Iraq nel caos: i jihadisti assaltano Mosul. Migliaia di persone in fuga dalla città

L’assedio martedì pomeriggio. Il Patriarca Sako: “Non cedete al panico”. L’arcivescovo caldeo, mons. Nona: “Aiutate gli iracheni fuggiti. Tra 2-3 giorni finiranno cibo e acqua”

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Da ieri pomeriggio sventola su Mosul, in Iraq, la bandiera nera dei jihadisti dello Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isil), vicini ad Al Qaeda. La seconda città irachena è caduta martedì pomeriggio sotto assedio delle centinaia di miliziani che hanno occupato gran parte della provincia di Ninive controllando diversi quartieri di Kirkuk, roccaforte curda e area strategica per l’estrazione di petrolio e gas naturale. Nel raid, gli estremisti hanno anche devastato diverse stazioni di polizia, prima di occupare l’aeroporto e il quartier generale dell’esercito.

L’assalto ha gettato gli abitanti di Mosul nel caos più totale. Si parla di decine di migliaia di persone in fuga, ma probabilmente sono molte di più considerando che la città “si è quasi dimezzata”, come riferiscono fonti locali. Già la scorsa settimana, dei quasi tre milioni di abitanti, in 500.000 si erano spostati fuori e dentro la città a causa della escalation di violenze.

Ma ora la situazione sembra essere completamente sfuggita di mano. Dopo la conquista di Mosul, l’avanzata della fazione jihadista – attiva anche nel conflitto siriano – continua senza freni: fonti locali riferiscono infatti che le milizie si trovano ormai alle porte della città dislocata a 250km dalla capitale Baghdad. È la prima volta che i fondamentalisti islamici assumono il controllo di un’intera provincia nel Paese, dove l’Isil già ha occupato Fallujah e zone della provincia occidentale di al Anbar, vicino Ninive.

Sui drammatici eventi in Iraq, ha tuonato la voce del Patriarca di Antiochia dei Caldei, Louis Raphael I Sako, impegnato, insieme ad altri Vescovi, in una visita alle comunità caldee disseminate in Canada e negli Stati Uniti. Sako ha diffuso una dichiarazione – ripresa dall’agenzia Fides – in cui ha invitato tutti i suoi concittadini a “non cedere al panico” e “ad unirsi davanti alle convulsioni settarie che mettono a rischio la sopravvivenza stessa del Paese”.

“Noi – prosegue – crediamo che la migliore soluzione a tutti questi problemi è la creazione di un governo di unità nazionale al fine di rafforzare il controllo dello Stato e lo Stato di diritto per proteggere il Paese, i cittadini e le loro proprietà e conservare l’unità nazionale”. Nel suo messaggio, il Patriarca invoca l’aiuto di “Dio, fonte di ogni pace”, affinché tutti gli iracheni possano affrontare le prove con coraggio e sperimentare il dono della pace nella propria vita.

Giunge poi, in queste ore, anche il drammatico appello del locale arcivescovo caldeo, mons. Emil Shimoun Nona, che ha trovato rifugio insieme agli altri sacerdoti della città in una zona a nord di Mosul, nei villaggi di Kramles e Tilkif. Il presule si rivolge alla comunità internazionale chiedendo una pronta mobilitazione prima che la popolazione finisca per rimanere senza cibo e senza acqua.

La situazione “è molto difficile” – dice il presule ad AsiaNews – per prima cosa “è urgente aiutare questa gente che è fuggita” dalla città, perché “entro due o tre giorni le scorte di cibo e acqua saranno finite e generi alimentari e beni di prima necessità risulteranno introvabili”. I guerriglieri, infatti, impongono dazi al passaggio delle merci e chiedono il pizzo.

“Sono entrati in città senza nemmeno il bisogno di combattere” – racconta poi l’arcivescovo – nonostante esercito e polizia fossero presenti in massa prima dell’invasione. Un atteggiamento “molto strano” da parte delle forze dell’ordine, che sembrano aver “lasciato tutto il campo libero senza nemmeno un timido tentativo di difesa”. “La gente ha avuto molta paura – prosegue mons. Nona – i cristiani sono quasi tutti scappati via, anche molti musulmani hanno lasciato le loro case. Una città di quasi tre milioni è ora quasi svuotata, tantissimi sono fuggiti”.

Il prelato caldeo auspica quindi “una soluzione vera e duratura della crisi irachena”, un progetto di lungo periodo “per una nazione divisa fra gruppi religiosi, politici, etnie”. “Serve uno Stato forte – conclude – che metta fine a uccisioni e violenze… Il popolo iracheno è buono, merita una visione comune e una soluzione che sia fonte di pace”. Intanto il premier iracheno Nouri al-Maliki ha chiesto al Parlamento di dichiarare lo stato di emergenza. Il governatore è invece fuggito e ha lanciato un appello televisivo agli abitanti, invitandoli a resistere all’assalto.

(A cura di Salvatore Cernuzio)

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ZENIT Staff

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