Intervento della Santa Sede all'Osce sull'intolleranza anticristiana

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CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 15 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo dell’intervento pronunciato il 5 ottobre da monsignor Anthony Frontiero, del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nell’ambito dell’incontro sulla realizzazione degli impegni assunti nella “dimensione umana” dell’Osce, durante la sessione dedicata al tema: “Combattere il razzismo, la xenofobia e la discriminazione, puntando l’attenzione anche sull’intolleranza e sulla discriminazione contro i cristiani e i membri di altre religioni”.

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Signor Moderatore,

la Delegazione della Santa Sede apprezza l’opportunità di partecipare a quest’importante dibattito. Incidenti causati dall’odio, dalla discriminazione, dalla violenza e dall’intolleranza contro cristiani e membri di altre religioni continuano a verificarsi troppo spesso nella regione dell’Osce e sono sintomatici della mancanza di pace nel mondo. Papa Benedetto XVI ha deplorato questa situazione affermando: «Parlando in particolare dei cristiani, debbo rilevare con dolore che essi non soltanto sono a volte impediti; in alcuni Stati vengono addirittura perseguitati, ed anche di recente si sono dovuti registrare tragici episodi di efferata violenza. Vi sono regimi che impongono a tutti un’unica religione, mentre regimi indifferenti alimentano non una persecuzione violenta, ma un sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose. In ogni caso, non viene rispettato un diritto fondamentale, con gravi ripercussioni sulla convivenza pacifica. Ciò non può che promuovere una mentalità e una cultura negative per la pace». (Benedetto XVI, Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della pace (2007), n. 5).

La tolleranza e il rispetto autentici sono una disciplina civile, non solo un’attitudine personale. L’obiettivo dell’impegno dell’Osce di combattere l’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani e contro i membri di altre religioni non è in qualche modo «livellare il campo da gioco» o rimanere indifferenti verso diverse visioni del mondo, ma rispettare autenticamente le differenze fra tali visioni. Un’assenza di convinzioni non è sinonimo di tolleranza. In mancanza di una nozione convincente della verità che ci richiede di essere tolleranti verso chi ha un’idea diversa della verità delle cose, ci sono solo scetticismo e relativismo (cfr. George Weigel, The Cube and the Cathedral [2005], 110). Una nozione autentica di tolleranza in società pluralistiche richiede che, nel trattare con i non credenti e con quanti hanno diverse fedi, i credenti comprendano di dover ragionevolmente aspettarsi che il dissenso che incontrano continuerà a esistere. Tuttavia, nello stesso tempo, le culture politiche laiche devono incoraggiare i non credenti ad assumere lo stesso atteggiamento nel trattare con i non credenti. Quando i cittadini laici agiscono nel loro ruolo di cittadini, non devono negare per principio che le immagini religiose del mondo abbiano il potenziale di esprimere la verità né devono negare ai loro cittadini il diritto di rendere contributi ai dibattiti pubblici con un linguaggio religioso (cfr. Jurgen Habermas, The Dialectics of Secularization (2005), 50-51).

L’incontro della tavola rotonda sul tema Intolleranza e Discriminazione contro i cristiani, svoltosi a Vienna a marzo del 2009, è stato un evento di successo e di speranza, e ha rivelato la possibilità di un dialogo costruttivo verso una comprensione e un rispetto reciproci fra cristiani, membri di altre religioni e non credenti. Si auspica un seguito di tale tavola rotonda. Di fronte agli incidenti di intolleranza, discriminazione e violenza contro i cristiani e contro i membri di altre religioni, la Delegazione della Santa Sede propone che questo importante organismo concepisca una nuova tolleranza, non quella indifferente che dice: «Dovremmo essere tolleranti perché funziona meglio», ma una tolleranza autentica di differenze civilmente assunte. In conclusione, sostengo la nozione descritta da Papa Benedetto XVI quando dice: «Il dialogo fecondo fra fede e ragione non può che rendere l’opera di carità più efficace nella società, e costituisce il quadro più appropriato per promuovere la collaborazione fraterna fra credenti e non credenti nel loro impegno condiviso per operare per la giustizia e per la pace della famiglia umana» (Caritas in veritate, n. 57). Rispettare l’altro come persona che ricerca la verità e la bontà, permette ai credenti e agli altri di affrontare un dialogo che porta all’arricchimento reciproco piuttosto che a uno scetticismo più profondo sulla possibilità stessa di afferrare la verità delle cose. Una lista di raccomandazioni concrete su questo item sarà fornita al Segretariato insieme con il testo delle mie osservazioni.

[Traduzione del testo in inglese a cura de “L’Osservatore Romano”]

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ZENIT Staff

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