Interventi per la sesta Congregazione generale il 14 ottobre (mattina)

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 14 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi pronunciati questo giovedì mattina nella sesta Congregazione generale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

* * *

– S. E. R. Mons. William Hanna SHOMALI, Vescovo titolare di Lidda, Vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini (GERUSALEMME)

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

La Chiesa respira attraverso i suoi due polmoni, scriveva Giovanni Paolo II: le Chiese orientali e la Chiesa cattolica latina. Queste due tradizioni si sono felicemente incontrate in Oriente.
La Chiesa latina d’Oriente non è occidentale, anche se comprende molti occidentali: un cristiano arabo che appartiene a questa Chiesa si sente al 100% orientale e al 100% di rito latino.
La maggior parte dei libri liturgici della liturgia latina sono stati tradotti in arabo.
I canti liturgici sono passati dalla fase dell’imitazione e del prestito alla fase della creatività. Nella prima fase, i nostri antenati attingevano al canto gregoriano, al repertorio dei canti europei e alla liturgia siriaca maronita. In una seconda fase, siamo passati alla creatività. I nostri musicisti, conoscitori dello spirito della liturgia latina basato sulla precisione, sulla concisione e sulla chiarezza, hanno composto canti di valore. Hanno anche fuso la tradizione gregoriana con la musica orientale come per il canto dei salmi.
Attraverso la liturgia latina, i nostri fedeli si sentono legati alla grande Chiesa che celebra questo rito su scala mondiale. Quando viaggiano o emigrano, si inseriscono facilmente nei paesi e nelle parrocchie d’accoglienza. D’altra parte i pellegrini che visitano la Terra Santa e partecipano alla nostra liturgia domenicale vi riconoscono la propria liturgia a cui partecipano senza difficoltà e con gioia.
Questa liturgia è per noi il luogo per eccellenza della catechesi e della santificazione. Recentemente abbiamo gioito della beatificazione di due religiose palestinesi: una carmelitana e la fondatrice delle Suore del Rosario.
Nonostante i progressi in materia liturgica, occorre un lungo e sapiente lavoro di inculturazione soprattutto per quanto riguarda il sacramento del matrimonio e i riti del battesimo e delle esequie. Questa inculturazione dovrebbe rispettare lo spirito latino e la cultura orientale.
Auspichiamo vivamente l’unificazione della festa di Pasqua con le Chiese ortodosse. Ciò implica anche l’unificazione del periodo della Quaresima e, perché no, anche della modalità di vivere l’astinenza e il digiuno. Dato che il digiuno è un valore rispettato nell’Islam e nell’ebraismo, sarebbe auspicabile che i cattolici di rito orientale e i latini unificassero anche il loro modo di digiunare. Sarebbe un segnale positivo per i cristiani e anche per i non cristiani.
La missione dell’evangelizzazione e della santificazione passa attraverso la liturgia. La liturgia latina in Medio Oriente ha un importante ruolo da svolgere nel rispetto totale delle liturgie orientali che hanno anch’esse un grande merito nella catechizzazione e nella santificazione dei fedeli.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Cyrille Salim BUSTROS, S.M.S.P., Arcivescovo di Newton dei Greco-Melkiti (STATI UNITI D’AMERICA)

I musulmani ripetono a coloro che vogliono capire: “L’Islam è la religione della tolleranza”. E basano questo slogan sulla famosa frase del Corano: “Nessuna costrizione in materia di religione”. Da un lato, e in linea di principio, l’affermazione della tolleranza è chiara nel Corano. Ma dall’altro, e di fatto, le leggi di tutti i paesi arabi, eccetto il Libano dove è permesso cambiare religione, minacciano di morte qualunque musulmano si converta a un’altra religione. Ci domandiamo quindi: dov’è la tolleranza? Come conciliare la tolleranza di principio chiara nel Corano con la minaccia di morte appesa come una spada di Damocle sulla testa di qualunque musulmano che oserebbe pensare di cambiare religione?
Questa legge di minaccia di morte è basata, si dice, su un presunto hadith del profeta Maometto che dice: “Uccidete chiunque di voi rinneghi la sua religione”.
Come uscire da questa impasse? La sola via possibile, credo, sia il dialogo con i musulmani illuminati per arrivare alla necessità di interpretare le leggi musulmane nel loro contesto storico e mostrare che questo hadith o non proviene dal profeta ma da un Khalife che, nel momento delle conquiste musulmane, ha inventato questo hadith per proteggere la società musulmana, oppure, se proviene dal profeta, dovrebbe essere interpretato nel suo contesto storico. E il principio di tolleranza stabilito chiaramente dal Corano deve venire prima di ogni legge stabilita successivamente per ragioni storiche. La società musulmana oggi non ha niente da temere dal passaggio di qualche musulmano al cristianesimo. Il principio basilare di ogni società è l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Il rispetto della coscienza di ogni individuo è il segno del riconoscimento della dignità della persona umana.
Purtroppo il XXI secolo è iniziato subito come il secolo dello scontro di civiltà. È dovere di noi cristiani e musulmani, lavorare insieme per trasformarlo nel secolo della cooperazione delle civiltà per la promozione dei diritti umani e la pace universale in tutto il mondo.

[Testo originale: francese]

– S. B. Ignace Youssif III YOUNAN, Patriarca di Antiochia dei Siri (LIBANO)

La parola “Verità”, in arabo “Haqq”, significa anche Diritto (ciò che è dovuto). Non è forse una coincidenza significativa che ci sia un legame così stretto tra “Verità” e “Giustizia”?
Da duemila anni, e in particolare negli ultimi quattordici secoli, i cristiani, divenuti minoranza nei loro paesi, sono stati duramente provati nella loro testimonianza di fede fino al martirio.
Il nostro amato Salvatore, prima della sua ultima offerta, difese la Verità, sinonimo del diritto inalienabile della persona alla libertà, offrendo la Sua salvezza per tutti, anche per coloro che si opponevano al suo messaggio d’amore incomparabile e universale.
La nostra salvezza è aderire coraggiosamente al suo messaggio e proclamare, senza alcun timore la Verità nella vera carità.
I nostri fedeli che nella regione tormentata del Medio Oriente hanno diritto a sperare, si aspettano molto da questo Sinodo. Sta a noi dare loro le ragioni della loro fede inseparabile dalla speranza nel nostro amato Salvatore, che ci rassicurati: “ Non temere, piccolo gregge”.
Vivendo così la fede di un cuor solo e un’anima sola, sapremo testimoniare insieme e con coraggio Colui che ha detto: “Sono la Verità e la Vita”. Solo la Verità ci renderà liberi.
“Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la fede religiosa” (Caritas in Veritate, 56).

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Thomas Christopher COLLINS, Arcivescovo di Toronto (CANADA)

Nei tempi moderni come nell’antichità, i cristiani del Medio Oriente affrontano tribolazioni, poiché costituiscono una minoranza vulnerabile. Tale situazione non offre una ragione naturale di speranza. I primi cristiani erano sostenuti nelle loro lotte e alla fine crebbero a causa di una speranza nutrita dalla visione della fede come la vediamo nell’Apocalisse e dalla comunione d’amore trovata in san Paolo, attraverso la quale i cristiani delle comunità più nuove assistevano i cristiani di Gerusalemme, patria della fede per loro, come per noi tutto il Medio Oriente. Queste due fonti di speranza che dà la vita devono essere esaminate nella situazione odierna.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Claudio Maria CELLI, Arcivescovo titolare di Civitanova, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali (CITTÀ DEL VATICANO)

