Intervento al Sinodo di Jacques Diouf, Direttore Generale della FAO

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 13 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento pronunciato dal dottor Jacques Diouf, Direttore Generale della FAO, intervenendo al Sinodo dei Vescovi per l’Africa questo lunedì pomeriggio.

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Desidero rivolgervi, per cominciare, un rispettoso e cordiale saluto.

Permettetemi di esprimervi l’onore e l’emozione che provo per essere stato invitato a intervenire davanti a questa augusta Assemblea. Desidero esprimere la mia profonda gratitudine per il vostro invito di cui riconosco il carattere eccezionale. È segno di particolare distinzione essere associato alle vostre riflessioni su alcuni dei problemi cruciali del mondo, segnatamente l’insicurezza alimentare che mi avete chiesto di affrontare con voi.

Non si poteva concepire il nostro dialogo senza l’intermediazione della parola che è tanto distintiva dell’uomo, ma che è anche il vettore del messaggio universale di pace, solidarietà e fraternità.
Il vostro solenne incontro è posto sotto il segno della trilogia: “Sinodo”, “Vescovo”, “Africano”. Avendo il privilegio di prendere la parola davanti al Santo Padre, devo attingere alle sorgenti della saggezza degli antichi per evitare di avventurarmi nel labirinto intellettuale dei due sostantivi: “Sinodo” e “Vescovo”. Oserei dunque azzardarmi solo sul cammino meno arduo del sostantivo “Africano”.

L’Africa, vuol dire prima di tutto valori comuni di civiltà basati su una coscienza storica di appartenenza a uno stesso popolo. Partito dalla zona dei grandi laghi nel corso della preistoria per fuggire la desertificazione, questo popolo, nel corso della protostoria, ha creato le civiltà sudanese-nilotica ed egiziana. Nel VI secolo, l’occupazione straniera dell’Egitto ha provocato le migrazioni verso il sud e verso l’ovest, a partire dalla valle del Nilo. Dall’inizio del I secolo fino alle invasioni d’oltremare, si sono succeduti imperi e regni fiorenti: Ghana, Nok, Ifé, Mali, quindi Songhai, Haoussa e Kanem-Bornou, Zimbabwe e Monomotapa, Congo. Tali valori si fondano su una coscienza geografica, un territorio che è un triangolo delimitato dall’oceano Atlantico, dall’oceano Indiano e dal mar Mediterraneo. L’Africa, martirizzata, sfruttata, depredata dalla schiavitù e dalla colonizzazione, ma ora politicamente sovrana, non deve ripiegarsi nel rifiuto e nella negazione, anche se ha il dovere della memoria. Essa deve avere la grandezza del perdono e continuare a sviluppare una coscienza culturale basata su una identità propria, che rifiuta l’assimilazione alienatrice. Deve approfondire i concetti operativi di negritudine e di africanità, compresa la diaspora, concetti fondati sul radicamento, ma anche sull’apertura.

Questi valori si riflettono in una espressione artistica (pittura, scultura) che accentua le forme e le

dimensioni per trasmettere soprattutto un messaggio d’amore o manifestare un’emozione che travalica le opposizioni dicotomiche. Essi si esprimono anche mediante musica e danze impreziosite più dal ritmo e dall’improvvisazione che dal lirismo e dal solfeggio. Questi valori hanno prodotto anche un tipo di architettura caratterizzato da un parallelismo simmetrico in cui dominano punti, triangoli e cilindri, in contrasto con gli angoli retti, i quadrati e i cubi in equilibrio in rapporto ad assi centrali, tanto peculiari degli edifici di altri continenti.

È questo terreno culturale a costituire la solida base su cui l’Africa deve costruire il suo futuro in armonia con gli altri uomini del pianeta Terra.

L’Africa è sempre stata presentata nell’ottica delle difficoltà che incontra, ma essa è una terra con un futuro, che nei prossimi quarant’anni sperimenterà un forte incremento demografico. Nel 2050 conterà due miliardi di abitanti – il doppio di oggi – sorpassando così l’India (1,6 miliardi di abitanti) e la Cina (1,4 miliardi di abitanti), e rappresenterà il più grande mercato del mondo.

