Investire in capitale umano per crescere in Europa

Relazione introduttiva al seminario “Crisi dell’Eurozona e prospettive di crescita dell’economia globale”

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ROMA, venerdì, 4 maggio 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo la relazione introduttiva al seminario “Crisi dell’Eurozona e prospettive di crescita dell’economia globale”, che si è svolto ieri presso la Pontificia Università Lateranense nell’ambito del corso di alta formazione “Etica, finanza e sviluppo”.

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di Valerio De Luca*

Di fronte alla crisi del debito sovrano e alle prospettive di recessione del nostro Paese e dell’Eurozona, le paure e le incertezze legate soprattutto alla disoccupazione giovanile rischiano di fiaccare la fiducia in noi stessi e di indebolire la speranza e il credo nelle capacità delle nazioni e dei popoli europei di risollevarsi e di rilanciare la crescita.

Accanto alle problematiche sollevate dalla stabilità dei conti e delle finanze pubbliche, si pone però una questione ancora più grave che riguarda la “stabilità dell’uomo” e dell’Occidente come punto di riferimento etico e culturale, acuita dai fatti dell’11 settembre e dalla deriva nichilista del nostro tempo.

Bisogna invertire questa tendenza e gettare i semi del cambiamento, impegnandosi con determinazione per introdurre riforme strutturali che riportino al centro dell’azione dei governi la cultura europea attraverso l’investimento in conoscenza, il merito, la valorizzazione del capitale umano e dei beni relazionali, che oltre a stimolare l’innovazione, la competitività e la produttività, sono capaci anche di generare importanti “esternalità positive”, come la trasmissione intergenerazionale di valori, il senso civico ed etico, il rispetto delle regole e la coesione sociale.

La crisi, infatti, ci impegna a riprogettare il nostro cammino, a gestire il cambiamento con coraggio e a guardare al futuro con speranza, ripensando innanzitutto i principi, le regole, i processi e gli strumenti di una nuova politica economica europea, ripartendo da un rinnovato patto di fiducia tra Stato, mercato e società civile.

Su questi pilastri si fondano la credibilità delle istituzioni europee e di qualsiasi politica nazionale che, dopo il rigore e l’austerità, intendano rilanciare seriamente l’occupazione e la crescita nella vecchia e stanca Europa, restituendo soprattutto speranza e futuro ai giovani.

Per andare oltre la crisi e cercare di rifondare la solidità dell’economia europea e l’efficacia delle risposte globali, bisogna confrontarsi su proposte che superino i momenti della miopia politica e delle divisioni, aprendo una prospettiva nuova per l´economia europea.

La finanza pubblica europea dovrà esser lo strumento di un sistema economico-sociale sempre più coeso e sostenibile, guidato da lungimiranza e responsabilità sociale per le generazioni presenti e future.

Il c.d. SIX Pack e il coordinamento delle politiche economiche offrono una prima risposta al bisogno di una governance europea più efficace e centrata sul principio di sussidiarietà come riferimento politico e culturale di un sistema multilivello, che riporti al centro la responsabilità, la persona e la società civile.

Ma il SIX Pack non basta. La politica economica europea non può più esser il risultato di una continua azione di coordinamento di politiche nazionali, ma v’è bisogno di una strategia unica per una vera crescita inclusiva dell’Europa, che potrà competere nel mondo solo se effettivamente unita e coesa.

In questa cornice, e’ essenziale la condivisione di principi e radici comuni, regole e stili di vita per superare gli interessi di parte e mobilitare le energie più sane e capaci della società, per rilanciare la crescita e il progresso civile, per un vero sviluppo integrale dei popoli e delle nazioni europee.

Il Consiglio Europeo, riunitosi a Lisbona nel marzo 2000, ha conferito all’Unione un nuovo ambizioso obiettivo: diventare entro il 2010 “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”.

Infatti la conoscenza – oltre a fondare la libertà della persona, la relazione con l’altro e con il mondo – è una risorsa importante per lo sviluppo dell’economia e la costruzione della società.

Per questo la persona umana deve tornare al centro di tutto il mondo economico, perché non è l’economia che domina l’uomo, ma è l’uomo che si serve dell’economia. Così scrive infatti il Papa: «Desidererei ricordare a tutti, soprattutto ai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: “L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”» (CV n. 25).

Innovazione tecnologica, investimenti mirati per la ricerca scientifica e una collaborazione più concreta tra settore pubblico e privato sono i presupposti per uno sviluppo economico in grado di iniettare capitale umano e cultura nel tessuto produttivo e sociale del territorio, dove la strategia win-win per ciascun Paese consiste nello sfruttare i suoi vantaggi comparati e il potenziale innovativo.

