Interventi per la sesta Congregazione generale nella mattina dell'8 ottobre

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 8 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi tenutisi giovedì mattina nella sesta Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi sull’Africa.

 

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– S. Em. R. Card. Ennio ANTONELLI, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia (CITTÀ DEL VATICANO)

Il Santo Padre, nell’Omelia della Messa di Inaugurazione, nella Basilica di S. Pietro, ha segnalato, con un’espressione molto incisiva, che il primo mondo “sta esportando tossici rifiuti spirituali” in Africa e altre aree in via di sviluppo. Uno di questi rifiuti tossici è la cosiddetta “teoria del genere”, che ben camuffata comincia a infiltrarsi nelle associazioni, negli ambienti governativi e anche in alcuni ambienti ecclesiali del continente africano, secondo quanto viene segnalato al Pontificio Consiglio per la Famiglia.
Agenti di varie istituzioni e organizzazioni internazionali partono da problemi reali, ai quali è necessario e doveroso porre rimedio, come le ingiustizie e le violenze subite dalle donne, la mortalità infantile, la malnutrizione e la fame, i problemi dell’abitazione e del lavoro. Suggeriscono prospettive di soluzione basate sui valori dell’uguaglianza, della salute, della libertà: parole sacrosante, ma rese ambigue dai nuovi significati antropologici di cui vengono caricate. Ad esempio uguaglianza delle persone non significa solo pari dignità e titolarità dei diritti fondamentali dell’uomo; ma anche irrilevanza della differenza naturale tra uomini e donne, uniformità di tutti gli individui, come se fossero sessualmente indifferenziati, e quindi equivalenza di tutti gli orientamenti e comportamenti sessuali: eterosessuale, omosessuale, bisessuale, transessuale, polimorfo. Ogni individuo ha diritto a fare liberamente (ed eventualmente anche a mutare) le sue scelte, secondo le pulsioni, i desideri e le preferenze.
L’ideologia viene diffusa attraverso i centri di salute riproduttiva, gli incontri locali di formazione, i programmi televisivi internazionali via satellite. Viene ricercata la collaborazione dei governi africani e delle associazioni locali, anche ecclesiali, che di solito non si rendono conto delle implicazioni antropologiche, eticamente inaccettabili.
Questo mio intervento vuole essere un invito alla vigilanza, un’esortazione a offrire istruzioni accurate ai sacerdoti, ai seminaristi, ai religiosi e alle religiose, alle Caritas e agli altri operatori pastorali laici.

[Testo originale: italiano]

– S.Em.R. Card. Péter ERDŐ, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (C.C.E.E.) (UNGHERIA)

Abbiamo ascoltato con attenzione la comunicazione del Cardinale Polycarp Pengo, presidente dello SCEAM (SECAM). Vediamo chiaramente che i vescovi africani nostri fratelli chiedono aiuto per rinsaldare la loro comunione interna e la loro organizzazione continentale. Propongo di avviare degli accordi con il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) sulla possibilità di rafforzare la collaborazione tra i vescovi africani anche attraverso delle azioni congiunte con il CCEE.
Tra le istituzioni della Chiesa stessa, vengono citate, ai numeri 123-126 dell’Instrumentum laboris, le Commissioni Giustizia e Pace. Si aggiunge che occorre comprendere meglio la missione di queste commissioni.
È un’esperienza generalizzata nella Chiesa che, dopo il Concilio Vaticano II, sia nata una vera ricchezza, un gran numero di organizzazioni col fine di realizzare la missione e l’attività dei cristiani nel mondo nei diversi campi d’azione. Ma negli ultimi decenni, si è anche chiarita maggiormente la natura delle organizzazioni ecclesiali: è stata precisata la natura delle associazioni dei fedeli, sono state distinte le persone giuridiche private e le persone giuridiche pubbliche nella Chiesa. Si è sottolineato che solo queste ultime possono agire in nome della Chiesa, così come le strutture politiche dell’organizzazione gerarchica della Chiesa stessa.
Per evitare che alcune Commissioni Giustizia e Pace, costituite probabilmente solo secondo il diritto statale o come associazioni private, vengano strumentalizzate dai gruppi politici, sembra utile sottolineare che la Commissione nazionale Giustizia e Pace è un organo della Conferenza episcopale stessa. In questo modo possiamo assicurare che l’attività di queste commissioni sia un’espressione autentica della missione della Chiesa nel mondo.

[Testo originale: francese]

– Rev. P. Kieran O’REILLY, S.M.A., Superiore Generale della Società delle Missioni Africane (UNIONE DEI SUPERIORI GENERALI)

Una dimensione importante della crescita della Chiesa nel continente africano è il numero degli uomini e delle donne africani ora direttamente coinvolti nella missione ad gentes della Chiesa, sia come membri di congregazioni missionarie locali di recente istituzione, sia come membri di istituti internazionali di fondazione più antica.
Ispirate dal loro impegno di fede e istruite nella dottrina sociale della Chiesa, molte congregazioni missionarie e religiose hanno costituito delle reti per affrontare la sfida. Mi riferisco in particolare al lavoro della rete Africa Faith and Justice Network. Queste reti si preoccupano in modo particolare di affrontare le questioni dell’ingiustizia strutturale radicata nelle politiche europee e statunitensi che hanno un impatto negativo sull’Africa.
Come “Famiglia di Dio”, la Chiesa è sfidata a testimoniare e a promuovere l’universalità dell’amore di Dio per le persone e per l’unità futura dell’umanità. Purtroppo, divisioni etniche, tribali e regionali continuano ad affliggere molte parti del continente africano, ostacolando seriamente lo sviluppo dei suoi popoli. La testimonianza delle comunità missionarie e religiose internazionali è tanto importante quanto urgente. Queste comunità abbracciano un ampio spettro di differenze culturali ed etniche in seno alla loro “famiglia” mentre vivono e lavorano insieme al servizio del Vangelo. La loro presenza proclama la verità evangelica che Dio non fa preferenze, che siamo tutti suoi figli e che il nostro destino comune è di essere un’unica famiglia in Lui.
L’Africa è trattata in modo inadeguato dai mezzi di comunicazione di massa, che si interessano quasi esclusivamente delle cattive notizie, creando così l’immagine largamente accettata di un continente in uno stato di crisi costante. Anche l’“industria degli aiuti” si alimenta vendendo stereotipi negativi e superati sugli africani come vittime indifese di guerre infinite e di carestie costanti. La gente dell’Africa deve assumere un ruolo più centrale in quello che all’estero si racconta dell’Africa. E le congregazioni e gli istituti missionari internazionali si trovano in una posizione ideale per essere di aiuto in questo processo.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Marcel UTEMBI TAPA, Arcivescovo di Kisangani (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)