– Come opportunamente sottolineato dall’Instrumentum Laboris (n. 67) e dalla Relatio (p. 12), i mezzi di comunicazione, quelli tradizionali e quelli nuovi, offrono una grande occasione per l’ evangelizzazione e per la diffusione dei valori del Vangelo. Soprattutto tra i giovani, che forse non frequentano la Chiesa assiduamente, e invece usano sempre più questi mezzi e comunicano tra loro attraverso le reti.
Desidero sottolineare, però, che stiamo parlando non solo di strumenti, ma di una vera e propria cultura
creata da una complessità comunicativa mai vista finora nella storia.
– Prendo spunto da un esempio. Le Chiese che vivono in oriente hanno una secolare tradizione iconica, un’ ammirevole capacità di creare un linguaggio attraverso le immagini. Esse non sono solo il frutto di una spiritualità, ma la rinforzano, e generano anche una cultura, una scuola di vita e di pensiero che fa parte dell’identità comunitaria di tante Chiese locali e della società.
– La cultura odierna risulta e nutre nuovi linguaggi e percorsi di pensiero. Pervade le mentalità, il modo di capire, il modo di imparare, gli argomenti su cui dialogare. Non possiamo, dunque, rispondere alle sfide di oggi e di domani con le soluzioni di ieri. Non possiamo continuare a parlare nelle nostre categorie ad una popolazione sempre più lontana da esse. Per amore dei nostri popoli, dobbiamo fare una conversione pastorale, imparare di nuovo come ascoltare e comunicare, il che non vuol dire andare dietro all’ultima tecnologia, ma capire le categorie dell’altro e usarle.
– Questa cultura “digitale” è segnata dall’immediato, dalla veloce sequenza delle immagini, dalla musica, dal testo breve e conciso. Anche la forma orale è cambiata, e la sola parola non basta. Il libro, la stampa non scompariranno, e nemmeno il piccolo bollettino parrocchiale, ma non basta.
– La cultura digitale è presente anche nelle diverse nazioni del Medio Oriente e nelle Chiese locali attraverso le TV, le radio, il cinema, i siti web e le reti sociali. Tutto questo spazio mediatico incide sulla vita quotidiana; configura i valori, le scelte, le opinioni o le domande, l’agenda del pensiero delle persone, anche dei cristiani … a volte con una forza molto più incisiva di quella dei catechisti, del sacerdote nelle omelie, del Vescovo stesso. Non a caso il Santo Padre ci ha invitato ad essere presenti, ed esercitare una diakonia di questa cultura offrendole il messaggio di Cristo nei linguaggi di oggi, digitali e cartacei, presenziali e virtuali, annunciando la Misericordia di Dio, l’ascolto dell’altro, l’amore ai nemici, l’accoglienza ed il rispetto di ogni essere umano, in particolare dei deboli. Diakonia, servizio alle persone nella loro cultura.
– Questo è possibile anche nel dialogo con i non credenti, con tanti alla ricerca di Dio, aprendo – come ci ha invitato il Papa Benedetto – dei “cortili dei gentili”, cioè degli spazi di dialogo e di ascolto per coloro che hanno delle domande e sono alla ricerca. I media sorprendono il mondo con la quantità di libri, film, siti web eccetera, riguardanti la questione religiosa, la ricerca del trascendente e di una spiritualità, la ricerca della giustizia e della pace. La Chiesa deve ascoltare, camminare con questa umiltà e offrire il tesoro prezioso del Vangelo. Ma deve cercare di farlo nelle categorie usate oggi.
– Perciò, come indica la Relatio, è necessaria la formazione degli agenti di pastorale. Certo, dei laici e in particolare dei giornalisti, ma non solo. È urgente la formazione dei seminaristi, non tanto alla tecnologia, che sanno gestire molto meglio di noi, ma alla comunicazione, alla comunione in questa cultura in veloce sviluppo. Senza dei sacerdoti – e poi dei vescovi – che capiscano la cultura odierna, ci sarà ancora un divario comunicativo che non favorisce la trasmissione della fede ai giovani nella Chiesa. Non basta costruire dei siti web; ci vuole una presenza che riesca a creare vincoli di comunicazione autentica, che apra dei “luoghi” di aggregazione per la testimonianza della fede e del rispetto dell’altro. Ovviamente, ciò non significa trascurare l’incontro personale e la vita comunitaria presenziale; non si tratta di azioni alternative. Sono ormai, tutte e due, indispensabili per l’estensione del Regno di Dio.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Robert Joseph SHAHEEN, Vescovo di Our Lady of Lebanon of Los Angeles dei Maroniti (STATI UNITI D’AMERICA)

È certamente un segno dei tempi riunirsi in questo Sinodo per discutere della Chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza.
Riflettendo sul tema dell’emigrazione così come è delineato nell’Instrumentum laboris del Sinodo, trovo che i nostri fedeli siano divisi in gruppi in base al loro attaccamento alle proprie radici.
– Molti di essi sono emigrati negli USA tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX. Abbiamo perduto molte di queste persone per la mancanza di pastori.
– Un gruppo nutrito è emigrato a causa dell’instabilità degli ultimi quarantacinque anni: il conflitto israelo-palestinese, la guerra civile in Libano, la guerra in Iraq…
– Purtroppo, c’è un gruppo che recide tutti i legami con il Medio Oriente.
– C’è anche un gruppo che non ha vincoli di sangue con il Medio Oriente, ma si sente attratto dalle liturgie orientali e dalla loro bellezza.
Partendo da questa realtà, suggerirei alla vostra riflessione alcune idee e progetti:
– L’intenso sforzo non deve essere limitato ai nostri fedeli delle Chiese orientali, ma raccoglierebbe un sostegno maggiore e avrebbe senza dubbio un migliore impatto, se la Chiesa cattolica romana unisse le forze.
– Sarebbe vantaggioso lavorare insieme con le Chiese ortodosse e protestanti all’estero per cercare modi per sostenere i nostri fratelli e sorelle del Medio Oriente.
– Sarebbe una grande iniziativa avere, annualmente, un Fine Settimana Mondiale di Conoscenza sui cristiani nel Medio Oriente, da tenersi in tutte le Chiese.
– Molti dei nostri aiutano i propri parenti. Sarebbe positivo istituire una specie di fondo per aiutare a creare posti di lavoro e opportunità.
Spero che questo Sinodo porti buoni frutti graditi al nostro Dio d’amore. Ci impegniamo a pregare e a lavorare di più per il bene della cristianità nel Medio Oriente.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Jean TEYROUZ, Vescovo titolare di Melitene degli Armeni, Vescovo di Curia di Cilicia degli Armeni (LIBANO)

1. “La Chiesa cattolica ha in grande stima le istituzioni… delle Chiese orientali. Si tratta infatti di Chiese illustri e venerande per antichità, in cui risplende la tradizione apostolica tramandata dai Padri, che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale” (Proemio del Decreto sulle Chiese Cattoliche Orientali). “ Una simile tradizione deve essere attribuita alla Divina Provvidenza”.
2. In prima posizione, all’interno di queste Chiese, figurano le Chiese patriarcali. La Chiesa d’Occidente ha attinto al loro tesoro liturgico, spirituale, giuridico e dogmatico (DOE n.14). L’istituzione patriarcale nelle Chiese orientali è una forma tradizionale (EO n.11). I patriarchi coi loro sinodi costituiscono la superiore istanza per qualsiasi problema del patriarcato (EO n.9). È auspicabile sviluppare questo patrimonio globale per conservare la pienezza della tradizione cristiana (DOE n.15).
3. Chi dice emigrazione, dice diaspora. Alcune Chiese patriarcali hanno diaspore che contano molti più fedeli che nel proprio territorio. Il Papa Giovanni Paolo II chiede di mantenere e intensificare i rapporti tra le comunità cattoliche della diaspora e i diversi patriarcati. Infatti, una comunità locale non può vivere separata dal suo centro di unità (Una speranza nuova per il Libano n. 89). Nella stessa Esortazione, il Papa parla delle radici storiche di natura religiosa che fanno parte dell’identità nazionale (n.1) e sottolinea il loro “volto profetico” (n.21).
4. Le Chiese ortodosse godono di maggiori poteri in tutte le questioni riguardanti il loro patriarcato. In una prospettiva ecumenica, il non concedere alle Chiese orientali cattoliche maggiori poteri giurisdizionali costituisce un ostacolo e rischia di farle scomparire un giorno. Non pianificare il futuro significa votarsi alla sconfitta. La vita ha il suo modo di punire i ritardatari. Invece, il fatto che queste Chiese abbiano maggiore giurisdizione, non è uno stimolo che favorisce l’unità delle Chiese?
Concludendo, non è forse auspicabile che la Chiesa cattolica conceda maggiori poteri giuris
dizionali ai patriarchi delle Chiese sui iuris per il bene di tutte le Chiese cattoliche e ortodosse?

[Testo originale: francese]

– Fr. César ESSAYAN, O.F.M. Conv., Consigliere della Delegazione Generale d’Oriente e Terra Santa dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali (LIBANO)

La Parola di Dio, così cara al nostro Padre san Francesco, è il luogo dell’incontro diretto con Cristo. È lì, nella meditazione e nella contemplazione che raggiungo colui che è “il mio Signore e il mio Dio”, colui che si rivela a me e che improvvisamente mi rivela a me stesso e mi invita a divenire “l’uomo nuovo” del quale ci parla san Paolo nelle sue lettere. Si tratta di entrare in comunione con Dio Creatore e Salvatore.
Purtroppo, i nostri cristiani conoscono male Cristo e il suo Vangelo. Utilizzano spesso parole improprie per parlare di Dio e concezioni impregnate di altre credenze. Gli esempi sono molteplici e riportano tutti a una sola idea: abbiamo false immagini di Dio. È quindi essenziale ritornare alla Parola di Dio, poiché tutta la nostra vita dipende, che lo vogliamo o meno, dalla nostra concezione di Dio.
E se Dio è relazione e comunione in Lui stesso, le nostre divisioni diventano fonte di dubbi, di sofferenze e i fedeli non possono che allontanarsi da una Chiesa che rifiuta al suo interno, il perdono, la riconciliazione e la comunione.
Non è forse tempo di camminare insieme per il bene del popolo di Dio che ci è stato affidato? Cosa ci costa coordinare i nostri sforzi? Perché non creare anche delle iniziative comuni con i nostri fratelli ortodossi? Come per esempio, delle giornate ecumeniche “medio-orientali” per i giovani sul modello delle GMG? Sarà solo quando anch’essi si sentiranno Chiesa, circondati e incoraggiati dai loro Pastori che potranno essere i testimoni che Dio si aspetta.
Non si tratta quindi tanto di parlare dei nostri cristiani ma di noi stessi: fino a che punto siamo pronti a correre il rischio del Vangelo che ci invita ad amare i nostri nemici (che spesso sono nostri fratelli)? Il rischio della Riconciliazione e della Comunione anticipata con i nostri fratelli ortodossi e quelli delle Chiese riformate?
“Non abbiate paura”, ci ripete Cristo e anche questo Sinodo, perché “io sono con voi fino alla fine del mondo”.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Rabban AL-QAS, Vescovo di Amadia dei Caldei (IRAQ)