Con delle risorse mondiali costituite dall’80% del platino, l’80% del manganese, il 57% dei diamanti, il 34% dell’oro, il 23 % di bauxite, il 18% di uranio, il 9% di petrolio, l’8% di gas, l’Africa è essenziale nello sviluppo economico del pianeta. Tuttavia questo potenziale minerario ed energetico non diventerà realtà, se non sarà messo al servizio dell’emancipazione economica delle sue popolazioni, se l’Africa non si libera dal giogo della fame e della denutrizione. Perciò, essa dovrà vivere nella pace e nell’unità. La gestione politica degli Stati dovrà avvenire nella democrazia, nella trasparenza, nel primato dei diritti e nell’applicazione della legge, per una giustizia indipendente, davanti alla quale tutti i cittadini sono responsabili dei propri atti. L’economia dovrà creare la ricchezza e il benessere a vantaggio del popolo, in particolare delle persone più diseredate e più vulnerabili.

La sicurezza alimentare è indispensabile a ridurre la povertà, all’educazione dell’infanzia, alla salute della popolazione e alla sicurezza del mondo, ma anche a una crescita economica duratura. Essa condiziona la stabilità e la sicurezza del mondo. Nel periodo delle “rivolte della fame” in 22 paesi di tutti i continenti, nel 2007 e 2008, la stabilità dei governi è stata fatta vacillare. Tutti hanno potuto rendersi conto che l’alimentazione è anche una questione sociale di prim’ordine e un fattore essenziale della sicurezza globale.

Nel 1996, il Vertice mondiale sull’alimentazione, organizzato dalla Fao, ha preso l’impegno solenne di dimezzare la fame e la sottoalimentazione nel mondo. A tale scopo aveva adattato un programma al fine di giungere alla sicurezza alimentare durevole. Questo impegno è stato confermato, nel 2000, dal Vertice del Millennio, dal Vertice mondiale sull’alimentazione, cinque anni dopo, nel 2002, e dalla Conferenza ad alto livello della Fao sulla Sicurezza alimentare mondiale, tenutasi nel giugno 2008.

Sfortunatamente i dati più recenti raccolti dalla Fao sulla fame e la malnutrizione nel mondo mostrano che la situazione attuale è ancora più inquietante che nel 1996. L’insicurezza è aumentata ovunque nel mondo nel corso degli ultimi tre anni, a causa della crisi mondiale del 2007-2008, indotta dall’impennata dei prezzi delle derrate alimentari ed acuita dalla crisi finanziaria ed economica che affligge il mondo da oltre un anno. Tutte le regioni del pianeta ne sono state colpite. Per la prima volta nella storia dell’umanità il numero delle persone che soffre la fame ha raggiunto il miliardo, ovvero il 15% della popolazione mondiale.

In Africa, nonostante gli importanti progressi realizzati in numerosi paesi, lo stato di insicurezza alimentare è molto preoccupante. Il continente conta attualmente 271 milioni di persone denutrite, ovvero il 24% della popolazione, con un aumento del 12% rispetto all’anno precedente. Inoltre, dei trenta paesi al mondo in stato di crisi alimentare che attualmente hanno bisogno di un aiuto urgente, ventidue si trovano in Africa.

I risultati ottenuti dall’agricoltura africana negli ultimi decenni sono stati insufficienti. L’incremento della produzione agricola (2,6% all’anno fra il 1970 e il 2007) è stato compensato dall’incremento della popolazione (2,7% nello stesso periodo) e dunque non ha aumentato le disponibilità alimentari medie per persona. Eppure l’agricoltura rappresenta l’11% delle esportazioni, il 17% del Pil del continente e, soprattutto, il 57% dei posti di lavoro. Essa resta un settore economico essenziale e un fattore di equilibrio sociale senza equivalenti.

Da questo punto di vista, sono fattori essenziali il contributo della donna africana alla produzione e al commercio agricoli e il suo ruolo nel nutrimento di tutta la famiglia. In effetti, nessuna iniziativa volta a fronteggiare il problema dell’insicurezza alimentare in Africa può avere successo senza tenere conto di questa realtà economica e sociale.