La dimensione politica della pace invita la Chiesa che è in Africa a inventare nuovi metodi di presentazione del suo insegnamento sociale, fondato su valori evangelici capaci di favorire la pace e l’intesa tra i popoli. Convenendo che la pace è anzitutto un dono di Dio, proponiamo che la Chiesa in Africa si impegni sempre di più affinché la classe politica africana sia veramente al servizio del bene comune. A tale fine la Chiesa dovrà curare e rafforzare l’accompagnamento e la formazione degli uomini politici alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa.
Affinché si realizzi un programma trasversale ed ecumenico per l’educazione civica delle popolazioni al fine di promuovere una coscienza civica e la partecipazione responsabile delle popolazioni locali alla gestione del patrimonio dei rispettivi paesi.
Perché si organizzino le popolazioni e le comunità alla base in vista di questa partecipazione dei cittadini. L’esperienza dell’organizzazione dei Comitati locali di governo partecipativo, che sono quadri apolitici, permetterebbe alle comun
ità locali di farsi carico di se stesse alla base e di partecipare allo sviluppo del proprio ambiente in dialogo con gli eletti locali e con i governanti. Ciò potrebbe portare a organi di collegamento parlamentari come strutture permanenti di perorazione presso gli organi deliberanti incaricati di emanare leggi e controllare l’esecutivo a tutti i livelli.
Affinché sia istituito, sulla stessa scia, un Osservatorio sub-regionale per le politiche nazionali come laboratorio d’analisi sociale e di prospettiva, in grado di rilevare le principali tendenze delle politiche messe in atto e la loro conformità alla finalità della comunità politica che è il servizio del bene comune.
Si lavori perché emerga una classe politica responsabile e coscienziosa.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Alfred Adewale MARTINS, Vescovo di Abeokuta (NIGERIA)

I gruppi neo-pentecostali nel loro rapporto con la Chiesa cattolica sono spesso molto aggressivi e tesi a fare proseliti. Sembrerebbe che essi mirino a ridurre la Chiesa cattolica per quanto riguarda sia la sua influenza sia il numero dei suoi fedeli. Questa intenzione è evidente nel modo in cui alcuni di loro si riferiscono alla Chiesa cattolica come alla Chiesa morta. La loro speranza è che arrivando a toccare la mente e il cuore dei giovani riescano ad attirarli e col tempo a togliere la vita alla Chiesa e in questo modo sperano che i giovani si allontanino in massa dalla Chiesa.
Per non aiutarli a realizzare il loro obiettivo, la Chiesa in Africa deve trovare mezzi per assicurare che l’intero gregge della parrocchia non venga perso di vista. Dobbiamo fare in modo che nelle parrocchie nessuno sia anonimo e che i più vulnerabili, per esempio chi cerca lavoro, ma anche altri, soprattutto i giovani che si trovano nel bisogno materiale o spirituale, siano sostenuti e aiutati come è possibile. Occorre creare in ogni parrocchia un ministero che si occupi delle preoccupazioni e dei bisogni dei nostri giovani fedeli, dirigenti e professionisti. Essi sono il bersaglio dei gruppi neo-pentecostali.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Louis Ncamiso NDLOVU, O.S.M., Vescovo di Manzini (SWAZILAND)

La Chiesa cattolica nello Swaziland è ancora giovane, essendo giunta nel 1914. Conta circa 55.000 fedeli su una popolazione di un milione di persone, il che significa che solo il cinque per cento dei cittadini è cattolico. Sebbene rappresenti una minoranza, è comunque la Chiesa cristiana più grande del paese. Sin dal suo arrivo, la Chiesa ha partecipato alle attività sociali in molte parti del paese. Per questo è stata elogiata dalle autorità tradizionali e politiche. I miei predecessori, in prevalenza di origine europea, avevano buoni rapporti anche con le autorità tradizionali.
Negli ultimi anni, il rapporto tra la Chiesa e i leader tradizionali e politici è diventato ambivalente. La Chiesa continua a ricevere l’apprezzamento del governo per i suoi interventi nel campo dell’educazione, della salute e dei programmi di sviluppo. Come Chiesa continuiamo a mettere in discussione il sistema di governo, poiché riteniamo che contribuisca al grave livello di povertà nel paese. Il governo critica la Chiesa perché si esprime su questioni politiche, affermando che il suo dovere dovrebbe limitarsi alla liturgia e al culto e che non dovrebbe essere presente nella vita sociale e politica della gente. Questo ha fatto sì che ricevessimo il sostegno di alcuni membri della società civile, tra cui i sindacati e i partiti politici e i movimenti messi al bando. Ci troviamo quindi in mezzo a due forze contrapposte. Ciò offre alla Chiesa un’opportunità unica, poiché può servire sia il governo che i membri della società civile.
Il tema di questo sinodo ci sfida a condurre una vita autenticamente cristiana. Ciò esige che la Chiesa sia d’esempio per i non credenti e anche per gli altri cristiani. Abbiamo il dovere di contribuire al benessere della società e ad essere un faro di speranza dinanzi alle molte sfide e difficoltà. Il popolo dello Swaziland forma un gruppo omogeneo con la medesima cultura e la stessa lingua. Può pertanto essere assimilato a una grande famiglia. Siamo quindi nuovamente chiamati a vivere come una famiglia. Ogni famiglia prima o poi deve affrontare qualche problema e qualche disaccordo. Dovremmo far fronte a questi problemi in modo sincero e onesto e soprattutto in uno spirito di carità.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Paul R. RUZOKA, Arcivescovo di Tabora (TANZANIA)