L’antica e gloriosa Chiesa Assiro-Caldea è stata, nei primi secoli e fino allo stabilirsi della Umma islamica: grande evangelizzatrice. Il nostro vivo desiderio è che i cristiani vengano rafforzati per essere testimoni della Risurrezione del Signore. La loro testimonianza e presenza sarà anche un servizio per i non cristiani.
Per questo oggi abbiamo bisogno di rievangelizzare i nostri cristiani e soprattutto coloro che non partecipano più alla vita della Chiesa.
Le statistiche, a prescindere dalla qualità della fede, danno una frequenza alla S. Messa domenicale di un massimo del 20 %. Molti giovani non partecipano più o solo saltuariamente ai Sacramenti. Questo già ci sembra un segno che chiama a una mobilitazione prima che sia tardi. Bisogna ritornare a un annuncio esplicito nei modi che il Signore sta mostrando validi per i tempi odierni, necessariamente seguito da una formazione permanente.
Perché si rinnovi la fede dei cristiani, e la loro vita e gioia siano contagiose, abbiamo bisogno che lo nostre comunità diano i segni della fede già indicati da Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato; da questo sapranno che siete miei discepoli”. Questo amore può apparire in modo concreto attraverso una nuova evangelizzazione che crei comunità a misura d’uomo unite non solo dall’ etnia, ma soprattutto dalla Parola ascoltata e accolta.
L’attacco che viene dall’Occidente e dall’influsso musulmano contro la famiglia, la possibilità del divorzio e dell’emigrazione, la diffusione dei contraccettivi, la legalizzazione dell’aborto, il family planning o birth control, la diffusione e il business della pornografia, tutto ciò porta a una nuova visione di famiglia. Anche qui diminuiscono le famiglie numerose e domina la visione laicista dove è l’uomo che pianifica il tutto…
Un aspetto importante, poco trattato nel documento, è la missione nella Chiesa delle nuove realtà ecclesiali. Dopo il Concilio assistiamo a una fioritura di carismi, frutto dello Spirito Santo, come ha riconosciuto la Chiesa.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Edgard MADI, Vescovo di Nossa Senhora do Líbano em São Paulo dei Maroniti (BRASILE)

Quando si parla di monaci, il mondo occidentale guarda verso oriente. Il 26 novembre dello scorso anno, il 2009, sul giornale italiano “La Repubblica” comparve un articolo sul confratello colombiano Dario Escobar, da nove anni monaco maronita nel convento di Nostra Signora di Houqua nella Valle di Kannubin, in Libano, in contatto con la congregazione libanese locale.Il mondo ha bisogno di testimoni.
La Chiesa maronita celebrerà quest’anno il 1600° anniversario della morte di San Marone, monaco e patrono della Chiesa maronita. Suggerisco di vivificare la vita monastica, la vita monastica e religiosa nelle nostre Chiese cattoliche orientali, come in quelle ortodosse. Questo stile di vita rinnova la Chiesa e costituisce una testimonianza. Infonde fiducia nei cristiani orientali laddove essi sono parte dell’Oriente e suscita vocazioni non soltanto dal Medio Oriente, ma anche dalla Diaspora.
L’esistenza di religiosi e monaci custodisce i cristiani in patria e rinnova l’espansione dei cristiani orientali nel mondo, oltre a far riscoprire loro le radici, che sono radici spirituali orientali.
Suggerisco di formare un comitato per approfondire questo tema e per far si che la Valle di Kannubin in Libano non rappresenti soltanto una fase della storia dell’ascetismo, ma sia anche parte del presente. Ciò puo essere fatto sia fondando una nuova congregazione patriarcale sia dando spazio nella Valle a tutte le congregazioni cattoliche affinché vivano la “comunione e la testimonianza”. Così saremo come Maria, che scelse la parte migliore.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Georges BOU-JAOUDÉ, C.M., Arcivescovo di Tripoli del Libano dei Maroniti (LIBANO)

L’Instrumentum Laboris ha fatto appena allusione al ruolo dei laici nella Chiesa e al loro rapporto con il clero e i Vescovi.
Nella Chiesa maronita i laici hanno sempre partecipato alla vita della Chiesa attraverso le confraternite mariane.
Allo stesso modo, alcuni laici sono sempre stati incaricati della gestione dei beni e delle proprietà della Chiesa; altri, ordinati sotto-diaconi, aiutavano nelle relazioni con l’autorità civile.
Sono nati nuovi movimenti ispirati a quelli fondati in Occidente. Alcuni si sono inculturati all’interno delle Chiese orientali, altri non ancora.
Le giornate mondiali della gioventù hanno dato vita a gruppi e commissioni di giovani nelle diocesi.
Nel 1997 in Libano, si è svolto un congresso di laici, convocato dal Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici a Roma. Attualmente se ne sta preparando un altro su decisione dei Patriarchi cattolici d’Oriente.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Camillo BALLIN, M.C.C.J., Vescovo titolare di Arna, Vicario Apostolico di Kuwait (KUWAIT)

Nella tradizione musulmana, il Golfo è la terra sacra del profeta dell’Islam, Maometto, e nessun’altra religione dovrebbe esistere lì. Come possiamo conciliare questa affermazione con la realtà delle nostre Chiese nel Golfo, in cui vivono circa tre milioni di cattolici? Essi provengono dai paesi asiatici e non solo. La realtà della loro presenza, che non può essere nascosta, mette in discussione l’affermazione musulmana. Non possiamo ridurre la nostra assistenza a questi fedeli unicamente alla celebrazione della messa della domenica, o anche quotidiana, e alle nostre omelie.
Occorre recuperare l’aspetto missionario della Chiesa. Infatti, una Chiesa che non ha uno spirito missionario e c
he si ripiega su se stessa, sulle proprie devozioni e tradizioni, è destinata a vivere una vita che non è la vita “in abbondanza” voluta dal Signore. In questo, le Congregazioni missionarie latine hanno un ruolo fondamentale da svolgere.
È urgente accogliere i carismi, le nuove realtà ecclesiali riconosciute dalla Santa Sede anche se sono spesso considerate adatte solo per la Chiesa latina e poco o per niente adatte alle Chiese orientali.
È importante formare i cristiani delle nostre Chiese a uno spirito veramente cattolico e universale, capace di spezzare il giogo del provincialismo (anche religioso), del nazionalismo (etnocentrico) e del razzismo (latente).
Voglio rassicurare le loro Beatitudini i Patriarchi e tutti i nostri fratelli Vescovi che nel Golfo stiamo facendo tutto quanto è nelle nostre possibilità e che se foste voi stessi là non potreste fare di più.
Chiediamo ai nostri fratelli musulmani di darci gli spazi necessari per poter pregare adeguatamente.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Sylvester Carmel MAGRO, O.F.M., Vescovo titolare di Salde, Amministratore Apostolico del Vicariato Apostolico di Benghazi (LIBIA)