Investire nel bene comune delle nuove generazioni e nella cultura come driver per lo sviluppo significa,infatti, incentivare la libera iniziativa privata e collettiva, la partecipazione civica, la volontà di sperimentare, di innovare, di competere e di rischiare che animano la fucina di quegli “uomini nuovi”, di cui tanto parlava Schumpeter, identificandoli con gli imprenditori che innovano prodotti e processi, grazie alla loro azione di distruzione creatrice.

La strategia migliore che potrebbe riscattare l’Europa dalle difficoltà presenti è proprio quella dell’accettare le sfide della contemporaneità, con decisioni che puntino a rafforzare il legame tra il capitale umano e la crescita economica, incentivando i giovani a partecipare, come futuri cittadini di una società europea che in questi anni dovremmo rendere una vera e propria società del sapere.

Si pensi che oggi il 46% della popolazione italiana non dedica molti anni alla formazione, fermandosi alla scuola dell’obbligo. L’intera Unione Europea è molto indietro rispetto agli USA per quanto riguarda le migliori università del mondo. Infatti solo 2 di queste sono europee, contro le 17 statunitensi.

In questo quadro, l’Italia trova innanzi a sé una duplice sfida: da un lato il preoccupante fenomeno del “brain drain”, e cioè la fuga del capitale umano all’estero, con la conseguente perdita di competitività nazionale.

Dall’altro lato, vi è la scarsa capacità del sistema Italia di attrarre capitale umano qualificato dal resto del mondo. La perdita di talenti italiani, unita all’incapacità di attrarre cervelli stranieri, penalizza fortemente il Paese nel contesto di un mondo globalizzato che competesempre più sulla base della conoscenza e dell’innovazione. Investire in persone, tecnologie e professionalità diventa allora via maestra per crescere in Europa e nel mondo, dove l’insegnamento della scienza e della tecnica alle giovani generazioni si pone entro un orizzonte in cui la cultura va vista come un tutto unitario.

Pensiero e azione sono strettamente intrecciati così da formare personalità integrali pronte a cogliere le sfide presenti attraverso decisioni utili ed anche dotate di senso, nella consapevolezza che crescita o declino economico sono anche sempre frutto di sviluppo o declino etico, sociale e culturale.

E’ allora dal connubio tra scienza e umanesimo, tra know how e know why, che si possono realizzare sia lo sviluppo di straordinarie scoperte e teorie innovative, sia la riflessione sui grandi interrogativi umani, valorizzando i talenti e le vocazioni individuali.

Investire in cultura e innovazione per rilanciare la crescita e il lavoro a partire dai giovani sembra essere una delle priorità nell’agenda del nostro governo.

N
on solo i diversi fronti aperti dall’agenda digitale italiana e la possibilità, per chi ha meno di 35 anni, di costituire una società semplificata a responsabilità limitata (Ssrl).

Di particolare interesse si presenta la task force sulle start up innovative, nei settori biotech, energia, ambiente, industria culturale, composta da esperti, operatori, imprenditori e accademici, chiamati a formulare proposte organiche nell’ambito della semplificazione amministrativa e degli incentivi fiscali, a sostegno anche dell’internazionalizzazione delle imprese.

Anche l’Italia e l’ Europa hanno bisogno di una loro start up, che non potrà prescindere da una forte innovazione sociale e da un’ investimento di risorse umane, morali ed economiche nei diversi settori produttivi, della cultura e della formazione.

La vera sfida degli “uomini nuovi” sarà quindi quella di saper combinare flessibilità, innovazione e dinamismo con le ragioni dell’equità, della sostenibilità ambientale e della coesione sociale, salvaguardando la solidarietà tra generazioni, il rispetto della persona umana e la tutela dei diritti sociali, che caratterizzano quel patrimonio di valori e di beni comuni “made in Europe” che non ci stancheremo di esportare nel mondo.

Dunque, più Europa, più cultura e più innovazione per lanciare la sfida di un nuovo umanesimo europeo che rappresenta il primo pilastro a sostegno della crescita e della competitività di tutti i paesi dell’Unione.

Concludo con un ultimo pensiero per i giovani, a cui questo corso di alta formazione è rivolto: “i giovani non devono affannarsi a pensare dove va l’Europa, perché l’Europa andrà dove andranno loro”.

* Presidente dell’Accademia Internazionale per lo Sviluppo Economico e Sociale, direttore del corso di Alta Formazione Etica, Finanza e Sviluppo alla Pontificia Università Lateranense PUL, docente di Business Ethics and Corporate Governance alla Facoltà di Economia di Tor Vergata.


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ZENIT Staff

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