La riconciliazione è necessaria per compiere l’apostolato, attingendo all’insegnamento di San Paolo che sottolinea il fatto che Dio è il punto di partenza.
Considerati i tristi eventi come le guerre civili che affliggono il continente, è in gioco l’identità della Chiesa. Spesso parliamo di famiglia amorevole, partecipe e unita nelle attività quotidiane e nella vita comune. Ma sempre più spesso, invece di costruire ponti tra le parti in lite su interessi legittimi, anche i figli e le figlie della Chiesa sono coinvolti nei conflitti. La Chiesa è strumentale per la missione risanatrice di Cristo e tutti i cristiani dovrebbero impegnarsi per esserlo.
Gli agenti di evangelizzazione (vescovi, sacerdoti, religiosi) devono ricorrere, insieme con i laici, alle armi della fede e cercare una conversione più profonda che tenda alla santità grazie all’ascolto della Parola di Dio e la frequenza dei sacramenti, partecipando alla vita di preghiera e agli esercizi spirituali, rispondendo alle domande delle persone con cui viviamo, donandoci e servendole come nostro prossimo.
L’Africa è oppressa da tanti problemi, causati principalmente da una cattiva leadership, da leader che non temono Dio, ma che piuttosto sono impegnati ad arricchirsi saccheggiando il loro paese fino a far sprofondare la loro gente nell’anarchia. Ovviamente ci sono stati bravi leader che hanno risposto alle aspirazioni della gente, che li stimava molto. Pensiamo a persone come Julius Nyerere in Tanzania, la cui eredità è una nazione unificata.
La Chiesa deve aiutare i giovani dando nuovamente impulso alla formazione umana, spirituale e intellettuale nelle nostre scuole fino al livello universitario.
La fede deve avere la precedenza nel nostro lavoro di formazione. Inoltre occorre formare comitati di riconciliazione affinché collaborino con la Commissione giustizia e pace delle nostre diocesi affrontando questioni riguardanti il conflitto sociale e proponendo un’educazione civica.

[Testo originale: inglese]

– Rev. P. Emmanuel TYPAMM, C.M., Segretario Generale della “Confederazione delle Conferenze dei Superiori Maggiori d’Africa e Madagascar” (CAMERUN)

In Africa e in Madagascar le persone consacrate prendono coscienza e vogliono far prendere coscienza agli altri operatori apostolici (laici, sacerdoti, vescovi) che la riconciliazione, la giustizia e la pace o, in altre parole, la giustizia e la pace che portano alla riconciliazione obbligano a morire, a perdere la vita per la verità secondo il Vangelo.
Il tema del Sinodo invita i consacrati a promuovere la pace all’interno delle istituzioni, mantenendo rapporti positivi in comunità fra etnie e nazionalità differenti. Ciò passa attraverso:
la cultura degli “stessi diritti per tutti”;
la cultura dell’alternanza al potere e, quindi, del distacco nei confronti delle cariche nelle istituzioni;
la cultura della missione compiuta per amore;
la cultura dell’uso dei beni dell’istituzione senza appropriarsene.
Vi proponiamo di unirci e di collaborare su un aspetto molto importante che potrebbe essere di impedimento al nostro parlare di riconciliazione, giustizia e pace ai popoli indigenti del continente:
1. Migliorare la salute materna, affinché ci siano meno madri che muoiono di parto e ridurre così anche la mortalità infantile.
2. Sostenere i mezzi di prevenzione e farsi carico dei malati affetti da malaria, aids, malattie mentali, epilessia, ecc.3. Incoraggiare i farmacisti, i medici, i guaritori a istituire mod
erne strutture per le cure erboristiche; incoraggiare la creazione di mutue sanitarie.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Martin Albert HAPPE, M. Afr., Vescovo di Nouakchott (MAURITANIA)

Una delle particolarità della diocesi di Nouakchott è che essa copre tutto il territorio della Repubblica islamica della Mauritania. Poiché gli abitanti di questo paese sono tutti musulmani da secoli, ne deriva che tutti i cristiani cattolici del paese sono non-mauritani, sia i fedeli che i loro pastori. Per meglio chiarire la situazione, aggiungerò che il primo sacerdote giunto nel paese, che non avesse la carica di cappellano militare, vi ha celebrato la sua prima messa nel Natale del 1957.
Già il primo vescovo, mons. Michel Bernard non si è accontentato di essere il pastore di qualche migliaio di cristiani che vivevano nel paese, ma ha insistito affinché i sacerdoti e le religiose si dedicassero alla popolazione autoctona per essere per loro testimoni del Dio-Amore rivelato attraverso e nella persona di Gesù Cristo.
Uno degli strumenti di cui ci siamo serviti a questo scopo è la Caritas Mauritanie. Fondata nel 1970, attualmente impiega circa 120 persone. Tra di loro ci sono almeno 110 uomini e donne di nazionalità mauritana, quindi musulmani. Tutti questi collaboratori devono conoscere le nostre motivazioni profonde e condividerle. Devono sapere che per noi cristiani tutti gli esseri umani hanno pari dignità indipendentemente dal sesso, dallo status sociale o etnico. Essi devono sapere che non siamo lì per aiutare i fratelli della nostra razza, le nostre famiglie, le persone della nostra religione, ma tutte le persone che versano in uno stato di bisogno: dobbiamo adoperarci, affinché ritrovino la dignità voluta per loro dal Creatore.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Vincent COULIBALY, Arcivescovo di Conakry, Presidente della Conferenza Episcopale (GUINEA)