I Frati minori francescani sono venuti in Libia nel 1628 per portare assistenza ai molti cristiani schiavi che erano stati catturati in battaglia, e da allora erano rimasti sempre lì. Oggi la presenza francescana si manifesta in due Vicariati Apostolici: quello di Tripoli e quello di Bengasi.
Le nostre due chiese cattedrali sono il centro di un intenso ministero pastorale e di sostegno umanitario verso le migliaia di cristiani che sono venuti a vivere e che si sono stabiliti qui da diversi anni.
I primi immigrati a raggiungere la Libia sono venuti dal Kurdistan nel 1975. La Chiesa si è resa utile nel fornire assistenza alle numerose famiglie cristiane del Kurdistan, che alla fine sono nuovamente emigrate e si sono stabilite in altri paesi.
Nel corso degli anni ‘90, il paese ha spalancato le porte per accogliere immigrati dal Medio Oriente. In effetti migliaia di cristiani dalla Siria, dal Libano, dalla Palestina e dall’Iraq sono giunti qui e si sono stabiliti nelle regioni di Tripoli e Bengasi, e insieme alle loro famiglie conducono una vita normale e industriosa.
Questi immigrati cristiani hanno trovato conforto nella presenza della Chiesa cattolica in Libia, che annoverava anche diverse suore provenienti dai loro paesi. Qui sono stati organizzati in “parrocchie personali” a seconda del loro gruppo linguistico. Anche se appartenenti a riti differenti, si sono adattati molto bene al rito latino proprio della nostra Chiesa.
Nonostante questi immigrati trovino in Libia un’autentica oasi di pace e serenità (cosa di cui saranno eternamente grati) il loro sogno resta tuttavia la speranza della “terra promessa”, a cui anelano e per cui pregano.
In effetti, a poco a poco nel corso degli ultimi dieci anni, la maggior parte degli immigrati del Medio Oriente hanno lasciato la Libia, dopo aver trovato una nuova patria in cui stabilirsi in modo permanente con le proprie famiglie.
La Chiesa in Libia è grata per essere stata strumento, nelle mani della Divina Provvidenza, nell’assistere questi fratelli nel momento del bisogno.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Georges Nicolas HADDAD, S.M.S.P., Arcivescovo di Bāniyās, Cesarea di Filippo, Paneade dei Greco-Melkiti (LIBANO)

L’edificio libanese si costruisce a partire dall’articolo 9 della Costituzione del 1926 che stabilisce che la libertà di coscienza è assoluta. Rendendo omaggio all’Altissimo, lo Stato rispetta tutte le confessioni e ne garantisce e protegge il libero esercizio a condizione che non venga compromesso l’ordine pubblico. Garantisce anche alle popolazioni, a qualunque rito appartengano, il rispetto del loro statuto personale e dei loro interessi religiosi.
Il Libano è sicuramente uno dei rari paesi in cui il pluralismo comunitario non è accompagnato ancora da una predominanza di una comunità sulle altre. Il mantenimento dell’equilibrio è uno dei compiti più delicati.
Il “sistema libanese” offre un esempio significativo di libertà di religione e di coscienza degna di essere tutelata. Tuttavia l’applicazione materiale solleva numerose questioni da chiarire e soprattutto da far evolvere nel rispetto dei diritti umani:
-Nonostante la chiarezza dell’articolo 9 della Costituzione, la libertà di religione e di coscienza resta appannaggio delle 18 comunità storicamente riconosciute dalla decisione 60 LR del 1936 (12 cristiane, 4 musulmane, una drusa e una ebrea). Chiunque non ne faccia parte è escluso da ogni diritto all’esercizio delle sue libertà.
– Ogni tentativo caratterizzato da un proselitismo da parte dell’una o dell’altra comunità può provocare reazioni estreme e talvolta violente.
– Ogni conversione è percepita come un colpo profondo inferto alla comunità d’origine del convertito e costituisce una rottura sociale rilevante del convertito nei confronti dei propri parenti.
– Il dialogo intercomunitario continua a essere poco frequente e talvolta è limitato al semplice contatto formale e occasionale.
Infatti dopo il Vaticano II, la Chiesa cerca di trovare una fonte regolatrice tra la Verità della Parola e i valori della libertà. I mezzi utilizzabili in questo senso rimangono gli atti intrapresi dalle istituzioni delle Chiese del Libano, soprattutto quelle che dispensano l’istruzione e le azioni sociali e umanitarie.
Essendo, l’educazione e l’aiuto del prossimo, la pietra angolare di ogni rafforzamento della libertà di religione e di coscienza.
Valorizzare e rafforzare questi due parametri sarà la sfida che dovranno affrontare le nostre Chiese, poiché dialogo e libertà possono sussistere solo se l’elemento intellettuale predomina su quello materiale e istintivo; la libertà di religione e di coscienza può svilupparsi solo in un ambiente istruito e senza grandi disparità sociali e finanziarie.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Fares MAAKAROUN, S.M.S.P., Arcivescovo di Nossa Senhora do Paraíso em São Paulo dei Greco-Melkiti (BRASILE)

Se leggiamo i segni dei tempi alla luce della Parola di Dio, vediamo che la salvezza significa ritornare a ciò che la Chiesa era ai suoi albori: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola”. Ciò significa che i credenti vivevano nella pienezza dell’amore e in autentica comunione adempivano al volere del Divin Maestro che diceva: “Siate santi come santo è il vostro Padre celeste”.Ogni persona, nella Chiesa delle origini, intendeva essere un membro vivo nel corpo sacramentale di Cristo che interagisce con tutti, per essere santo ed essere pronto a sacrificare tutto per giungere alla santità piena.
Oggi tutti gli sforzi per costruire la pace nel mondo, per diffondere la tranquillità nel cuore umano e por termine alle oppressioni e ai conflitti tra le religioni e le nazioni e tra le persone e i loro fratelli… Tutto ciò sembra scontrarsi con un muro impenetrabile, che impedisce di raggiungere questi obiettivi… E questo fatto semina disperazione e timore nei cuori di molti e tra il genere umano…
Il nostro Signore e Dio ci dice: “Non temere, piccolo gregge”, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo, le porte del male non vi impediranno di raggiungere la perfezione e la santità.
Il nostro Signore e Dio è con noi sempre, e con Lui trionferemo sempre grazie all’amore. Sapendo che l’amore ferisce, l’amore uccide… Ma l’amore rianima e solo lui può conquistare tutto. Sì, è vero, l’amore è la chiave per la salvezza. Ma non c’è vero amore senza vera santità. Cerchiamo di diventare santi, perché il nostro Padre celeste è santo. La santità è la soluzione. Sì, l’amore santificato è la soluzione.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Francis Némé BAÏSSARI, Vescovo titolare di Arado, Vescovo ausiliare e Sincello per Joubbé (LIBANO)

Il Medio Oriente è stato in gran parte cristiano. Cristo aveva lasciato un messaggio. Il cristianesimo è stato perseguitato. Con il Concilio di Nicea ha avuto inizio una lunga serie di scomuniche: Ario, Nestorio, Eutiche, Fozio. La rottura si è consumata nel 1054. Il legato del Papa scomunica il patriarca Michele Cerulario e questi scomunica il Papa. Il cristianesimo è scosso dalle invasioni da parte di persiani, arabi, mongoli e ottomani. I combattenti dell’islam partono alla conquista del mondo. La Siria intera diventa loro. Conquistano in seguito l’Egitto. Il giogo dell’Impero bizantino era stato così pesante che gli invasori furono spesso accolti con sollievo. Per finanziare la “Jihad”, i cristiani erano sottomessi a un’imposta, la “jizya”, il cui peso elevato li spinse a migliaia a optare per la religione del conquistatore.
In effetti la situazione reale variò secondo le epoche e le personalità dei governanti. Il male era stato fatto, anche se i cristiani e i musulmani continuavano a lavorare per salvaguardare la tolleranza e la democrazia minacciate.
Giovanni Paolo II ha detto: “Alle soglie del terzo millennio, il Cristianesimo è ancora saldamente ancorato in Medio Oriente”.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Francesco COCCOPALMERIO, Arcivescovo titolare di Celiana, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi (CITTÀ DEL VATICANO)