L’Africa ha bisogno di modernizzare i suoi mezzi e le sue infrastrutture di produzione agricola. L’uso dei moderni input è attualmente molto insufficiente. Così, vengono utilizzati solamente 16 kg di concime per ettaro di terra arabile contro i 194 kg in Asia e i 152 in America del Sud. Questo rapporto è ancora più basso nell’Africa sub-saharia
na con soli 5 kg per ettaro. L’uso di sementi selezionate, che hanno determinato il successo della Rivoluzione verde in Asia, è in Africa molto scarso. Solo un terzo delle sementi è sottoposto a un sistema di controllo della qualità e a un sistema di certificazione.

Nel continente c’è grande carenza d’infrastrutture di trasporto, mezzi di stoccaggio e di condizionamento. Le strade in zone rurali sono al livello dell’India agli inizi degli anni Settanta. Le perdite di raccolto raggiungono per alcuni prodotti agricoli percentuali dal 40 al 60%.

In Africa solo il 7% delle terre arabili è irrigato contro il 38% in Asia. Tale tasso scende al 4% nell’Africa sub-sahariana, dove, nel 93% delle terre, la vita – dovrei dire la sopravvivenza – delle popolazioni dipende dalla pioggia, fattore sempre più aleatorio per il riscaldamento climatico.

Eppure il continente non utilizza che il 4% delle sue riserve di acqua contro il 20% dell’Asia.
Inoltre, il commercio dei prodotti agricoli intra-africani resta relativamente limitato. Nonostante l’esistenza di 14 raggruppamenti economici regionali, solamente il 14% delle importazioni dei principali prodotti alimentari in Africa proviene dalla regione. Per i cereali, la percentuale non è che del 6%. Il commercio interregionale dei prodotti agricoli in Africa, come del resto per gli altri prodotti, dovrà essere maggiormente incoraggiato, perché rivesta un ruolo più importante nella sicurezza alimentare del continente.

Gli agricoltori africani hanno bisogno di migliorare le loro condizioni di vita. Devono poter vivere degnamente, lavorando con mezzi moderni. Hanno bisogno di sementi ad alto rendimento, di concime, di cibo per il bestiame e di altri input moderni. Non possono continuare a lavorare la terra, come nel Medioevo, con gli utensili tradizionali, in condizioni aleatorie, esposti alla variabilità del tempo atmosferico.

Conviene dire e ridire che è impossibile sconfiggere la fame e la povertà in Africa senza aumentare la produttività agricola, poiché l’estensione delle superfici comincia a trovare dei limiti per l’impatto della deforestazione e delle incursioni negli eco-sistemi fragili. Il programma dettagliato di sviluppo dell’agricoltura africana (PDDAA), preparato con il sostegno della Fao, e completato con i documenti sull’allevamento, le foreste, la pesca e l’acquicoltura, è stato adottato dai capi di governo dell’Unione africana nel luglio 2003. Subito dopo 51 paesi africani hanno richiesto il sostegno della Fao per la traduzione di questo programma a livello dei singoli stati. In tal modo sono stati preparati programmi nazionali d’investimento a medio termine e progetti d’investimento per un totale di circa 10 miliardi di dollari Usa.

Il problema dell’acqua è chiaramente essenziale. Esso lo sarà ancora di più per le conseguenze del riscaldamento climatico che avrà un impatto particolarmente negativo sulle condizioni della produzione agricola in Africa. Secondo il Gruppo di esperti intergovernativo dell’Onu sull’evoluzione climatica (GIEC, il rendimento delle colture pluviali in Africa potrebbe regredire del 50% da qui al 2020. Così, nel dicembre 2008, è stata organizzata a Sirte, dalla Fao e con l’appoggio del governo libico, una riunione dei ministri dell’Agricoltura, delle Risorse idriche e dell’Energia. È stato approvato un portafoglio di progetti per un ammontare di 65 miliardi di dollari Usa, per un programma a breve, medio e lungo termine di irrigazione e di energia idrica, fissato per ciascun paese dai governi africani con l’aiuto della Fao.