L’interesse della Chiesa-Famiglia di Dio che si trova in Guinea per le questioni della riconciliazione, della giustizia e della pace, è emerso spesso dagli interventi dei suoi pastori. Ricordiamo il coraggio e la determinazione dei nostri predecessori che hanno denunciato le trappole maliziose dei poteri creati per prendere in ostaggio ciò che c’è di più nobile nell’uomo: la libertà.
Possiamo contare su numerose figure carismatiche che hanno gettato nel cuore del nostro popolo i semi della riconciliazione, della giustizia e della pace. Pensiamo innanzitutto ai missionari espulsi nel 1967 a causa della loro visione profetica su quella che sarebbe stata la sorte del nostro popolo. Gli interventi dei nostri due predecessori, Mons. Raymond-Marie Tchidimbo e Mons. Robert Sarah, sul tema della riconciliazione, della giustizia e della pace, continuano a essere ancora oggi pertinenti per gli abitanti della Guinea.
Sulla loro scia, l’episcopato oggi continua a richiamare l’attenzione dei dirigenti sull’istanza della riconciliazione, della giustizia e della pace. Continua a svolgere il suo ruolo di sentinella alle porte della città. In numerose dichiarazioni, ha invitato gli abitanti della Guinea al dialogo. L’ultima dichiarazione è stata pubblicata il 25 settembre 2009.
Purtroppo il suo richiamo del 25 settembre non è stato ascoltato perché quando parla il demonio-denaro, i suoi numerosi adepti gioiscono e nulla impedisce loro di agire. Neppure la morte è un ostacolo per loro. Così, il 28 settembre 2009, il popolo era di nuovo in lutto per la morte tragica di decine o di centinaia di persone in seguito a una manifestazione repressa nel sangue dai militari. Questa azione dell’episcopato non può esistere senza il contributo di un laicato organizzato e impegnato sul campo attraverso, per esempio, l’Organizzazione Cattolica per la Promozione Umana (OCPH) e la Commissione Giustizia e Pace. Tuttavia, siamo ancora lontani da questo laicato santo che il Primo Sinodo auspicava. L’appello del Papa, nella sua prima enciclica “Deus Caritas est”, a distinguere l’ordine giusto dall’uomo giusto, ci hanno ancor più motivato nella formazione del laicato.
D’altro canto, riteniamo urgente promuovere il dialogo interreligioso tripartito tra cristianesimo, religione tradizionale africana e islam per costruire la pace e per mettere maggiormente in luce lo spirito della fraternità e della solidarietà del genio culturale africano.
Infine, rivolgiamo i nostri più sentiti ringraziamenti al Santo Padre per il suo sostegno al nostro paese nel corso dell’Angelus di domenica scorsa.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Nicolas DJOMO LOLA, Vescovo di Tshumbe, Presidente della Conferenza Episcopale (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)

Facendo il punto sulle conseguenze delle guerre e delle violenze subite dalla Repubblica Democratica del Congo, siamo obbligati a condannare le menzogne e i sotterfugi utilizzati dai predatori e dai mandanti di queste guerre e violenze. Il tribalismo evocato incessantemente per giustificare queste guerre nella Repubblica Democratica del Congo non è altro che un paravento. La diversità etnica viene strumentalizzata come pretesto per saccheggiare le risorse naturali.
Deploriamo che la comunità internazionale non faccia abbastanza per porre fine a queste guerre e a queste violenze e che non s’interessi abbastanza alle loro vere cause: il saccheggio delle risorse naturali. Essa si limita a preoccuparsi delle conseguenze delle guerre invece di affrontarne le cause in modo determinato e convincente. Allo stesso modo, deploriamo il fatto che le sofferenze e le vite umane falciate dalle guerre nella Repubblica Democratica del Congo non abbiano suscitato la stessa indignazione e la stessa condanna che suscitano quando avvengono sotto altri cieli. Come spiegare altrimenti la ricomparsa e la virulenza delle violenze che continuano a essere condannate a parole senza prendere iniziative efficaci per mettere fine una volta per tutte alle loro cause? Non facciamo parte forse della stessa umanità?
In un mondo in cui è sempre più evidente che costituiamo un villaggio globale, sarebbero necessarie azioni concertate e globali per porre fine alle violenze perpetrate contro l’Africa attraverso il saccheggio delle sue risorse, così da permettere a questo continente, all’inizio del terzo millennio, di vivere anche lui nella pace e di svilupparsi nella solidarietà con gli altri.
A tal fine suggeriamo che questo Sinodo esorti anzitutto tutti i cristiani, nel nome della nostra fede in Gesù Cristo, che con il suo sacrificio supremo sulla croce ci ha dato la vera misura della dignità di ogni persona umana, e poi tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nel nome della nostra comune umanità, a condannare e a denunciare pubblicamente i mandanti delle guerre e delle violenze in Africa. Altrimenti saremo complici del male fatto al nostro fratello.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Jorge FERREIRA DA COSTA ORTIGA, Arcivescovo di Braga, Presidente della Conferenza Episcopale (PORTOGALLO)

Il Portogallo e l’Europa devono reinterpretare l’avventura missionaria assumendo atteggiamenti nuovi e impegnati nei confronti della vita dei popoli che hanno evangelizzato.
In passato, con maggiore o minore fedeltà, hanno fatto conoscere Gesù Cristo e la sua dottrina. Oggi devono continuare a partire per vedere Cristo nelle necessità reali e concrete, facendo ciò che devono fare a Cristo (Instrumentum laboris 35).
L’andare incontro a Cristo nei bisognosi in una dedizione totale deve avere una dimensione universale che non consente di fare parzialità fra le persone nemmeno per motivi religiosi.
Partire è sinonimo di coraggio e non ammette nessuna stanchezza. Solo così la civiltà dell’amore potrà concretizzarsi.
Se l’Europa deve andare incontro ai bisogni, le comunità locali devono organizzarsi eliminando l’eccessiva burocrazia e raggiungendo, in modo particolare, quanti non hanno voce per chiedere.
Dare è importante, darsi in un volontariato con una preparazione consente ai popoli di cos
truire la propria felicità.
Forse è giunta l’ora di una autentica unione delle comunità o delle diocesi mediante la condivisione di beni materiali e di persone che offrano la loro disponibilità a servire nella scuola, in campo sanitario, ecc.
L’Europa deve tornare in Africa non solo per portare la conoscenza di Cristo ma per incontrarsi con Lui in tutti i popoli e nella logica delle Beatitudini e della descrizione del Giudizio Universale.
“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare… ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me” (Mt 25, 35 e 45).