Per motivi di ufficio, devo intrattenervi sul diritto canonico orientale e quindi anche sul Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. E lo faccio volentieri, anche sulla scia del recente Convegno (8-9 ottobre), che ha commemorato i 20 anni trascorsi dalla publicazione di tale Codice. Il Convegno ha fatto registrare la presenza di 400 partecipanti e per tale motivo ha dato visibilità, e soprattutto onore, non solo al diritto canonico orientale, ma anche, e particolarmente, alle venerabili Chiese di Oriente, tutte ivi rappresentate.
I. Vorrei, ora, offrire alla Vostra attenzione alcuni elementi che provengono dal Codice orientale e a cui l’Instrumentum laboris, pur senza mai citare canoni del Codice, fa perfetto eco. Riferendomi al titolo del presente Sinodo: “comunione e testimonianza “, trovo nel Codice orientale una serie di norme che intendono promuovere l’unità tra le Chiese sui iuris e anche con le Chiese non cattoliche. Ne do alcuni esempi.
1) Nella stessa nazione o regione, a giudizio della Sede Apostolica, si possono costituire assemblee di Gerarchi di diverse Chiese sui iuris, latini compresi, anche con la partecipazione di Gerarchi delle Chiese non cattoliche. Queste assemblee hanno lo scopo di favorire lo scambio di prudenza ed esperienza, nonché il confronto di pareri pastorali. Tutto ciò porta all’unione delle forze per il bene comune delle Chiese (cf. can. 202; 322 CCEO – 447-459 CIC).
2) Si può formulare un progetto comune per la formazione dei chierici, oppure erigere un seminario maggiore per diverse Chiese sui iuris della stessa regione o nazione, oppure ancora ammetere nei seminari maggiori o minori alunni di altre Chiese sui iuris, purché in ogni caso si osservino le tradizioni del proprio rito (can. 330 § 2; 332 § 2; 333; 343 CCEO – 242, 237 CIC).
3) Per un’azione pastorale unitaria il Vescovo eparchiale può invitare a partecipare all’assemblea eparchiale fedeli appartenenti ad altre Chiese sui iuris (anche nel consiglio pastorale – can. 273 § 3 CCEO – 512 § 2 CIC) o, come osservatori, fedeli appartenenti a Chiese e comunità non cattoliche (can. 238 §§ 2, 3 CCEO – 463 §§ 2, 3 CIC).
4) Per un servizio di sollecitudine pastorale verso tutti i fedeli, si chiede al Vescovo eparchiale di avere attenta cura anche di quelli appartenenti a un’altra Chiesa sui iuris che non hanno una gerarchia propria; gli si chiede in particolare di provvedere, in stretta relazione con l’autorità superiore di quella Chiesa, all’erezione di parrocchie personali, o all’assistenza spirituale da parte di un presbitero o di un parroco o di un sincello (can. 192 § l; 193; 246; 280 § l; 916 § 5 CCEO – 383, 518 ClC).
5) Nei rapporti interconfessionali (ecumenici) viene sollecitata l’intera Chiesa, cioè tutti i fedeli, in modo speciale i Pastori, affinché si impegnino per l’unità dei cristiani (can. 902, 903 CCEO), perciò si richiede in particolare che nella catechesi cattolica si presenti una retta immagine delle altre Chiese e Comunità ecclesiali (can. 625 CCEO). Ciascuna Chiesa sui iuris deve promuovere iniziative ecumeniche nel dialogo aperto, fiducioso e mediante iniziative comuni con gli altri cristiani (can. 904, 905 CCEO). Addirittura, se è conveniente e utile, si può pubblicare la Sacra Scrittura in collaborazione con altri cristiani (can. 655 § l CCEO – 825 § 2 CIC). Si devono, inoltre, favorire con prudenza il dialogo e la cooperazione con i non-cristiani e si deve cercare di mettere a loro disposizione la Sacra Scrittura con note appropriate (can. 592 § 2; 655 § 2 CCEO – 787 § l CIC).
II. Altri argomenti, di attuale rilievo, toccati in vari numeri sia dall’Instrumentum laboris sia dalla Relatio ante disceptationem, sono per esempio i seguenti.
1) Le singole Chiese, in esse tutti i fedeli, devono promuovere la giustizia sociale (can. 25 § 2 CCEO – 222 § 2 CIC) e lavorare alla soluzione dei problemi sociali alla luce dell’Evangelo (can. 601 CCEO); i predicatori della Parola di Dio sono tenuti a istruire sulla dignità umana e sui diritti fondamentali, sul senso della giustizia e della pace e sul dovere di attuarle nel nostro mondo (can. 616 § 2 CCEO – 768 § 2 CIC).
2) I fedeli devono impegnarsi affinché il diritto alla libertà religiosa e quello alla libertà di educazione siano riconosciuti dalla società civile (can. 627 § 3; 586 CCEO -793, 748 § 2 CIC) e a lavorare affinché l’educazione sia estesa a tutti gli uomini (can. 630 § 1 CCEO); le scuole cattoliche e le università cattoliche devono curare la formazione integrale della persona umana affinché gli alunni stimino i valori, umani e morali, alla luce della fede, e così possano coltivare la giustizia, la responsabilità sociale e la fraterna convivenza (can. 629; 634 §§ 1, 3; 641 CCEO – 795 ClC).
3) Ai laici spetta di conoscere il patrimonio della propria Chiesa per favorire l’unità di azione tra i laici delle diverse Chiese sui iuris per il bene comune della società (can. 405 CCEO) e di testimoniare Cristo nel trattare le cose temporali, anche nella vita politico-sociale proponendo le leggi giuste nella società (can. 401 CCEO – 225 § 2 CIC).
4) Per annunziare l’Evangelo nel mondo la Chiesa deve rivendicare il suo diritto di usare gli strumenti della comunicazione sociale; i fedeli specializzati nella comunicazione sociale hanno l’obbligo di collaborare, di sostenere e favorire questa missione della Chiesa (can. 651; 652 § 1 CCEO – 761, 822 §§ 2, 3 CIC). Il diritto particolare delle singole Chiese sui iuris può stabilire delle norme sull’uso dei mezzi di comunicazione sociale (can. 653 CCEO – 831 § 2 CIC).

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Paul Nabil EL-SAYAH, Arcivescovo di Haifa e Terra Santa dei Maroniti, Esarca Patriarcale di Antiochia dei Maroniti (ISRAELE)

La questione ecumenica in Medio Oriente, in generale, e in Terra Santa, in particolare, è diventata una sfida di estrema importanza per tutta la Chiesa, dalla base al vertice del sua struttura. Abbiamo 13 Chiese principali a Gerusalemme, con confini fisici e psicologici assai ben delineati, le cui tradizioni e memorie sono più temprate che in qualsiasi altra parte del mondo. Lo scandalo delle nostre divisioni viene spesso trasmesso in diretta mondiale, soprattutto quando i conflitti scoppiano presso il Santo Sepolcro il Venerdì Santo, o nella chiesa della Natività, la mattina di Natale, sotto gli occhi dei mezzi di comunicazione internazionali.
Nel rispetto degli obiettivi di questo Sinodo, affronterò l’argomento articolandolo in tre punti:
1) La nostra identità di cristiani sarà sempre deficitaria se non ci sforziamo seriamente di rispettare l’agenda ecumenica.
2)La comun
ione fra tutte le nostre Chiese è il pre-requisito per ritrovarci con le nostre Chiese sorelle e altre comunità cristiane, nonché per coltivare un autentico spirito ecumenico.
3) La testimonianza non può essere data in modo autentico se le nostre chiese non sono insieme e non lavorano insieme. Affrontare le sfide ecumeniche non è un’opzione, per noi, bensì una necessità assoluta.
Per concludere, avrei tre suggerimenti:
1) Vorrei esortare le nostre Chiese a fare i passi necessari per salvare il Consiglio delle Chiese Mediorientali che sembra essere sul punto di collassare. Esso è l’unico ombrello sotto cui possono ripararsi tutte insieme le nostre Chiese. Sarebbe una gran perdita per la causa ecumenica.
2) E’ necessario dare all’agenda ecumenica maggior importanza a livello locale, secondo le situazioni di ogni diocesi, parrocchia o comunità.
3) Le istituzioni e le organizzazioni sono importanti, ma se non coltiviamo lo spirito ecumenico fra le nostre genti, come si è detto prima, le istituzioni e le organizzazioni resteranno lettera morta. La formazione ecumenica è un dovere ad ogni livello e in particolare nei seminari e nelle case di formazione.
Infine, sono assolutamente convinto che il tentativo di affrontare la sfida dell’ecumenismo sarà uno dei criteri con cui si misurerà il buon esito o l’insuccesso di questo Sinodo. Essere insieme e lavorare insieme come Chiese è una condizione vitale per un’effettiva presenza cristiana in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Georges KAHHALÉ ZOUHAÏRATY, B.A., Vescovo titolare di Abila di Lisania, Esarca Apostolico per i fedeli Greco-Melkiti residenti in Venezuela (VENEZUELA)

In riferimento ai numeri 43 e 48 del capitolo 4º sul tema dell’ “emigrazione”, è molto importante considerare: quale sarà il futuro di questo fenomeno di esodo di migliaia di famiglie e persone verso altri Paesi o continenti? Nei Paesi di emigrazione siamo già alla terza o quarta generazione. È un grande potenziale umano del Medio Oriente quello che perdono i Paesi di origine, in particolare la Terra Santa. Da un punto di vista religioso: cosa possono fare pochi vescovi o esarchi apostolici e una quantità limitata di sacerdoti di fronte a un mare di emigranti insediati nei nuovi Paesi?
La nostra proposta è molteplice:
– Contribuire da parte della Santa Sede e dei capi di Stato della regione mediorientale a creare un ambiente di pacificazione e giustizia perché le famiglie ritornino nei loro Paesi di origine, in particolare quelle che avevano lasciato la propria terra a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
– Noi, emigranti dalla Siria, dal Libano, dalla Palestina e, mi sia permesso dirlo, dall’Egitto, rimarremo sempre innamorati della nostra terra d’origine e attaccati ad essa: sono numerosi gli uomini e le donne in grado di offrire un contributo scientifico, economico e religioso come stanno facendo nei Paesi che ci hanno accolti a braccia aperte e con generosità.
– La Chiesa locale di rito latino ha aiutato molto i nostri figli in vari Paesi. Penso che sia giunta l’ora di organizzarci meglio, di coordinare i nostri sforzi come cattolici orientali, per conservare
le nostre liturgie e tradizioni, lavorando in un clima di ecumenismo con i nostri fratelli ortodossi e le diverse Chiese storiche non cattoliche, aiutando in tal modo la Chiesa universale cui tutti apparteniamo ad affrontare la grande sfida delle sette e di alcuni mezzi di comunicazione finanziati dal potere anticlericale internazionale.
– La Chiesa orientale nei Paesi di emigrazione, specialmente nel Nuovo mondo, può arricchire con la sua liturgia la visione teologica e patristica dell’Occidente. Speriamo dunque che la Santa Sede ci aiuti a mantenere le nostre tradizioni come se fossimo nel nostro Oriente. Alcune Conferenze episcopali, consapevoli del ruolo di queste Chiese, hanno sostenuto le loro rivendicazioni per preservare il loro patrimonio apostolico.

