugiati di entrare nel paese».

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ZENIT Staff

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