[Testo originale: portoghese]

– S. E. R. Mons. Angelo AMATO, S.D.B., Arcivescovo titolare di Sila, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi (CITTÀ DEL VATICANO)

Sin dall’inizio del Cristianesimo l’Africa è stata una terra di santi, dal grande dottore Agostino fino ai martiri ugandesi Carlo Lwanga, Mattia Maulumba Kalemba e compagni e alla straordinaria figura della sudanese Santa Giuseppina Bakhita, canonizzata nel 2000. Ancora oggi, sono 22 le nazioni con 44 processi di beatificazione e canonizzazione, che riguardano 13 Beati, 4 Venerabili e 27 Servi di Dio. Sono rappresentate tutte le categorie di fedeli: il Servo di Dio Alfredo Simone Diban Ki-Zerbo, del Burkina Faso, è un catechista padre di famiglia; la Serva di Dio Eulalia Maria Gabriel Mokhosi, del Lesotho, è una madre di famiglia; il Servo di Dio Julius Kambarage Nyerere, della Tanzania, è laico conosciuto in tutto il mondo come grande letterato e politico; la Beata Clementina Anouarite Nengapeta, Congo, è una suora martire; il Servo di Dio Simone Mpeke (Baba Simon), del Camerun, è un sacerdote; il Beato Cipriano (Michael Iwene Tansi), della Nigeria, è un Cistercense. È in corso in Congo l’inchiesta diocesana sul presunto martirio del Servo di Dio Emilio Biayenda, Cardinale di Santa Romana Chiesa, Arcivecovo di Brazzaville.
Ma sono moltissimi in Africa i testimoni eroici della fede. È compito dei Vescovi promuovere la santificazione dei sacerdoti e dei fedeli, ma anche il discernimento e la valorizzazione dell’esercizio eroico delle virtù cristiane dei battezzati delle loro diocesi. I santi sono il vero tesoro di una chiesa locale. Essi infatti assolvono a un triplice compito: di evangelizzazione, perché dimostrano la bellezza e la possibilità esistenziale del Vangelo di Gesù; di inculturazione, perché mostrano non con teorie di laboratorio, ma con la loro esistenza che il Vangelo può mettere radici in tutte le culture e trasformarle in meglio; di riconciliazione, perché come testimoni eroici della carità di Cristo, portano perdono, pace e giustizia nella comunità.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Peter Martin MUSIKUWA, Vescovo di Chikwawa (MALAWI)

L’articolo 14 dell’Instrumentum laboris afferma che: “I Pastori d’Africa, in unione con il Vescovo di Roma che presiede alla comunione universale della carità [6], hanno ritenuto che un approfondimento dei problemi già sollevati nel corso della precedente Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, e ripresi nell’Esortazione Apostolica Postsinodale Ecclesia in Africa, meritasse una maggiore attenzione”. La Conferenza episcopale del Malawi ritiene che il settore che fa parte di questa continua dinamica sia la famiglia. A tale proposito, l’articolo 20 dell’Instrumentum laboris osserva che “si fa sentire un bisogno di creatività per rispondere alle necessità spirituali e morali della famiglia”.
In quanto “chiese domestiche”, luoghi di perdono, riconciliazione e pace, la maggior parte delle famiglie africane non gode di un’armonia totale. Affrontano molte sfide, tra cui i problemi dell’HIV/AIDS, la globalizzazione multiculturale (Instrumentum laboris, 72), il deterioramento del valore culturale del matrimonio, l’influenza politica e la mancanza di modelli a cui ispirarsi. Mancano l’amore vero e la riconciliazione. Quindi occorre proseguire con un’assistenza pastorale qualificata, una catechesi continua sul matrimonio e sulla vita familiare.
Ciò può essere fatto a diversi livelli: Conferenza episcopale, diocesi e parrocchia. Inoltre i movimenti/associazioni cristiani, quali i Family Movements (movimenti della famiglia) e il Christian Marriage Encounter (incontro sul matrimonio cristiano) possono essere molto utili. Questi movimenti/associazioni aiutano veramente i coniugi a meglio comprendere la natura e l’essenza della vocazione sponsale. Sono anche d’aiuto nell’intensificare l’amore e la fedeltà coniugali nella famiglia. Infondono speranza e coraggio soprattutto alle famiglie che affrontano difficoltà.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Barry Alexander Anthony WOOD, O.M.I., Vescovo titolare di Babra, Vescovo ausiliare di Durban (SUDAFRICA)

Ho pensato che fosse utile per le mie sorelle e per i miei fratelli del Sinodo riflettere su un’iniziativa della Conferenza dei Vescovi cattolici del Sudafrica (SACBC), presa dopo le nostre prime elezioni democratiche nel 1994. Si tratta della creazione di un Ufficio Cattolico per i rapporti con il Parlamento (CPLO).
Scopo di tale Ufficio è proprio quello di fare ciò che dice la sua denominazione, vale a dire mantenere rapporti con il Parlamento. Sebbene il Sudafrica sia cattolico soltanto per il 9%, il 22% dei 440 membri del Parlamento è cattolico. Tuttavia, e questo è un aspetto importante, il lavoro dell’Ufficio (stabilire rapporti, svolgere ricerche e fornire informazioni) si rivolge a tutti i parlamentari, indipendentemente dalla loro religione o dal loro bagaglio politico.
Abbiamo un numero di ricercatori a tempo pieno che studia in profondità tutti gli aspetti della legislazione che viene sottoposta al Parlamento. Lo facciamo basandoci su un sistema di valori fondato sul Vangelo, che attinge a piene mani dalla Dottrina Sociale della Chiesa. I parlamentari non hanno le risorse né il tempo per approfondire ogni singolo tema. Pertanto questo lavoro di ricerca è assai apprezzato da molti di loro.
Inoltre, anche verbalmente o per iscritto, comunichiamo i punti di vista dei cattolici sulla legislazione entrante in sede di Commissioni parlamentari ad hoc. Tali studi vengono messi a disposizione anche di un pubblico molto più vasto, in quanto riflettono le opinioni e i commenti sulla legislazione appena approvata. Ciò produce, a livello nazionale e talvolta internazionale, una consapevolezza fra un maggior numero di persone circa le questioni politiche e le risposte della Chiesa Cattolica.
Negli ultimi dodici anni il CPLO ha avuto un’influenza enorme sul Parlamento e tale influenza è in crescita. Il contatto sociale informale con i parlamentari rappresenta un altro importante aspetto del nostro lavoro.
I parlamentari vengono spesso invitati a partecipare a funzioni sociali organizzate dalla Chiesa al semplice scopo di conoscerli e ringraziarli.
L’Ufficio Cattolico per i Rapporti con il Parlamento organizza regolarmente dibattiti su importanti argomenti di pubblico interesse, come l’attuale situazione dello Zimbawe o la nuova legislazione sui Diritti del Bambino. Relatori di chiara fama appartenenti a tutti gli schieramenti politici e circoli ecclesiali vengono invitati a questi pubblici dibattiti che richiamano un pubblico numeroso.
L’Ufficio, due volte l’anno, organizza corsi di formazione per persone di altri paesi scelte e inviate dalle rispettive Conferenze Episcopali. Oggi, lo Zimbawe, l’Etiopia , la Repubblica Democratica del Congo e la Sierra Leone, per menzionarne alcuni, hanno beneficiato di questi programmi di formazione.
La Conferenza episcopale del Sudafrica vorrebbe appoggiare il suggerimento dell’Arcivescovo Berhaneyesus Souraphiel (Addis Abeba) di nominare in seno all’Unione africana un rappresentante cattolico permanente e a tempo pieno, non più soltanto in veste di semplice osservatore.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Buti Joseph TLHAGALE, O.M.I., Arcivescovo di Johannesburg, Presidente della C
onferenza Episcopale (SUDAFRICA)