[Testo originale: spagnolo]

– S. E. R. Mons. Ibrahim Michael IBRAHIM, B.S., Vescovo di Saint-Sauveur de Montréal dei Greco-Melkiti (CANADA)

Innanzitutto, vorrei sottolineare che se i cristiani d’Oriente hanno difficoltà a rimanere in numerosi paesi, gli immigrati orientali della mia eparchia ne hanno altrettante, ma le loro difficoltà sono ben diverse. Per esempio, anche dopo trent’anni, gli immigrati sono spesso dilaniati e anche “crocifissi” tra due mondi: il loro paese d’origine e il loro paese d’accoglienza. L’immigrazione non è sempre un viaggio riposante.
La grande difficoltà che vivono gli immigrati cristiani orientali è che la loro vita di fede, le loro tradizioni, le loro usanze, il loro retaggio e la loro Storia sono minacciate da un secolarismo aggressivo e da un ateismo pratico che sono alla base della nuova società in cui vivono. A causa di questa minaccia, molti possono sperimentare una seconda immigrazione che può essere “definitiva”, che può provocare una rottura totale con i valori già citati.
D’altra parte, la nostra Chiesa vive con le stesse pressioni della Chiesa occidentale che si confronta con un attacco premeditato, talvolta mediante leggi che eliminano simboli religiosi importanti. Abbiamo sentito parlare molto delle persecuzioni in Oriente e credo che una persecuzione di altro genere sia già iniziata e vissuta dai cristiani d’Occidente. Ma la Chiesa resta salda e continua a conservare la Speranza evangelica.
Un altro problema vissuto dagli immigrati cristiani orientali è la soluzione di comodo, dovuta alle grandi distanze tra il luogo di residenza e il luogo di culto. Per questo ricorrono al luogo di culto più vicino. Siamo una piccola minoranza che può essere assimilata dalla grande maggioranza.
Da un altro punto di vista, i cristiani del Medio Oriente che decidono di lasciare la loro terra per evitare la convivenza con altre religioni, non sanno che in Occidente la necessità della convivenza è talvolta più accentuata. L’Occidente è sempre più diversificato e si trasforma, a causa dell’immigrazione, in un ambiente che accoglie tutte le etnie, le culture e le religioni.
Pertanto, non bisogna incoraggiare l’immigrazione dei cristiani d’Oriente ma occorre aiutarli a radicarsi nel loro paese. Il nostro essere in Oriente non è un caso, bensì avviene secondo la Volontà di Dio che l’ha scelto e santificato con la Sua presenza. I cristiani d’Oriente devono essere attaccati alla propria terra con tutte le loro forze e devono difenderla “con le unghie e con i denti”.
Ma allo stesso tempo non dobbiamo dimenticare che l’immigrazione giustificata è un diritto inalienabile secondo i principi del rispetto della libertà della persona umana e della sua dignità, principi che la Chiesa difende con insistenza. Credo che occorra fare tutto il possibile per rafforzare la presenza dei cristiani in Oriente prima di dir loro di non emigrare. Senza entrare nei dettagli, posso dire che i cristiani emigrati sono talvolta un aiuto fondamentale per i cristiani che restano. In alcuni casi l’immigrazione di una persona è addirittura necessaria per il bene della sua famiglia e della sua parentela. Khalil Gibran diceva a ragione: “La terra è la mia patria e l’umanità la mia famiglia”. Certo, è un ideale non facile da raggiungere.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Thomas MERAM, Arcivescovo di Urmia dei Caldei, Vescovo di Salmas, Shahpour dei Caldei (IRAN)

Innanzi tutto, vorrei porgere i miei ringraziamenti e la mia gratitudine a tutti coloro che hanno preparato questo difficile testo e ci hanno dato l’Instrumentum laboris. Questo Sinodo ci da forza e speranza, e ci aiuta ad andare avanti, malgrado le difficoltà, senza disperarci né fare compromessi nell’affrontare le difficoltà quotidiane; in questo modo saremo portatori di una viva testimonianza cristiana. Come è detto nell’Instrumentum laboris, la testimonianza è un martirio e in molti p
aesi del Medio Oriente i cristiani vivono tale martirio e devono sopportare ogni sorta di calamità senza venir meno alla propria fede. E i cristiani sono stati perseguitati sin dalle origini, come ben dimostra la Storia. Malgrado i disastri e le persecuzioni, i cristiani hanno conservato il deposito della fede in completa fedeltà e sincerità. La Chiesa caldea è stata particolarmente perseguitata ed ha sacrificato migliaia e migliaia dei suoi figli sull’altare della fedeltà e dell’amore per Cristo: per questo fu chiamata la Chiesa dei Martiri e ha continuato a emigrare di città in città, di paese in paese, fino ad oggi, senza mai abbandonare nulla della propria fede, irrigata del sangue di questi martiri e santi da cui essa è custodita, rafforzata e confermata. Oggi posso ripetere con il profeta David: Per te ogni giorno veniamo massacrati; i cristiani portano la propria croce quotidianamente e procedono sulla via verso il Golgota, rendendo così una testimonianza viva e silenziosa, una testimonianza che è un alto grido, udibile da tutti gli uomini di buona volontà; ogni giorno i cristiani si sentono dire, dagli altoparlanti, dalla televisione, dai giornali e dalle riviste, che sono infedeli e per questo vengono trattati come cittadini di serie B, ma essi restano saldi senza cambiare la propria fede, e divengono più coraggiosi e perfino più orgogliosi di essa.
Il tema dell’immigrazione: da cento anni costituisce un problema, e non solo in Medio Oriente, ma anche in tutti i paesi dell’Asia, dell’Africa e del Sud America; ognuno ha le sue ragioni particolari, poiché ogni essere umano ha il diritto di vivere dove vuole. Le ragioni dell’emigrazione possono essere politiche, economiche o essere dettate dal desiderio di benessere e di un futuro migliore, più prospero e sereno. Molte persone si chiedono quale beneficio scaturirà da questo Sinodo e che cosa si farà per i cristiani del Medio Oriente. E’ vero che non possiamo fare miracoli in fretta, ma almeno questo Sinodo suscita speranza.I cristiani del Medio Oriente non si sentiranno soli e sapranno così che tutte le Chiese cattoliche del mondo li hanno a cuore, poiché essi sono membri attivi e santi del corpo di tutta la Chiesa.
La chiesa in Iran: Vediamo che la Chiesa si sente maggiormente responsabile quando si trova ad affrontare serie difficoltà e malgrado le prove e le tribolazioni, o l’occasionale mancanza di rispetto, vediamo che essa cresce e prospera. Sì, vi è stata una forte diminuzione del numero dei cristiani, particolarmente cattolici, ma d’altro canto vediamo anche che le vocazioni religiose e sacerdotali sono in aumento fra gli abitanti di questo paese.
Permettetemi ora di darvi qualche numero:
Banana, l’ultimo nunzio pontificio in Iran, scrisse un libro nel 1979 intitolato “La Chiesa in Iran” in cui descrisse tutto ciò che fa la Chiesa cattolica attraverso i servizi cristiani, umani e culturali, e parlò dell’esistenza di una sola casa di accoglienza per gli anziani e i disabili. Adesso abbiamo quattro case, che forniscono servizi gratuiti a queste persone che provengono da tutte le denominazioni cristiane, senza discriminazioni in base all’appartenenza ecclesiale o l’identità nazionale.
Nel 1979, c’erano soltanto 51 sacerdoti, di cui solo uno era iraniano e due iraniani naturalizzati. Vi erano 73 suore, di cui solo due erano iraniane. La maggior parte di suore e sacerdoti lavorava nel campo dell’insegnamento.
Adesso, dopo la rivoluzione islamica, la Chiesa sta affrontando la crisi peggiore per quanto concerne la presenza di suore e sacerdoti. Possiamo vedere che lo Spirito Santo non ha lasciato sola la Chiesa ad affrontare questo momento di crisi, ma ha infuso nel cuore dei suoi figli e delle sue figlie un senso profondo di responsabilità nei confronti della loro fede e della loro Chiesa. E malgrado le continue emigrazioni e il numero ristretto di cattolici, vediamo che le vocazioni aumentano e che la Chiesa, in Iran, come un albero ha adesso nuove foglie e porta frutti.
Abbiamo 14 sacerdoti, 6 dei quali sono iraniani ed altri due servono la Chiesa fuori dal proprio paese; abbiamo 4 vescovi che non sono iraniani, 21 suore di cui 15 sono iraniane: due sono impegnate all’estero, tre stanno finendo l’università e dieci servono la propria Chiesa e il proprio paese secondo la propria vocazione. Chiediamo a Dio di far crescere queste vocazioni.
Vi ringrazio per l’attenzione.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Issam John DARWICH, B.S., Vescovo di Saint Michael’s of Sydney dei Greco-Melkiti (AUSTRALIA)