Ma non possiamo raggiungere i nostri obiettivi senza sufficienti risorse economiche. Infatti, il problema dell’insicurezza alimentare in questo mondo è, prima di tutto, una questione di mobilitazione al più alto livello politico, affinché le risorse economiche necessarie siano disponibili. È una questione di priorità di fronte ai bisogni umani più fondamentali.

È bene ricordare che ogni anno gli aiuti all’agricoltura dei paesi dell’OECD raggiungono i 365 miliardi di dollari Usa e le spese per gli armamenti 1.340 miliardi di dollari Usa all’anno nel mondo. Del resto, desidero sottolineare che i finanziamenti necessari per la lotta contro la fame arriverebbero a 83 miliardi di dollari Usa all’anno, provenienti dal bilancio degli stessi paesi in via di sviluppo, dall’investimento privato, in particolare dagli agricoltori stessi e, infine, dall’aiuto pubblico allo sviluppo.

Ciò che oggi constatiamo è il risultato di scelte effettuate sulla base di motivazioni materialistiche a scapito dei referenziali etici. Ne conseguono condizioni di vita ingiuste e un mondo ineguale dove un numero ristretto di persone diventa sempre più ricco, mentre la grande maggioranza della popolazione diventa sempre più povera.

Vi sono sulla terra mezzi economici a sufficienza, tecnologie efficaci, risorse naturali e umane per eliminare definitivamente la fame nel mondo. Esistono, a livello nazionale e regionale, i piani, i programmi, i progetti e le politiche per raggiungere questo obiettivo. In alcuni paesi, dal 2 al 4% della popolazione è in grado di produrre di che nutrire tutta la nazione e anche di esportare, mentre la grande maggioranza degli altri, il 60-80% della popolazione, non è nemmeno in condizione di soddisfare in minima parte il fabbisogno alimentare del paese.

Il mondo ha speso il 17% dell’aiuto pubblico alla sviluppo negli anni Settanta per evitare i rischi di carestia in Asia e in America Latina. Queste risorse erano necessarie per costruire i sistemi di irrigazione, le strade rurali, i mezzi di stoccaggio come pure i sistemi di produzione delle sementi, le fabbriche di fertilizzanti e di alimenti per il bestiame che hanno costituito la base della Rivoluzione verde.

Le risorse per sviluppare l’agricoltura africana dovranno innanzitutto provenire dai bilanci nazionali. A Maputo, nel luglio del 2003, i capi di stato e di governo africani si sono impegnati ad aumentare la parte del loro bilancio nazionale destinato all’agricoltura almeno fino al 10% entro i prossimi cinque anni. Solo 5 paesi finora hanno rispettato questo impegno, anche se in altri 16 paesi sono stati osservati dei progressi.

In futuro, l’Aiuto pubblico allo sviluppo dovrebbe aumentare in conformità con gli impegni di Monterrey del 2002 e di Doha del 2008. La tendenza alla diminuzione degli aiuti allo sviluppo destinati all’agricoltura, scesi dal 17% nel 1980 al 3,8% nel 2006, deve essere invertita. Oggi il livello è del 5%, nonostante il 70% dei poveri del mondo abbia come mezzo di sostentamento l’agricoltura, che dà cibo, reddito e lavoro. Gli stessi obiettivi di crescita devono essere adottati per i finanziamenti delle banche regionali e sub-regionali, come pure delle agenzie di aiuti bilaterali.
Infine, gli investimenti del settore privato nel settore agricolo e alimentare devono essere incoraggiati da quadri giuridici stabili. La collaborazione fra settore privato e pubblico deve essere potenziata nel quadro di un partenariato che eviti le trappole dello scambio diseguale. Per questo, dunque, è necessario adottare e applicare un codice internazionale di buona condotta sugli investimenti stranieri diretti all’agricoltura.

Eppure, in questo difficile contesto di cristi economica, la Fao ha mobilitato, negli ultimi due anni, tutti i mezzi tecnici e finanziari a disposizione per far fronte alla crisi alimentare.
Oltre all’assistenza fornita nel quadro di programmi nazionali e regionali di sicurezza alimentare e dei progetti di urgenza lanciati per far fronte agli effetti degli uragani e di altre catastrofi naturali, la Fao ha lanciato il 17 dicembre 2007 la sua “Iniziativa di lotta contro il rialzo dei prezzi delle derrate alimentari”. L’obiettivo è di facilitare l’accesso dei piccoli agricoltori alle sementi, ai fertilizzanti, agli attrezzi agricoli e all’equipaggiamento per la pesca. Il budget attuale dei diversi progetti che rientrano in questa iniziativa ammonta a 52 milioni di d
ollari Usa in Africa. Inoltre, in 16 paesi africani, sono attuati dalla Fao, grazie al sostegno dell’Unione Europea, nel quadro della sua “Agevolazione di un miliardo di euro”, progetti per un budget di 163,4 milioni di dollari Usa. Tali risorse sono messe a disposizione dei paesi in via di sviluppo per aiutarli a far fronte alla crisi alimentare. Si tratta ora di estendere, approfondire e accrescere tali programmi e progetti.

Oggi l’ondata di migranti clandestini che fuggono la fame e la povertà porta sulle sponde dell’Europa australe il triste spettacolo dei sogni spezzati di uomini, donne e bambini in cerca di una condizione migliore di vita, molti dei quali trovano una fine tragica lontano dagli orizzonti e dalle persone che sono loro cari.

Da ottimista per natura quale sono, credo vivamente che domani, grazie agli investimenti e alla formazione, il reflusso della marea di figlie e figli dell’Africa verso le terre fertili e l’acqua abbondante del continente produrrà le condizioni per un futuro radioso di lavoro e di prosperità che coloro che sono stati troppo a lungo emarginati e che, le donne in particolare, hanno tutto per essere serbatoio del mondo.

Una pianta liberata dalla fame è ciò che può fare il miracolo di una fede incrollabile nell’onniscienza di Dio e la fiducia indefettibile nell’umanità. Ho dunque preso atto con grande soddisfazione dell’iniziativa di sicurezza alimentare del G8 dell’Aquila, nel luglio scorso, al quale ho partecipato, e che ha messo l’accento, per la prima volta, sullo sviluppo agricolo a medio e lungo termine, a favore di piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo. Si tratta, infatti, di non contare solamente sull’aiuto alimentare a breve termine, certamente indispensabile nelle numerose crisi, generate dalle catastrofi naturali e dai diversi conflitti, ma che non può assicurare l’alimentazione quotidiana al miliardo di persone che soffrono la fame nel mondo.

L’impegno assunto in quella occasione, di mobilitare 21 miliardi di dollari Usa in tre anni per la sicurezza alimentare, è un segno incoraggiante; basta che, questa volta, venga attuato concretamente e rapidamente.

Ho parlato per molti anni, senza grandi risultati, a favore dell’investimento nella piccola agricoltura dei paesi poveri per trovare una soluzione duratura al problema dell’insicurezza alimentare. Sono dunque particolarmente lieto che oggi i responsabili del G8 aderiscano a questo tipo di approccio.
Forte di questa prospettiva di poter mobilitare maggiormente dei mezzi all’altezza delle poste in gioco, il Consiglio della Fao ha deciso di convocare un vertice mondiale sulla sicurezza alimentare a livello di capi di stato e di governo presso la sede della Fao a Roma, dal 16 al 18 novembre 2009.

È opportuno, infatti, creare un ampio consenso sullo sradicamento definitivo della fame nel mondo, per permettere a tutti i popoli della terra di beneficiare del “diritto all’alimentazione” che è il diritto fondamentale dell’uomo. Da parte mia, sono convinto, perché so che è tecnicamente possibile, che dobbiamo fissarci questo obiettivo per il 2025, come già hanno fatto i dirigenti ispano-americani per l’America Latina e i Caraibi.