Nell’Instrumentum Laboris il tema dell’inculturazione viene appena sfiorato. Eppure la Ecclesia in Africa afferma categoricamente che l’inculturazione è la conditio sine qua non per l’opera di evangelizzazione. Senza inculturazione non esistono una genuina evangelizzazione e una genuina riconciliazione. Dopo tutto, “il vangelo si radica nel tessuto umano della cultura” (IL 73).
I valori morali insiti nelle diverse culture africane, insieme ai valori del Vangelo, sono oggi minacciati dalla nuova etica globale che cerca aggressivamente di convincere i governi e le comunità africane ad accettare nuove interpretazioni del concetto di famiglia, di matrimonio e di sessualità umana (come è stato segnalato nella presentazione del Cardinal Turkson). Le culture dell’Africa subiscono la forte pressione del liberismo, del secolarismo e delle lobby che hanno occupato alle Nazioni Unite. L’Africa affronta una seconda ondata di colonizzazione, subdola e spietata allo stesso tempo.
La sfida più complessa che la Chiesa africana deve affrontare non è la mancanza di analisi, la mancanza di comprensione dei problemi e della loro interconnessione. La sfida è la mancanza della volontà collettiva (politica) di applicare le risoluzioni prese, di cercare soluzioni percorribili alle sfide che affrontano le nostre società, di rispondere alle scomode sfide della leadership. Occorre dunque porsi un urgente interrogativo: A chi si rivolgono le nostre associazioni regionali e continentali? Quali sono i propositi di tali organizzazioni, a parte esprimere compassione, solidarietà e collegialità? I membri aderiscono formalmente alle conferenze regionali e continentali. Non vengono pagate le quote. In che modo, dunque le risoluzioni possono essere applicate quando noi stessi sabotiamo le nostre organizzazioni, ne frustriamo il personale e ne demoralizziamo i membri direttivi, invece di guidarli e aiutarli, o di stabilire e rivedere collegialmente gli obiettivi? Se le risoluzioni del Sinodo devono essere applicate, le nostre conferenze nazionali, regionali e continentali devono assumersene la responsabilità.
In secondo luogo, la nostra gerarchia sembra lavorare da sola a questi temi che riguardano tutto il continente. I laici, in virtù del battesimo, hanno un importante ruolo da svolgere. Ci si aspetta che diano testimonianza nella pubblica piazza, in famiglia e sul posto di lavoro. Ma la loro voce cristiana, dinnanzi alle molte sfide dell’Africa, è debole, soffocata, o semplicemente spenta. La gerarchia è priva di alleati affidabili nell’opera di trasformazione dell’Africa.. È necessario dare voce ai cattolici laici dell’Africa, perché alzino la testa e vengano apprezzati per la loro fede cristiana. La gerarchia non può agire da sola.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Valentin MASENGO NKINDA, Vescovo di Kabinda (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)

La Chiesa cattolica in Africa suscita ammirazione e rispetto anche da parte di coloro che non condividono il suo insegnamento, grazie alla natura e alla stabilità delle sue strutture che riflettono la sua natura di comunione. Lo spirito di comunione è stato infuso fin dall’inizio dall’azione missionaria e perdura malgrado le tendenze e le forze distruttive da sradicare.Se alcuni segnali di divisione provenienti dal disordine della città sono presenti anche nel tempio, questo è dovuto tra l’altro a una cattiva comprensione e alla strumentalizzazione delle strutture della Chiesa in Africa da parte di alcuni pensatori.
Per sradicarli, proponiamo che questa Assemblea Sinodale:
– ricordi il rispetto dello spirito e delle norme costitutive delle strutture della Chiesa a tutti i livelli;
– raccomandi di evitare, nell’erezione delle circoscrizioni ecclesiastiche dalle più elementari alle più complesse (CEV – Comunità Ecclesiali Viventi -, parrocchie, diocesi, regioni ecclesiastiche ecc.), di far coincidere queste ultime con i confini territoriali o linguistici tribali o etnici in modo da far emergere con chiarezza l’essenza stessa della Chiesa come famiglia di Dio aperta a tutti;
– insista, al fine di minimizzare le tendenze “tribalizzanti” ed “etnicizzanti” curando la formazione dei fedeli cattolici, degli agenti pastorali, dei sacerdoti e dei religiosi, affinché essi si impregnino dello spirito, che sottende alle strutture del dialogo e della partecipazione della Chiesa;
– sottolinei particolarmente la formazione socio politica dei dirigenti laici in conformità con l’insegnamento sociale della Chiesa in modo da rinsaldarli nella fede cattolica per permettere loro di agire in politica e nella città come costruttori di comunione e di unità;
– accordi un’importanza cruciale alla scelta dei formatori negli istituti di formazione sacerdotale, religiosa, negli Istituti Superiori di Scienze Religiose, nelle Università cattoliche e ecclesiastiche per riuscire a infondere lo spirito di comunione al di là di ogni divario etnico e tribale;
– ribadisca che nelle cariche canoniche, a tutti i livelli, si nominino le persone senza lasciarsi condizionare dalla loro appartenenza tribale e etnica;
– nelle scuole cattoliche e nei Movimenti d’azione cattolica, faccia in modo che si assumano insegnanti e personale scolastico impregnati dello spirito ecclesiale con l’obiettivo di garantire ai giovani una visione sana e di comunione della Chiesa come famiglia dei figli di Dio.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. John Olorunfemi ONAIYEKAN, Arcivescovo di Abuja (NIGERIA)