Il mio intervento è costituito da due parti:
nella prima parte parlerò della mia Chiesa in Australia, nella seconda della mia Chiesa nei Paesi arabi.
Ringrazio Sua Santità che ha espresso la sua attenzione paterna per la Chiesa intera convocandoci a questa Assemblea che si tiene attualmente a Roma, la Città eterna dei santi Pietro e Paolo.Dobbiamo riconoscere con profondo rispetto che la Chiesa latina in Australia e in Nuova Zelanda, in particolare le Conferenze episcopali cattoliche, hanno svolto un ruolo vitale nel mantenere le nostre eredità e tradizioni cattolico-orientali.
Abbiamo anche rapporti fraterni con i cristiani ortodossi provenienti dall’Egitto, dal Sudan e dal Medio Oriente. Parimenti abbiamo buoni rapporti con i copti-ortodossi dell’Egitto e del Sudan e altre comunità non calcidiche, come i siri e gli assiri, poiché troviamo molti punti in comune quali la lingua, la cultura e le tradizioni.
Le nostre diocesi partecipano ad un dialogo con molte comunità musulmane in Australia e una delle attività più importanti è stata di fondare una “Associazione per l’amicizia fra musulmani e cristiani d’Australia”; essa ha operato per rafforzare le relazioni positive fra le due religioni e ha fatto diminuire le tensioni fra loro con conferenze, visite mutue e attività comuni, contribuendo così a risolvere i dissensi fra i musulmani e le comunità australiane negli anni successivi al tragico evento dell’11 settembre 2001.
Noi, come cattolici orientali e fratelli delle Chiese ortodosse, in particolare quella di Antiochia, speriamo che la Chiesa cattolica romana ci dia un ruolo più ampio nel dialogo con i nostri fratelli ortodossi a livello locale ed internazionale. E ciò ci avvicinerà di più alle nostre due Chiese d’Antiochia e questo sarà di per sé una grande testimonianza che possiamo dare alle nostre società araba, musulmana e cristiana.
Speriamo anche che le Chiese cattoliche orientali superino gli ostacoli che affrontano nella loro missione apostolica e pastorale, perché il volto di Cristo possa risplendere.
I problemi principali:
1. Vediamo ogni giorno una crescente intolleranza fra le Chiese cattoliche orientali, specialmente nello spirito del clero e in chi lavora per le amministrazioni ecclesiastiche.
questa intolleranza semina il sospetto e influenza chiaramente gli atteggiamenti e la vita dei laici. Per guarire da questo, dobbiamo fare un piano preciso che possa essere realizzato per educare il clero e i laici con programmi ben definiti; in tal modo i cattolici orientali potranno realizzare la realtà dell’unica Chiesa universale. È triste constatare che non tutti i cattolici ascoltano le parole di Papa Benedetto XV: “La Chiesa di Gesù Cristo non è latina o greca o slava, ma cattolica. E perciò non distingue fra i suoi fedeli greci, latini, slavi o altre nazionalità; tutti sono considerati uguali dalla Santa Sede”.
2. La comunicazione fra le Chiese cattoliche orientali è ancora superficiale e c’è molta poca collaborazione specialmente nei progetti sociali e apostolici; per esempio, la triste situazione in Libano, dove ogni Chiesa sembra essere interessata ad ottenere benefici politici per sé stessa e più delle altre Chiese, mentre queste dovrebbero cercare di fare il bene di tutti i cristiani. Questo mostra sicuramente la nostra debolezza e divisioni.
3. Sembra che noi, chiamati ad essere pastori di anime, sprechiamo molto tempo in questioni politiche. Questo dovrebbe
essere il ruolo dei laici, mentre noi, i consacrati, dobbiamo mostrare maggiore interesse a proclamare la Parola di Dio e il Vangelo della salvezza e dobbiamo dedicare tutte le nostre energie ad offrire il pane dell spirito e dell’educazione al nostro popolo. La nostra gente cattolica orientale, impegnata nella fede in Medio Oriente e fedele al mutuo rispetto e alla coabitazione fraterna, offre infine un contributo molto grande e prezioso per aiutare il mondo arabo e musulmano.

[Testo originale: arabo]

– S. E. R. Mons. Ghaleb Moussa Abdalla BADER, Arcivescovo di Algeri (ALGERIA)

Data la sua piccola realtà, la nostra Chiesa è chiamata ogni giorno e ogni momento all’incontro con l’altro, con il diverso… al punto che la nostra Chiesa ha quasi fatto dell’incontro la sua missione specifica in questo Paese e si definisce come “la Chiesa dell’incontro”… In questo incontro con l’altro comincia e si costruisce giorno dopo giorno un dialogo spontaneo, gratuito, sincero e molto costruttivo.
Nel quotidiano questo dialogo si fa semplice presenza, semplice condivisione. Si traduce concretamente in servizi gratuiti suscitati da niente altro che dall’amore per il prossimo e dal tentativo di rispondere ai bisogni di quelli con cui siamo in dialogo. Dialogare nel quotidiano vuol dire vivere, lavorare, camminare, cercare insieme, dare e ricevere e a volte gioire e soffrire insieme.
In questo dialogo quotidiano cadono e scompaiono molti pregiudizi, paure, timori, malintesi, ignoranza e false concezioni, e si costruiscono una conoscenza e una fiducia reciproche, spesso necessarie per risanare i rapporti fra i credenti e fra le religioni stesse.
Le nostre Chiese sono consapevoli di avere e di vivere una missione profetica, quella di preparare e di creare per oggi e per domani una clima per un dialogo più sereno.
Questo dialogo è la migliore testimonianza che le nostre Chiese possono dare alla fede ed è spesso più efficace dell’annuncio diretto della Buona Novella.
Siamo felici di constatare che questo dialogo è accettato ed è molto apprezzato dalla nostra gente perché gratuito e sincero, e comincia anche a dare dei buoni frutti.
Questo dialogo è fondamentale per la vita dei nostri cristiani e per la pace civile in tutti i nostri paesi. In effetti, se il dialogo ufficiale viene a mancare, ciò può creare tutt’al più una crisi nei rapporti ufficiali reciproci, ma se il dialogo viene a mancare nel quotidiano, è molto più grave, perché è la pace, la vita e la stessa esistenza di questi gruppi che vengono rimesse in discussione…
L’esperienza delle nostre Chiese del Maghreb ci insegna che il vero dialogo comincia dai piccoli dettagli della vita quotidiana, il dialogo che non vuole annunciarsi come tale ma che vuole essere una semplice presenza, un semplice servizio… Il vero dialogo ha luogo là dove gli uomini si trovano, con le loro gioie e le loro preoccupazioni, le loro domande terra terra sulla vita quotidiana come pure i loro interrogativi sui temi fondamentali riguardanti la vita e il destino dell’uomo.
Il dialogo ha bisogno di educazione. Ora, il dialogo della vita è la migliore educazione e la migliore scuola per imparare a conoscere e a rispettare l’altro e per collaborare insieme.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Paul-Emile SAADÉ, Vescovo di Batrun dei Maroniti (LIBANO)