Di tutte le lacerazioni che il continente africano vive, la fame rimane quella più drammatica e intollerabile. Qualsiasi impegno per la giustizia e la pace in Africa è inscindibile da una esigenza di progresso nella realizzazione del diritto all’alimentazione per tutti. Ricorderò a questo proposito il messaggio di Sua Santità Benedetto XVI, nel giugno 2008, alla Conferenza di alto livello sulla sicurezza alimentare mondiale promossa dalla Fao, dove in particolare dichiarava: “occorre ribadire con forza che la fame e la malnutrizione sono inaccettabili in un mondo che, in realtà, dispone di livelli di produzione, di risorse e di conoscenze sufficienti per mettere fine a tali drammi ed alle loro conseguenze”.Queste parole mostrano, se ce ne fosse bisogno, la coincidenza dei punti di vista della Chiesa cattolica e della Fao su questo problema fondamentale. La Chiesa si è sempre prefissa come compito quello di alleviare la miseria dei più bisognosi e il motto della Fao è “Fiat Panis”, “pane per tutti”.

Santo Padre, nella sua ultima enciclica “Caritas in Veritate” Lei sottolinea che qualsiasi decisione economica ha una conseguenza di carattere morale. Ed è proprio a questo livello che dobbiamo elevarci, poiché, come lei scrive, “L’economia infatti ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona”.

Léopold Sédar Senghor – consentitemi di citarlo qui – ha detto: “Bisogna accendere la lampada dello spirito perché non marcisca il legno, non ammuffisca la carne…”.

La Fao si sforza, con i mezzi di cui dispone e nonostante le limitazioni e gli ostacoli che può incontrare, di mobilitare tutti gli attori e i coloro che prendono decisioni per la lotta contro la fame e di sviluppare programmi volti a migliorare la sicurezza alimentare, prioritariamente nei paesi più vulnerabili.

Ciò che ci anima è il volto di quest’uomo, di questa donna, di questo bambino che ci guardano negli occhi, con la pancia vuota, in attesa del loro pane quotidiano e la cui tristezza e disperazione ossessionano i nostri sonni agitati. È il principio della “centralità della persona umana” che Lei, Santo Padre, ha così opportunamente ricordato nella sua enciclica.

La visione di un mondo liberato dalla fame è possibile, se c’è una volontà politica al livello più alto. Infatti, numerosi paesi in Africa sono riusciti a ridurre la fame. Sono il Camerun, il Congo, l’Etiopia, il Ghana, la Nigeria, il Malawi, il Mozambico e l’Uganda

Le grandi forze spirituali e morali sono, per la nostra azione, un sostegno inestimabile. Poiché il compito è in effetti immenso e le nostre capacità d’azione non sempre sono all’altezza della volontà che ci anima. Non avremo mai mezzi abbastanza per soddisfare il “diritto all’alimentazione” per tutti.

Desidero anche rendere omaggio all’azione della Chiesa sul campo, a fianco dei poveri. I missionari, le religiose e molte comunità svolgono spesso un lavoro difficile, a volte ingrato, ma sempre utile, accanto alle organizzazioni intergovernative, alle Ong e alla società civile. Desidero salutare questi uomini e queste donne che ho visto agire in molti paesi con discrezione ed efficienza.

Vorrei soprattutto sottolineare la convergenza degli insegnamenti religiosi, in particolare quelli della Chiesa cattolica e dell’Islam, sulla necessità di vegliare sulla gestione razionale delle risorse sulla base di una strategia d’azione rispettosa delle persone e dei beni di questo mondo, lungi dagli eccessi e dallo spreco. Tutti questi insegnamenti sottolineano il ruolo fondamentale della responsabilità sociale, raccomandando la sollecitudine verso i più bisognosi. La Dottrina Sociale della Chiesa è, da questo punto di vista, un contributo essenziale.

Permettetemi di concludere questo intervento, citando questo versetto del Corano: “Quando vogliamo distruggere una città, ordiniamo (il bene) ai suoi ricchi” (Surat Al-Isra, versetto 16).
Possa, il nostro mondo, evitare questo naufragio!

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ZENIT Staff

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