Durante la santa messa di inaugurazione solenne di questa Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per l’Africa, il Santo Padre Benedetto XVI ha richiamato l’attenzione sul “profondo senso di Dio” delle popolazioni africane e ha dichiarato che l’Africa rappresenta un immenso “polmone” spirituale per l’umanità”. Ciò è in linea con l’insegnamento del Servo di Dio, Papa Giovanni Paolo II nella Ecclesia in Africa (cfr n.ri 7, 57 e 67).
Questo terreno spirituale si è mostrato fertile al messaggio del Vangelo. Ma lo stesso è accaduto per l’islam. Perciò il nostro continente è diventato la patria di entrambe le fedi monoteiste, un fatto che dobbiamo riconoscere e con cui dobbiamo convivere per un futuro prevedibile.
La Ecclesia in Africa ha fatto appello a un dialogo sistematico con l’Islam. Nonostante numerose difficoltà in diversi luoghi, la strada del dialogo si è dimostrata la via migliore. Abbiamo imparato alcune lezioni negli ultimi quindici anni. Abbiamo fatto progressi nel far ricorso al sentimento generale, condiviso da musulmani e cattolici in Africa, di appartenere alle stesse famiglie, comunità e nazioni. Abbiamo imparato a prenderci per mano nell’affrontare sfide comuni sulla base di valori condivisi morali e spirituali, che scopriamo, talvolta con gioiosa sorpresa, ogni volta che apriamo reciprocamente i nostri cuori e le nostre menti.
Il mio appello e la mia ferma proposta è che questo Sinodo sfidi tutta la Chiesa africana a raggiungere l’intera comunità islamica dell’Africa, dal livello territoriale a quello continentale.
Ciò non avverrà per caso. Deve essere programmato e a questo proposito vanno messe a punto strutture quali i Concilii interreligiosi. La buona notizia è che molto si sta facendo in questa direzione, ma occorre sostenerlo e diffonderlo. Non possiamo combattere la battaglia per la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa da soli come Chiesa cattolica. Dobbiamo dare la mano ad altre forze spirituali del nostro continente, per liberare il nostro popolo dai vincoli che ci siamo auto-imposti, per la gloria di Dio, onnipotente e misericordioso Padre di tutti.

[Testo originale: inglese]

– S.Em.R. Card. Paul Josef CORDES, Presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum” (CITTÀ DEL VATICANO)

Molti cristiani si adoperano oggi per fare fronte alla miseria degli uomini in Africa. Diceva di recente una nota esponente politica tedesca, che non appartiene a un partito cristiano: l’impeg
no della Chiesa risulta essere la metà di quanto si realizza a favore di quel continente. Così i cristiani favoriscono anche la pace, spesso infranta a motivo della miseria materiale.
Il secondo concetto di questo Sinodo è la “giustizia”. Per attuarlo, la Chiesa non cessa di alzare la sua voce. La recente Enciclica Caritas in veritate afferma: “la giustizia è la prima via della carità” (6). La giustizia ha dunque la sua dimensione terrestre. Ma non è semplicemente il frutto dell’impegno umano o addirittura delle finezze politiche. Ci ha spiegato molto bene il relatore generale, il Card. Turkson: vista con gli occhi di fede, la giustizia è la rettitudine davanti a Dio – compito dell’impegno umano e allo stesso tempo regalo gratuito di Cristo Salvatore.
Qui la giustizia si imbatte nel terzo concetto delle riflessioni suggerite, la “riconciliazione”. Anch’essa inizia nel cuore dell’uomo. Nel cuore deve dunque radicarsi il punto focale delle nostre consultazioni.
Perciò gli ordini missionari vanno consolidati nel lavoro apostolico. Oppure anche i nuovi movimenti, il cui impegno in Africa nel nostro Dicastero Cor Unum sempre di nuovo ammiriamo e accompagniamo.
Questi gruppi collegano l’aiuto materiale contro la miseria con l’annuncio del Vangelo. E la loro antropologia non slega nell’uomo bisogni corporali e spirituali, ai quali pare si debba rispondere distintamente. Cor unum fa di tutto perché non si impongano falsi modelli all’homo africanus, così che nella collaborazione vada ritrovata nuovamente una sana visione unitaria dell’uomo, prevista dalla natura e dalla rivelazione.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Cornelius Fontem ESUA, Arcivescovo di Bamenda (CAMERUN)

In molti nostri paesi ci rallegriamo nell’osservare che la nostra popolazione cristiana sta crescendo. La liturgia viene celebrata con gioia e con un’attiva partecipazione. D’altra parte ci rattrista il fatto che esistano tensioni e conflitti non solo nella società in generale, ma anche tra le nostre comunità cristiane. Non è insolito che dietro azioni di ingiustizia sociale, disonestà e corruzione vi siano dei cristiani. Esistono pregiudizi familiari e tribali che vengono da lontano, che spesso danno origine a conflitti che si trasmettono da una generazione all’altra, senza nessuna intenzione di giungere al perdono reciproco e alla riconciliazione. Eppure molti di loro possono essere considerati ferventi cristiani praticanti che si adoperano onestamente per fare il bene. La riconciliazione, la giustizia e la pace sono opere della grazia di Dio, che ci giunge attraverso la Parola di Dio e i sacramenti, soprattutto quello della Confessione e dell’Eucaristia. Sono dunque necessarie due cose: 1) Una celebrazione più regolare del sacramento della confessione e dell’Eucaristia, che sono i sacramenti di salvezza, comunione e servizio. 2) Una proclamazione più profetica della Parola di Dio, sempre e comunque.
Stanno diminuendo i cristiani, soprattutto i giovani, che si accostano al sacramento della Confessione e, quando lo fanno, non ne vengono toccati nel profondo. Si tratta piuttosto di un atto rituale, come le cerimonie tradizionali di riconciliazione e purificazione. Quanti vi partecipano, anche se esteriormente riconciliati, covano ancora sentimenti di odio e rancore che possono condurre alla vendetta qualora se ne presenti l’occasione.
Una celebrazione più frequente e comunitaria del sacramento della Confessione secondo il nuovo rito pubblicato pochi anni fa, che fa profondo riferimento alla Parola di Dio, potrebbe far emergere più efficacemente la dimensione sociale del peccato e delle sue conseguenze e sottolineare il fatto che la riconciliazione non è semplicemente un fatto privato con Dio, ma comporta anche la riconciliazione reciproca; essa ristabilisce la pace e l’armonia in seno alla comunità ed esige l’adempimento degli obblighi sociali e la pratica della giustizia. Una tale celebrazione invita l’intera comunità a rallegrarsi come si legge nella parabola del figliol prodigo.
Abbiamo bisogno di Sacerdoti che siano più disponibili ad amministrare il Sacramento della Confessione, sull’esempio del Curato D’Ars, e che lo facciano in modo significativo, con un tocco personale e dispensando una consulenza spirituale basata sulla Parola di Dio.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Philippe OUÉDRAOGO, Arcivescovo di Ouagadougou (NIGER)

Il pensiero liberale e neoliberale, forte del potere economico e del potere dei media, vuol farci credere che le comunità umane e religiose non abbiano niente da dire sui comportamenti degli individui, in nome di un “libertinaggio” e di un relativismo morale.
Le nostre comunità umane e religiose dell’Africa, nell’insieme, rifiutano le pratiche legalmente riconosciute in numerosi paesi occidentali, in passato cristiani, quali l’aborto, la pratica omosessuale, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, l’eutanasia… Esse puntano alla promozione di valori relativi alla famiglia e alla vita.
I mezzi di comunicazione fanno del mondo un unico villaggio. Sempre di più, alcune radio e televisioni, alcuni siti internet, tutti condizionati dal potere e dagli interessi economici, diffondono volutamente programmi che cercano visibilmente di imporre il pensiero unico dell’Occidente. Lo scandalo mediatico organizzato in occasione del viaggio del Santo Padre in Camerun e in Angola lo scorso mese di marzo ne è un patetico esempio. Programmi rivolti al pubblico francofono, sia europeo che africano, miravano a far credere che sacerdoti, religiosi e religiose africani, studenti o in missione a Roma o altrove in Europa, vivessero di accattonaggio e prostituzione, abbandonati dal Vaticano e dalle congregazioni religiose. Era necessario questo per manifestare il proprio dissenso con il Santo Padre? Evidentemente, una coalizione cercava di raggiungere un obiettivo chiaro ma inconfessabile, distraendo gli africani in modo da impedire loro di ascoltare le parole del Santo Padre sulle questioni dell’ingiustizia, della violenza e delle loro cause.
Gli africani non potrebbero mai usare la violenza per combattere l’imperialismo e la tirannia del pensiero unico. Tuttavia, chiediamo loro un po’ di ritegno e di cautela, di rispetto e di tolleranza e soprattutto di onestà intellettuale nell’esprimere le proprie idee che non sono al servizio della dignità umana e che potrebbero suscitare sofferenze intollerabili e comportamenti di ostilità o persino di odio tra i popoli.

[Testo originale: francese]

– Rev. P. Damian WEBER, C.M.M., Superiore Generale dei Missionari di Mariannhill (UNIONE DEI SUPERIORI GENERALI)

In quanto membro di un Istituto per la Vita Consacrata, un individuo accetta di essere consacrato a Gesù Cristo, abbracciando la Sua missione e la Sua visione. Entrambe sono espresse dalle belle parole del Vangelo di Luca, 4, 18-21. Se a ciò aggiungiamo Giovanni 20, 21, quando Gesù dice: “Come il Padre mi ha mandato, anch’io mando voi”, possiamo affermare che una persona consacrata prosegue la missione di Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.
Oggi, in Africa, ciò potrebbe significare andare a curare le ferite del mondo, non distogliere lo sguardo o fuggire nella comodità del consumismo e del potere.
In questo contesto i consigli evangelici potrebbero rappresentare uno stile di vita il cui significato è una solidarietà volontaria con le vittime dell’ingiustizia e della repressione, un’identificazione con quanti soffrono materialmente e socialmente; potrebbe significare solidarietà con quanti subiscono discriminazioni e sfruttamento sessuali e solidarietà con coloro che, oppressi da vincoli sociali e politici, non possono decidere del proprio destino.
Sappiamo che uno dei bisogni fondamentali di ogni individuo è apprendere e sperimentare il fatto che “io sono rispettato e accolto da Dio per quello che sono”. Poiché Dio non parla direttamente con ciascuno, l’individuo deve poter ascoltare questo concetto dagli altri e in ciò vedo il ruolo c
ruciale della vita di comunità.
Ciò esige l’esperienza della riconciliazione prima di predicarla e prima di portarla nel mondo a chi, attorno a noi, sembra averne bisogno.
È necessario che le comunità di vita consacrata e la Chiesa stessa agevolino questa riconciliazione con Dio e fra le persone; occorre vivere innanzitutto a casa propria la salvezza che Dio ci offre e la giustizia dell’impegno incondizionato di Dio nei confronti di ogni persona. Dunque, la Chiesa e le sue comunità saranno testimoni vivi e strumenti fruttuosi di Gesù Cristo e della riconciliazione, giustizia e pace, che sono sostanzialmente doni del Suo spirito.

[Testo originale: inglese]

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ZENIT Staff

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