Introduzione
Uno dei problemi più grandi che devono affrontare i cristiani in Libano e nei paesi mediorientali è rappresentato dalla dislocazione. Può essere riassunto nella sua dimensione spirituale, teologica, culturale, politica e sociale. In breve, è l’espressione più realistica della situazione di vita e dell’esistenza stessa dei cristiani.1. Motivi di sicurezza: riguarda le lotte e i conflitti tra le denominazioni e settoriali, legati alle differenze dogmatiche e ideologiche. A ciò si aggiungono i risultati costanti del conflitto tra arabi e israeliani e le guerre regionali che esso produce.
2. Motivi sociopolitici: sono basati sulla qualità e l’onestà di quanti detengono il potere. Laddove il giudice è debole, dal punto di vista politico e militare, perseguita le minoranze per nascondere la propria debolezza.
3. Motivi di pubblicità: sono dati specialmente da ciò che fanno gli evangelizzatori occidentali (come le sette protestanti, i testimoni di Geova, ecc.) riguardo alla pubblicità e le attività nei paesi della regione, specialmente in seno alle comunità minoritarie, al fine di raggiungere obiettivi religiosi e al contempo politici.
4. Motivi religiosi: attraverso la crescita dei movimenti fanatici ed estremisti dei sunniti e degli sciiti nella maggior parte dei paesi della regione e l’attività e l’influenza che esercitano e il loro desiderio di giungere essi stessi al potere.
Tutti questi motivi costituiscono una minaccia diretta contro i cristiani che sono stati dislocati nel proprio paese o in altri paesi lontani.
In secondo luogo i risultati negativi:
1. L’emigrazione e la dislocazione sono due tra i fattori principali dell’impoverimento demografico delle minoranze cattoliche. Secondo il dott. Said Adin Ibrahim, verso la fine degli anni ’80 i cristiani cattolici in Medio Oriente erano circa 2,3 milioni, mentre nel 2000 erano solo 1.614.000.
2. Questa diminuzione esprime lo squilibrio a livello non soltanto demografico, ma anche qualitativo, illustrato dai due principali gruppi legati alla crescita del paese, ossia i cervelli e il personale specializzato, che tocca direttamente l’esistenza, la presenza e il ruolo dei cristiani in questi paesi.
In terzo luogo, la soluzione:
1. Ai cristiani viene chiesto di essere più attenti o consapevoli dell’importanza della loro presenza e della necessità di impegnarsi nella vita pubblica (Instrumentum laboris, 46).
2. Migliorare i legami tra i cristiani in Medio Oriente e i cristiani della diaspora. La Chiesa ha un ruolo fondamentale nel rafforzare questi legami per offrire un eguale servizio a entrambi.
3. Ravvivare la fede cristiana e la testimonianza di Gesù attraverso le azioni e la vita quotidiana.
4. Sensibilizzare i cristiani riguardo al loro diritto a una vita libera e dignitosa nella terra dei loro antenati e a rimanere lì. La loro patria è la terra dei loro antenati, la patria non è un albergo.
5. Collaborazione tra i fedeli, la Chiesa e lo stato, per rispettare il decreto sui diritti umani che garantisce un livello minimo di libertà religiosa e culturale e la partecipazione alla vita politica nei loro paesi.
6. Collaborazione con le comunità islamiche moderate, incoraggiandole a contrastare fermamente i movimenti religiosi estremisti fanatici.

[Testo originale: arabo]

– S. E. R. Mons. Raymond Leo BURKE, Arcivescovo emerito di Saint-Louis, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (CITTÀ DEL VATICANO)

Tutelare e promuovere il matrimonio attraverso il Diritto Canonico. Alla luce del n. 55 dell’Instrumentum laboris, la Segnatura Apostolica solleva due preoccupazioni che riguardano la tutela e la promozione del matrimonio in Medio Oriente, uno dei “compiti cruciali” della Chiesa (cfr Instrumentum laboris, 29)
La prima preoccupazione è rappresentata da un problema che si sta diffondendo, quello di fedeli cattolici che passano ad altre Chiese orientali non cattoliche o alla stessa religione islamica per liberarsi del vincolo matrimoniale. Nella prospettiva della comunione ecclesiale che considera l’indissolubilità del matrimonio un gran tesoro, l’abbandono della comunione della Chiesa con l’intenzione di rompere il vincolo matrimoniale infligge un’evidente ferita al corpo della Chiesa.La seconda preoccupazione è rappresentata dal trattamento delle cause di nullità nel matrimonio con giustizia, sia al servizio della comunione che come testimonianza di quella giustizia che la Chiesa dovrebbe rispecchiare nel mondo. Avendo presente il n. 29 dell’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis, occorr
e osservare i seguenti punti: la necessità di preparare ministri della giustizia adeguati per i tribunali ecclesiastici (cfr CCEO, can 1086 § 4; 1087 § 3; e 1099 § 2); la collaborazione, anche tra le Chiese sui iuris, nell’istituzione e gestione di tribunali ecclesiastici competenti (cfr CCEO, can 1067-1068); la continua osservanza della legge procedurale, al fine di evitare anche il velato sospetto di parzialità; il riconoscimento del servizio di comunione ecclesiale, proprio in questo settore, insieme al ministero Petrino (cfr CCEO, can 1059) da parte della Segnatura Apostolica attraverso la vigilanza nell’amministrazione della giustizia (cfr Lex propria, art. 35; e can, CCEO, can 1062 § 1); un’adeguata e rapida amministrazione della giustizia nelle cause di nullità matrimoniale rappresenta un mezzo essenziale per promuovere l’insegnamento sull’indissolubilità; la migliore coordinazione nell’amministrazione della giustizia nei tribunali locali con quella esercitata dalla Santa Sede, anche grazie ad accordi o convenzioni tra i Patriarchi e il Tribunale della Rota romana per il trattamento di cause che giungono legittimamente alla Rota romana; e la tempestività nell’aggiornare le leggi importanti negli Statuti personali in cui sono collocate (cfr CCEO, can 99 § 1; e 1358).
Affrontare i problemi di disciplina canonica di cui sopra contribuirà alla comunione della Chiesa del Medio Oriente, che esiste per tutelare e promuovere tutta la disciplina canonica.

[Testo originale: inglese]

– S. Em. R. Card. André VINGT-TROIS, Arcivescovo di Parigi, Ordinario per i fedeli di rito orientale residenti in Francia e sprovvisti di Ordinario del proprio rito, Presidente della Conferenza Episcopale (FRANCIA)

L’esperienza delle secolari relazioni della Chiesa cattolica in Francia con le Chiese orientali è caratterizzata da diversi punti di forza:
1. Abbiamo cercato di sostenere il più possibile le Chiese sul territorio attraverso l’istituzione e le attività di numerose congregazioni in ambito educativo e sanitario, attraverso alcune associazioni sostenute dalle nostre parrocchie latine, quali l’Opera d’Oriente, attraverso gemellaggi tra le diocesi o le parrocchie. I numerosi pellegrinaggi permettono a molti dei nostri fedeli di scoprire le comunità cattoliche orientali e di instaurare con esse legami duraturi. Questo appoggio è accompagnato da sollecitazioni rivolte ai nostri governanti affinché sostengano i cristiani in Medio Oriente, evitando in particolare il rischio della creazione di “territori confessionali” in cui verrebbero costituiti delle specie di ghetti e mantenendo sempre aperta una porta per l’emigrazione di coloro, uomini e donne, che non possono continuare a vivere nel loro paese.
2. La presenza di comunità cattoliche vive in tutti i paesi del Medio oriente garantisce una continuità storica negli stessi Luoghi Santi. Ci aiuta anche nell’esperienza che oggi vivono la maggior parte dei paesi occidentali: l’incontro con l’islam. In molti paesi del Medio Oriente, i cristiani vivono da secoli in regioni a maggioranza musulmana. Hanno perciò acquisito una provata saggezza nel modo di vivere queste situazioni. D’altra parte, la convivenza con un ebraismo vivo, soprattutto in Israele, può inoltre contribuire a far evolvere i rapporti tra ebrei e cristiani. Infine, la convivenza delle Chiese cristiane separate proprio sui luoghi della nascita della nostra Chiesa è un forte stimolo per progredire nell’azione ecumenica.3. Numerosi fedeli di diverse Chiese orientali sono emigrati da noi. Hanno potuto riunirsi nelle comunità in cui ritrovano la propria liturgia. Ci sforziamo di aiutarli a sviluppare la vita delle loro comunità che favorisce, allo stesso tempo, la fedeltà alla fede nella propria Chiesa e la memoria delle loro radici culturali.
Essi godono della solidarietà attiva di coloro che li hanno preceduti e che favoriscono la loro integrazione professionale, sociale e culturale all’interno della società francese. Questa integrazione è accompagnata da rapporti fraterni con le comunità latine dei nostri paesi. Per i cattolici latini si tratta di ampliare i propri orizzonti ecclesiale e spirituale. La riscoperta delle liturgie orientali e delle comunità che vivono di esse può sicuramente aiutare le nostre parrocchie latine a riconoscere un sano pluralismo nell’espressione della preghiera.
Per concludere, non posso evitare di sollevare la questione dell’assistenza pastorale alle comunità orientali. Nel nostro paese osserviamo la regola fissata dalla Sede apostolica: un sacerdote di una Chiesa cattolica orientale, sposato, non può ricevere una missione pastorale in territorio latino. Noi, tranne in situazioni rarissime, ci atteniamo a questa regola. La mobilità della società attuale cambia la comprensione della nozione di “territorio” e credo di sapere che altri paesi europei non sono soggetti alla stessa regola. In ogni caso, alcune Chiese patriarcali incontrano sempre maggiori difficoltà nel trovare sacerdoti celibi per il servizio delle loro comunità nei paesi “latini”.

[Testo originale: francese]

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione