Interventi per la seconda Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente

 

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CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 12 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito le relazioni sui continenti e gli interventi pronunciati questo lunedì pomeriggio nella seconda Congregazione generale dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

 

* * *

– Per l’Africa: S. Em. R. Card. Polycarp PENGO, Arcivescovo di Dar-es-Salaam, Presidente del “Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar” (S.E.C.A.M.) (TANZANIA)

Parlo qui a nome del Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM) di cui sono attualmente presidente.

Il Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar ha un legame intrinseco con la Chiesa nel Medio Oriente, soprattutto grazie alla Chiesa in Egitto, che fa parte sia dell’Africa che del Medio Oriente.

L’Egitto, nonostante le differenze culturali e linguistiche con l’Africa sub-Sahariana, fa parte per necessità geografica della Chiesa in Africa (SECAM), così come fa parte della Chiesa in Medio Oriente grazie a fattori linguistici e culturali. Le due componenti dell’appartenenza della Chiesa in Egitto sono certamente non incompatibili, anzi, possono essere sfruttate positivamente per il bene della Chiesa sia in Africa che nel Medio Oriente.

Da una parte, i cristiani emigrano dal Medio Oriente a causa di quelle che possono essere considerate situazioni di oppressione contro la fede cristiana in alcuni paesi del Medio Oriente. Dall’altra, molti giovani cristiani africani migrano ogni anno dall’Africa sub-Sahariana a quella del Nord (Egitto compreso) per motivi di studio, di lavoro o di transito verso l’Europa e il Medio Oriente. Molti di questi giovani che lasciano i loro paesi sono cristiani praticanti ferventi. Quando giungono nel Nord dell’Africa, si trovano in un’atmosfera a predominanza islamica, che consente una libertà molto limitata di praticare la loro fede cristiana.

Questo mi fa ricordare come si affrontata la situazione in Africa orientale non molti anni fa. Fino a circa cinquant’anni fa, l’Islam era talmente predominante lungo la costa orientale dell’Oceano Indiano, da minacciare la fede dei giovani cristiani che provenivano dalle zone interne del continente alla ricerca di lavoro nelle piantagioni di agave e negli uffici governativi delle aree costiere.

Quel che ha salvato la situazione nell’Africa orientale è stata la stretta cooperazione tra i missionari cristiani dell’interno e quelli della costa. I giovani che si spostavano verso la costa ricevevano lettere di presentazione dai loro missionari indirizzate ai missionari della costa, che accoglievano i giovani in insediamenti cristiani ufficiali. Lì essi potevano continuare a praticare liberamente la propria religione.

Oggi nessun cristiano della costa dell’Africa orientale avverte l’obbligo di nascondere la propria identità cristiana, nonostante il fatto che l’Islam continui a essere la religione della maggioranza della popolazione. E anche gli insediamenti cristiani separati non sono più necessari.

Considerando la situazione sopra descritta nel Nord Africa e nel Medio Oriente, i metodi di azione potrebbero essere necessariamente molto differenti. Eppure una collaborazione più stretta tra la Chiesa sub-Sahariana e la Chiesa nel Nord Africa e nel Medio Oriente restano e resteranno sempre di importanza fondamentale per la sopravvivenza del Cristianesimo in entrambi i luoghi. Il SECAM rappresenta un eccellente strumento per tale cooperazione.

[Testo originale: inglese]

– Per il Nord America: S. Em. R. Card. Roger Michael MAHONY, Arcivescovo di Los Angeles (STATI UNITI D’AMERICA)

A nome dei Vescovi e dei Cattolici del Nord America ho il piacere di porgere i miei saluti a tutti voi Vescovi e Cattolici delle varie Chiese del Medio Oriente riuniti in questa storica Assemblea Speciale. Nei nostri Paesi abbiamo la fortuna di avere un gran numero di vostri membri che vivono in mezzo a noi e in solidarietà con la Chiesa cattolica negli Stati Uniti.

Il mio intervento si concentrerà sulla questione di come i cristiani del Medio Oriente nella diaspora vivono il mistero della communio tra di loro e con gli altri cristiani. Rivolgerò poi la mia attenzione alla specifica testimonianza che i cristiani del Medio Oriente sono chiamati a dare.

Sebbene le mie osservazioni possano applicarsi a tutto il Nord America, porterò esempi della mia esperienza nell’Arcidiocesi di Los Angeles, poiché nella nostra Arcidiocesi sono rappresentate tutte le Chiese Orientali.

Testimonianza di Communio

Pur riconoscendo la loro unione con Roma, dovrebbero essere incoraggiate le relazioni interecclesiali non solo tra le Chiese sui iuris in Medio Oriente, ma specialmente nella diaspora (IL par. 55). Riconoscendo l’emorragia di cristiani dal Medio Oriente in Europa, in Australia e nelle Americhe, abbiamo cercato in vari modi di trasformare l’emigrazione in una nuova opportunità per sostenere questi cristiani, mentre si stabiliscono nella diaspora (IL par. 47-48). Noi cerchiamo di sostenere queste Chiese Cattoliche Orientali sui iuris accogliendole e assistendole nella fondazione di parrocchie e scuole, istituzioni culturali e organizzazioni al servizio delle necessità della loro gente, quando si stabiliscono in Occidente.

Abbiamo accolto siro-caldei, copti, greci, melchiti, maroniti e siro-cattolici e l’Arcidiocesi ha assistito molti di loro nel corso degli anni con prestiti finanziari e altri mezzi per aiutare queste persone a farsi una casa a Los Angeles. Nei miei venticinque anni come Arcivescovo, ho visitato tutte queste comunità, incoraggiandole ad “essere se stesse” pur vivendo nell’area geografica dell’Arcidiocesi cattolico-romana di Los Angeles. Tra le altre risorse, abbiamo l’Associazione Pastorale Cattolico-Orientale che prevede riunioni bimensili del clero di queste e altre Chiese Cattolico-Orientali per pregare e sostenersi gli uni gli altri nello sforzo di coordinare le attività pastorali in uno spirito di mutua edificazione piuttosto che di rivalità (IL par. 55).

La Communio al centro della vita divina: diversit nell’unità, unità nella diversità. Unità nella diversità, diversità nell’unità sono al centro della Communio che la Chiesa. Negli Stati Uniti, il profondo rispetto per la diversit pone delle sfide eccezionali. “I fedeli delle varie Chiese sui iuris spesso frequentano una Chiesa Cattolica diversa dalla loro” [cioè la Chiesa Cattolica Romana]. “Si raccomanda loro di restare fedeli alla propria comunità d’origine, nella quale sono stati battezzati” (IL par. 56).

Però molti cattolici orientali provenienti dal Medio Oriente non fanno questo e diventano semplicemente cattolici romani. Saranno sufficienti due esempi pratici della tensione fra diversità e unità. Quando si arriva alla questione di iscrivere i figli alle scuole elementari cattoliche romane, dove c’è una riduzione delle tasse per coloro che sono “parrocchiani” attivi, come mantengono i cristiani delle Chiese Orientali il loro legame con la Chiesa in cui sono stati battezzati? Come educare e incoraggiare i pastori, amministratori e dirigenti scolastici cattolici romani ad aiutare questi immigrati a mantenere il legame con la loro propria comunità senza imporre loro oneri addizionali come il dover scegliere fra diventare membri di una parrocchia cattolica romana per il vantaggio costituito da una riduzione delle tasse o il rimanere membri di una parrocchia della loro Chiesa orientale di appartenenza?

Un secondo esempio può evidenziare la tensione: molte Chiese orientali ammettono all’Eucaristia i bambini fin dal Battesimo. Quando parrocchiani di queste Chiese assistono alle messe cattoliche romane, ai loro figli piccoli, che sono abituati a ricevere l’Eucaristia, è spesso proibito farlo.

Una maggiore sensibilità in questioni molto pratiche come queste semplificherebbe la difficile condizione degli immigrati cattolico-orientali provenienti dal
Medio Oriente. I nostri corsi e seminari riservano un’attenzione sufficiente alle sfide pratiche che i sacerdoti e i pastori devono affrontare se vogliono aiutare questa diaspora a vivere il mistero della communio in modo che rispetti la legittima diversità dei popoli di queste Chiese?

In tutto il Nord America ci sono molti istituti cattolici di studi superiori. La preparazione dei catechisti, la formazione spirituale e liturgica, la formazione teologica sono quasi esclusivamente di orientamento romano. Dove possono trovare posto gli immigrati cattolici orientali in questi istituti di educazione cattolici che offrono con entusiasmo corsi e seminari su altre religioni, siano esse l’ebraismo, l’islam, il buddismo o l’induismo, ma prestano poca o nessuna attenzione alla teologia, liturgia o spiritualità delle Chiese orientali? Soprattutto nelle aree con un’alta concentrazione di questi immigrati, come possiamo aiutare questi istituti superiori, come anche i nostri seminari, a riconoscere la necessità di tali corsi in modo che i membri della diaspora possano “acquisire una conoscenza sufficiente della teologia e della spiritualità proprie della Chiesa cui appartengono?” (IL Par. 64).

Testimonianza di perdono

Un’area particolarmente impegnativa nell’aiutare i popoli delle Chiese orientali a vivere in pienezza il Vangelo si affronta nell’IL 90ss “Il desiderio e la difficoltà del dialogo con l’ebraismo” e in 95ss “Rapporti con i musulmani”. Molte di queste iniziative sono già state prese nel nostro Paese e nella nostra Arcidiocesi, dove abbiamo un forte vincolo ecumenico, interconfessionale e interreligioso. Purtroppo tali iniziative hanno luogo senza molta partecipazione da parte degli immigrati cristiani del Medio Oriente. In realtà essi spesso sono critici nei confronti dei nostri sforzi in questi campi, specialmente sul tema del perdono (par. 68, 69, 113).

Spesso i cristiani del Medio Oriente vengono in Nord America con atteggiamenti e opinioni nei riguardi sia dei musulmani che degli ebrei che non sono in armonia con il Vangelo o con i progressi che abbiamo fatto nei rapporti della Chiesa con le altre religioni. Poiché a Los Angeles viviamo a stretto contatto con persone di molte fedi differenti, come possiamo aiutare il popolo di questa particolare diaspora a correggere queste convinzioni erronee che possono poi influenzare la loro patria attraverso i cristiani che vivono in Occidente? Sebbene non vogliano sentirlo dire, i cristiani che vivono nel Medio Oriente e quelli emigrati in Occidente hanno bisogno di essere sfidati a essere segno di riconciliazione e di pace. La condizione sine qua non per entrambe le cose è il perdono.

Ritengo che la sfida maggiore che affrontiamo con i nostri immigrati – siano essi cattolici medio orientali o cattolici vietnamiti fuggiti dal loro Paese per il Sud California, o cubani fuggiti da Cuba verso le coste di Miami – non è quella di aiutarli a vivere il mistero della communio fra i cristiani e fra le varie Chiese cristiane. La sfida più grande è di aiutarli a rispondere alla grazia di dare testimonianza al Vangelo perdonando quei nemici che spesso sono la causa principale dell’aver lasciato la loro patria per trovare pace e giustizia sulle nostre coste. Faremmo bene a rammentare il nostro defunto Santo Padre, Papa Giovanni Paolo II. Dopo aver pronunciato il suo messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2002 ai diplomatici di tutto il mondo, riassumeva tutto con una frase che era una sfida: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”.

[Testo originale: inglese]

– Per l’Asia: S. E. R. Mons. Orlando B. QUEVEDO, O.M.I., Arcivescovo di Cotabato, Segretario Generale della “Federation of Asian Bishops’ Conferences” (F.A.B.C.) (FILIPPINE)

A nome della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia, Le esprimo la mia profonda gratitudine per avermi invitato a rappresentare la Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (FABC) e a partecipare a questo importante Sinodo. Allo stesso modo, a nome della stessa, vorrei esprimere la nostra comunione e solidarietà con tutti i Padri sinodali qui riuniti oggi, soprattutto con i nostri fratelli vescovi nel Medio Oriente.

Il nostro tema è Comunione e Testimonianza. un tema molto vicino al cuore della Chiesa in Asia. Il n. 55 dell’Instrumentum laboris esprime un desiderio significativo: promuovere l’unità nella diversità, incoraggiare le comunità a cooperare tra di loro, “… Si potrebbe suggerire che di tanto in tanto (ad esempio ogni cinque anni), un’assemblea riunisca l’intero episcopato in Medio Oriente”.

Vorrei condividere con voi l’esperienza dei vescovi in Asia. Riunendosi ogni quattro anni a partire dal 1974, i vescovi della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia hanno vissuto esperienze molto positive nel promuovere la comunione. Considerate che la FABC ha 25 membri regolari e associati, compresi due antichi riti orientali, quello siro-malabarese e quello siro-malankarese, in 28 paesi e territori. Essa copre quella vasta regione dell’Asia confinante con il Kazakistan a ovest, la Mongolia a nord, il Giappone a est, il Pakistan e l’India a sud, l’Indonesia e Timor Est nel sudest. Nonostante le differenti situazioni sociali, economiche, politiche, culturali e religiose, i vescovi asiatici hanno raggiunto un buon livello di comunione, fratellanza, solidarietà e cooperazione. Ciò è dovuto a una comune visione della missione e della priorit pastorale.

Nel 1970 i vescovi dell’Asia riuniti a Manila erano stati ispirati dal messaggio di Papa Paolo VI che aveva parlato delle sfide pastorali in Asia. Nel 1974 si sono riuniti nella loro prima Assemblea plenaria come Federazione approvata dalla Santa Sede. Hanno messo a punto la seguente visione comune della missione di proclamare Gesù come Signore e Salvatore. Essi affermavano:

L’Evangelizzazione è l’adempimento da parte della Chiesa del dovere di proclamare con la parola e la testimonianza il Vangelo del Signore. In Asia tale compito viene effettuato:

– L’inserimento del Vangelo nelle culture rende la Chiesa locale realmente presente all’interno della vita e delle culture dei nostri popoli;

– Grazie all’inserimento del Vangelo nelle tradizioni religiose, le religioni asiatiche sono introdotte in un dialogo vivo con il Vangelo, così che in esse i semi della Parola possano giungere a piena fioritura e fruttificare nella vita dei nostri popoli;

– Infine, attraverso la predicazione della buona novella ai poveri (Lc 4, 18), la vita rinnovatrice di Cristo e il potere del Suo mistero pasquale vengono inseriti nella ricerca di sviluppo umano, di giustizia, fratellanza e pace da parte dei nostri popoli (FABC I, 1974, nn 25-28).

Essi hanno inoltre redatto una priorità pastorale comune che la costruzione della Chiesa locale.

La Chiesa locale è una Chiesa incarnata in un popolo, una Chiesa indigena e inculturata. Ciò significa concretamente una Chiesa in continuo, umile e amorevole dialogo con le tradizioni vive, le culture, le religioni – in breve con tutte le realtà della vita dei popoli tra i quali ha messo radici profondamente e dei quali ha fatto propria la storia e la vita.

Per i vescovi dell’Asia questa visione di una Chiesa e di una missione locale è rappresentata al meglio nella costituzione di comunità ecclesiali di base, grazie alle quali una parrocchia o una diocesi diventa una “comunione di comunità”.

Sostenuti dai diversi uffici pastorali della FABC, i vescovi asiatici cercano e si impegnano insieme per questa visione di missione e di priorità pastorale. Grazie alla loro guida la Chiesa in Asia continua a sperimentare ondate di conversione o di rinnovamento verso una nuova evangelizzazione e un discepolato di vita, una Chiesa rinnovata nella Parola e nel Pane di Dio. Ieri durante l’omelia il Santo Padre ci ha ricordato che la “comunione un dono del Signore”, comunione fondamentalmente nella vita di Dio. Ciò esige da parte nostra una rispost
a di profondo rinnovamento o conversione.

Il Santo Padre inoltre ci ha ricordato: “Senza comunione non può esserci testimonianza; la grande testimonianza proprio la vita di comunione”. Queste parole rappresentano veramente un imperativo per tutta la Chiesa in Asia, compreso il Medio Oriente.

In Asia noi siamo un “piccolo gregge”, meno del 3% su oltre tre miliardi di asiatici. Alla luce delle crescenti diffidenze religiose e degli estremismi religiosi che talvolta sfociano in violenza e morte, potremmo certamente diventare paurosi o timidi. Ma siamo fortificati e incoraggiati dalle parole del Signore, “Non temere, piccolo gregge”. Fiduciosi, quindi, dobbiamo far sì che la nostra comunione diventi una realtà e una testimonianza del Signore. Poiché in molti luoghi dell’Asia in cui non c’è libertà di religione, l’unico modo di proclamare il Signore è di rendergli testimonianza con una silenziosa, ma profondamente fedele, vita cristiana, una vita di amore per Dio e di servizio per il nostro prossimo (cfr. Papa Giovanni Paolo II, Ecclesia in Asia, n. 23).

Tale testimonianza sprona noi vescovi in comunione con il Santo Padre e tra di noi, ad affrontare seriamente le grandi sfide pastorali che abbiamo di fronte in Asia, vale a dire il fenomeno della migrazione, che viene talvolta chiamato la nuova schiavitù, l’impatto negativo della globalizzazione economica e culturale, la questione dei cambiamenti climatici, le istanze dell’estremismo religioso, dell’ingiustizia e della violenza, la libertà religiosa e i problemi biogenetici che minacciano la vita umana nel grembo materno dal concepimento fino alla morte naturale.

Nel nostro dialogo come espressione di comunione nella famiglia di Dio, preghiamo di poter mettere a punto un approccio pastorale comune a questi problemi come forma di testimonianza della fede che abbiamo nel Signore Gesù.

[Testo originale: inglese]

– Per l’Europa: S.Em.R. Card. Péter ERDÕ, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Presidente della Conferenza Episcopale, Presidente del “Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae” (C.C.E.E.) (UNGHERIA)

Nel nome dei vescovi europei rappresentati dai Presidenti di tutte le Conferenze Episcopali del continente, radunati dieci giorni fa a Zagabria alla quarantesima sessione plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) porgo i miei più sentiti e cordiali saluti ai Presuli qui presenti e a tutti i cattolici del Medio Oriente.

Guardando dall’Europa, la Terra Santa e il Medio Oriente si trovano a Est. E’ da lì che ci arrivata la luce di Cristo che rimane per sempre il vero Sole Invincibile che non conosce tramonto. Il volto di Gesù brilla come il sole (Mt 17,2) ed illumina tutta la storia dell’umanità. Ma questo splendore i discepoli scelti l’hanno visto sul monte della trasfigurazione mentre si preparava già il dramma della passione e della risurrezione del Signore.

L’Europa è debitore del Medio Oriente. Non soltanto una moltitudine degli elementi fondamentali della nostra cultura proviene da quella regione, ma anche i primi missionari del nostro continente sono arrivati da lì. Con gratitudine conserviamo il ricordo dell’avvenimento raccontato negli Atti degli Apostoli: “Durante la notte apparve a Paolo una visione: era un Macedone che lo supplicava ‘Vieni in Macedonia e aiutaci!’. Dopo che ebbe questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci avesse chiamati ad annunciare loro il Vangelo” (At 16,9-10). E’ stata una decisione provvidenziale del Santo Padre Benedetto XVI l’aver dedicato un intero anno a San Paolo, apostolo delle nazioni, il cui fervore e saggezza sono estremamente attuali per la nuova evangelizzazione.

A questo proposito devo ricordare il nostro pellegrinaggio episcopale europeo a Tarso, citt di San Paolo, ma devo ripetere anche l’espressione di cordoglio e solidarietà dei Vescovi europei, che abbiamo manifestato in occasione della morte violenta di Sua Eccellenza Mons. Luigi Padovese, già presidente della Conferenza Episcopale della Turchia.

Pensando al Medio Oriente, noi europei dobbiamo esaminare la nostra coscienza. E’ vivo ancora il messaggio del Vangelo tra di noi, quella buona novella che abbiamo ricevuto dagli apostoli? O non si vede più nella nostra vita quella luce e quell’entusiasmo che scaturisce dalla fede in Cristo?

Nei nostri tempi, quando profughi ed emigranti cristiani arrivano in Europa dai diversi Paesi del Medio Oriente, qual è la nostra reazione? Siamo abbastanza attenti alle cause che costringono migliaia se non milioni di cristiani a lasciare la terra dove abitavano i loro antenati da quasi duemila anni? E’ vero che anche il nostro comportamento è responsabile per quello che sta accadendo? Siamo proprio di fronte ad una grande sfida. Dobbiamo esaminare la natura e gli effetti dei cambiamenti in Europa e nel mondo occidentale. Sappiamo esprimere in modo efficace il nostro sostegno ai cristiani del Medio Oriente? I fattori principali della vita pubblica europea sono ancora sensibili ai valori umani illuminati dal cristianesimo? O sono piuttosto indifferenti e sfiduciati verso questa nostra preziosa eredità? Eredità senza la quale l’Europa non esisterebbe nemmeno in senso culturale.

I cristiani che arrivano dal Medio Oriente bussano alla porta dei nostri cuori e risvegliano la nostra coscienza cristiana.

Come accogliamo questi fratelli e sorelle, come contribuiamo al fatto che la loro antica eredità – anche ecclesiastica – venga conservata per il futuro?

Il tema di questo Sinodo La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. Negli Atti degli apostoli leggiamo infatti che la moltitudine dei credenti aveva “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Tale comunione esiste nella Chiesa anche oggi, anzi, la comunione dei santi un articolo della nostra professione di fede. Tale comunione essenziale dev’ essere – come la Chiesa stessa – allo stesso tempo visibile e invisibile, deve muoversi nel mondo della grazia, ma anche nella società. I cattolici d’Europa pregano, lavorano, si sforzano e combattono per essere presenti ed efficaci anche nella società visibile. Malgrado tutte le tristezze, tutte le delusioni, tutte le esperienze negative e a volte anche le discriminazioni o le pressioni che colpiscono i cristiani che vogliono seguire la loro coscienza, non smettiamo di sperare che anche la nostra Europa possa ritrovare la sua identità radicata profondamente nella cultura della vita, della speranza e dell’ amore. Più siamo consapevoli della nostra vocazione cristiana nella società, più saremo anche capaci di mostrare e irradiare la forza del vangelo che è potente e può trasformare la società umana anche nel nostro secolo. Fedeli all’insegnamento del Concilio Vaticano II manifestato in modo speciale nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes dobbiamo seguire l’invito della Chiesa: “Coloro che sono o possono diventare idonei per l’esercizio dell’arte politica, così difficile, ma insieme così nobile, si preparino e si preoccupino di esercitarla senza badare al proprio interesse e al vantaggio materiale. Agiscano con integrità e saggezza contro l’ingiustizia e l’oppressione, il dominio arbitrario e l’intolleranza d’un solo uomo o di un solo partito politico; si prodighino con sincerità ed equità al servizio di tutti, anzi con l’amore e la fortezza richiesti dalla vita politica” (GS 75f).

“Medico, cura te stesso” (Le 4,23) – scrive San Luca, il “caro medico” (Col 4,14).

Dobbiamo quindi guarirci – noi, cristiani d’Europa – con l’aiuto dello Spirito Santo perché possiamo rispecchiare la luce di Cristo, ricevuta dall’Oriente, e ricambiare il dono ottenuto attraverso la nostra coraggiosa testimonianza.

In questo senso chiedo la benedizione di Dio al presente Sinodo e a tutti i cristiani del Medio Oriente. Stella Orientis, prega per noi!

[Testo originale: italiano]

– Per l’Oceania: S. E. R. Mons. John Atcherley DEW, Arcivescovo d
i Wellington, Presidente della “Federation of Catholic Bishops’ Conferences of Oceania” (F.C.B.C.O.) (NUOVA ZELANDA)

Geograficamente l’Oceania non potrebbe essere più distante dal Medio Oriente, e tuttavia i legami tra le nostre due regioni sono forti.

Rappresento la Federazione dei Vescovi Cattolici dell’Oceania: Australia (32 diocesi), Papua-Nuova Guinea (22), Nuova Zelanda (6), Conferenza Episcopale del Pacifico costituita da 17 diocesi e territori ecclesiastici. In totale, una comunità varia e sparsa, di circa 6 milioni di cattolici, piccole “isole di umanità” (Radcliffe) nella vastità dell’Oceano Pacifico che copre un terzo della superficie mondiale.

Nel novembre del 1998, tutti i vescovi dell’Oceania si sono riuniti qui per il Sinodo per l’Oceania. Siamo stati sfidati a “Seguire la via di Gesù Cristo, proclamare la sua verità, vivere la sua vita”. una communio di fede e di carità che ci lega alle Chiese del Medio Oriente; siamo arrivati ad apprezzare la ricca diversità che i membri di queste Chiese apportano all’Oceania. Riconosciamo la loro vulnerabilità nel vivere come Chiese minori e siamo “desiderosi di apprezzare, capire e promuovere le tradizioni, la liturgia, la disciplina e la teologia delle Chiese orientali” (Ecclesia in Oceania, 12).

Tra i cinque milioni di cattolici in Australia un numero piccolo ma importante fa parte delle Chiese cattoliche orientali. Le due principali Chiese cattoliche orientali in Australia sono quella maronita e quella melchita, ognuna delle quali è una diocesi stabilita (eparchia) con un vescovo (eparca) che è membro della Conferenza dei Vescovi Cattolici dell’Australia e che a volte partecipa all’incontro della Conferenza della Nuova Zelanda. Oltre a queste Chiese cattoliche orientali, vi sono anche quelle caldea, sira, siro-malabarese e copta.

Le eparchie maronita, melchita e caldea si estendono in Nuova Zelanda offrendo servizi pastorali e liturgici anche alle loro comunit che si trovano lì.

Il Medio Oriente è presente in Oceania attraverso i migranti e i rifugiati che si sono stabiliti nella regione: ebrei europei sin dagli inizi dell’insediamento in Australia e Nuova Zelanda, nonché rifugiati dalla Germania degli anni intorno al 1930 e sopravvissuti alla Shoah; libanesi, palestinesi, egiziani; iracheni sia cristiani sia musulmani; e, in tempi più recenti, rifugiati curdi dall’Iraq, dall’Iran e dalla Turchia.

I nostri legami storici sono fortemente caratterizzati dalla guerra e dalla pace.

– Le truppe australiane neozelandesi (ANZACS) si sono esercitate in Egitto durante i primi anni della Grande Guerra (1914-1918); purtroppo la generazione successiva è ritornata nel deserto egiziano nei primi anni quaranta della seconda Guerra Mondiale.

– Le forze di pace figiane nell’ambito delle Nazioni Unite hanno servito sia in Libano sia nel Sinai.

Questi legami vengono cementati oggi attraverso la presenza di numerosi pellegrini dell’Oceania che visitano la Terra Santa, attraverso il reinsediamento dei rifugiati, i programmi di aiuto allo sviluppo di Caritas Internationalis, la presenza di ordini religiosi internazionali che si dedicano al lavoro educativo o al sostegno dei luoghi sacri.

Risposta all’Instrumentum laboris:

Sono due i temi dell’Instrumentum laboris ai quali vorrei rispondere a partire dall’esperienza dell’Oceania.

1. Comunione e testimonianza. L’Instrumentum laboris ha portato alla nostra attenzione in modo nuovo le sfide che devono affrontare i cristiani in Medio Oriente: i complessi conflitti politici, le questioni della libertà di religione e di coscienza, il vivere in un contatto quotidiano come minoranza in comunità in maggioranza islamiche o ebree e il movimento costante di popoli attraverso l’emigrazione e l’immigrazione. Siamo molto lontani, ma siamo consapevoli di essere legati a tutti i cristiani in Medio Oriente attraverso un battesimo comune, una tradizione ecclesiale, la fede in Gesù Cristo e l’impegno per la sua missione. Desideriamo che i nostri fratelli e le nostre sorelle in Medio Oriente sappiano che apprezziamo questa comunione, che ci impegniamo a essere solidali con loro nella sofferenza e che li sosterremo con la preghiera e con l’aiuto pratico nelle sfide che devono affrontare quotidianamente.

2. L’impegno verso i rapporti interreligiosi. Le Chiese in Oceania sono giovani in questo ambito, abbiamo molto da imparare dall’impegno intenso delle Chiese in Medio Oriente a favore del dialogo tra le religioni abramitiche. Riconosciamo la complessità del contesto storico e culturale in cui si svolge questo dialogo con i semi di speranza nel processo di pace nonché le battute d’arresto dei malintesi, della persecuzione e del tradimento.

L’introduzione dell’Instrumentum laboris parla della necessità che i cristiani imparino a conoscere bene i loro vicini ebrei e musulmani se vogliono collaborare con loro nel campo della religione, dell’interazione sociale e della cultura per il bene della società. Ricordando la necessità che la religione diventi la base della pace e della promozione dei valori spirituali e materiali delle persone, in Australia e in Nuova Zelanda sono stati compiuti diversi sforzi.

[Testo originale: inglese]

– Per l’America Latina: S. E. R. Mons. Raymundo DAMASCENO ASSIS, Arcivescovo di Aparecida, Presidente del Consiglio Episcopale Latinoamericano (C.E.L.AM.) (BRASILE)</p>

In primo luogo vorrei ringraziare il Santo Padre Benedetto XVI per avermi designato a partecipare, in qualità di Presidente del Consiglio Episcopale Latinoamericano e dei Caraibi, a questo Sinodo delle Chiese pellegrine nei Paesi del Medio Oriente. Molte grazie, Santo Padre, per questa nomina che mi onora e mi rallegra e che un segno di apprezzamento di Sua Santità verso la Chiesa in America Latina.

Le Chiese sorelle del Medio Oriente sono state la culla della Chiesa di Gesù Cristo e il primo luogo della sua espansione e, ancor di più, il luogo privilegiato della manifestazione della “pienezza dei tempi” nella persona del Signore Gesù.

Nel partecipare a questo Sinodo per il Medio Oriente devo riconoscere con gratitudine la immensa ricchezza che abbiamo ricevuto attraverso di voi. Prima di tutto i libri sacri della Bibbia che ci alimentano nel nostro incontro con il Signore e ci illuminano in ogni decisione che dobbiamo prendere per la nostra vita personale ed ecclesiale. Anche la Tradizione viva e i Concili che, nella loro ricezione dinamica, permettono alle nostre Chiese con le loro ricchezze uniche e diverse di far condividere ai nostri popoli la vita di Gesù Cristo. Senza dimenticare la ricca Pneumatologia delle Chiese orientali.

La vostra multiculturalità fondante è un fatto fin dalla prima espansione ecclesiale. Con il tempo certamente ha subito molti adattamenti e squilibri numerici e sociopolitici, nonché correzioni. Anche oggi, nel nostro mondo globalizzato e segnato da molte tensioni, essa è qualcosa che tutti sperimentiamo giorno per giorno e dalla quale possiamo apprendere molto delle storie e delle difficoltà presenti di queste Chiese.

Il tema della laicità dei governi che guidano i nostri popoli in molti casi diventato discriminatorio sia per intransigenze ideologiche, sia, come per alcuni di voi, per una imposizione teocratica, una “islamizzazione” della vita pubblica. Questa è una sfida che condividiamo con voi, che ci impone di lottare per una libertà religiosa autentica in ambito pubblico. Dobbiamo tenere ben presente questo fatto anche nella catechesi allo scopo di formare cristiani e cittadini profondamente consapevoli dei loro diritti e doveri. Il Santo Padre Benedetto XVI, nella sua visita in Francia (2008), ha ripreso il prezioso concetto di una “laicità positiva”.

Da questa situazione nasce una sfida di cui abbiamo preso nuova coscienza. Si tratta della formazione dei laici delle nostre Chiese. Nella nostra ultima Conferenza generale dell’America Latina e dei Caraibi (nel 2007), svoltasi ad Aparecida in Brasile,
si è sottolineato che questa formazione deve partire da un profondo incontro personale con Gesù Cristo, che segni e perduri come esperienza costante nella vita di ciascuno, e da una adeguata formazione nella roccia costituita dalla parola di Dio di fronte alla nuova situazione culturale che viviamo. Ciò deve permettere la presenza dei laici nei nuovi areopagi e nei vari compiti del servizio pubblico.

Nel menzionare i discepoli laici non si può fare a meno di menzionare l’enorme importanza della famiglia come formatrice di valori umani e cristiani. Tutte le famiglie attualmente soffrono una frattura generazionale causata dalla velocità con cui oggi tutto cambia. Però questo non deve inibire la sua forza educatrice. In alcuni aspetti della famiglia possiamo coincidere con credenti musulmani e lo abbiamo visto in occasione di votazioni di organismi internazionali. Ci sono però altri aspetti della concezione concreta della famiglia che ci distanziano da questi, per esempio per quanto concerne il ruolo della donna nella famiglia e nella società.

Formare laici per i tempi di oggi non dispensa, anzi richiede di formare anche presbiteri che comprendano la grande necessità di una profonda “conversione personale e pastorale” per fare delle loro parrocchie e dei loro apostolati luoghi e ministeri di animazione missionaria alla maniera delle prime comunità cristiane. E’ necessario passare da una pastorale di conservazione a una pastorale animata dallo spirito missionario. Nella Conferenza generale di Aparecida il Santo Padre ha affermato che essere “discepoli e missionari di Gesù Cristo” sono due facce della stessa medaglia. Non si è discepolo se non si è missionario, e non si è missionari se non si è discepoli.

Questa necessaria “conversione” avrà anche forti conseguenze nella pastorale vocazionale. Il giovane di oggi vuole darsi con generosità al Dio della Vita, ma si tira indietro quando percepisce solo sforzi di conservazione e non scopre la novità trasformatrice del Vangelo nella nostra storia presente. La pastorale vocazionale deve aiutare i giovani a scoprire Gesù come “Via, Verità e Vita” e mostrar loro le diverse strade per seguirlo, mettendo in risalto la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata.

Nei nostri paesi latino-americani e dei Caraibi abbiamo molti emigranti mediorientali – di prima e seconda generazione – la maggior parte dei quali sono cristiani. Molti sono entrati a far parte della Chiesa latina e ci sono piccoli gruppi con le proprie eparchie. Il nostro desiderio è che si cresca ancora di più nella coscienza della nostra comune fede cattolica e che ci si avvicini maggiormente a un’azione missionaria condivisa. In questo momento stiamo realizzando in tutte le nostre Chiese la cosiddetta “Missione Continentale”, frutto della Conferenza Generale di Aparecida. Sarebbe una splendida testimonianza poterci unire in questo sforzo evangelizzatore.

Da ultimo, vogliamo condividere con voi la preoccupazione per il conflitto israelo-palestinese. Anche in questo siamo in comunione con il Santo Padre nel suo sforzo di trovare una soluzione al conflitto. Che sia ristabilita nella terra di Gesù la pace fra questi due popoli!

Chiediamo al Signore Gesù , per intercessione di Maria Santissima, Regina degli Apostoli, che diffonda su questa Assemblea Sinodale il suo Spirito che fa nuove tutte le cose.

[Testo originale: spagnolo]

In seguito sono intervenuti i seguenti Padri:

– S. E. R. Mons. Elias CHACOUR, Arcivescovo di Akka, San Giovanni d’Acri, Tolemaide dei Greco-Melkiti (ISRAELE)

Decisero di sopravvivere e di proseguire la loro missione molto speciale, seguendo gli ordini del loro connazionale, l’Uomo di Galilea, Gesù di Nazaret. Mio Connazionale, mio Campione, mio Parrocchiano.

Luca 24, 45-49, Atti degli Apostoli 1, 4-5 e specialmente Marco 16, 15. “Non temere piccolo gregge”, “andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”. Da allora i miei antenati hanno iniziato a diffondere ovunque la straordinaria notizia di un sepolcro vuoto e un uomo risorto. Non abbiamo mai smesso di predicare questa straordinaria novella. per questo che Pietro e Paolo sono stati sacrificati e uccisi qui a Roma.

Negli ultimi venti secoli stato come se i nostri cristiani di Terra Santa fossero condannati e avessero il privilegio di condividere l’oppressione, la persecuzione e la sofferenza con Cristo.

Egli è risorto, ma la sua croce si eleva ancora alta nel nostro cielo. I nostri cristiani sono ancora appesi a quella terribile croce. Vivono sotto la minaccia quotidiana di funzionari che sognano il trasferimento della nostra minoranza lontano dalle loro terre, dalle loro case, lontano dalla loro patria ancestrale. Se non fosse per Lui, la croce sarebbe stata maledetta e odiata.

Sono trascorsi secoli, carichi delle sofferenze e delle persecuzioni da noi subite.

Ma oggi Sua Santità Papa Benedetto XVI ha chiamato la Chiesa cattolica e tutti i cristiani di buona volontà a spostare il loro sguardo e a volgersi verso il resto della famiglia di Cristo. Siamo venuti qui per invitarvi tutti a rivedere le vostre priorità riguardo alla Terra Santa e ai suoi abitanti.

Certamente i santuari e i luoghi santi sono importanti. I religiosi Francescani sono stati ardenti e leali custodi e protettori dei luoghi santi.

Come arcivescovo della comunità cattolica più grande in Terra Santa, la Chiesa cattolica melkita, vi invito qui, e chiedo al Santo Padre, di dedicare sempre più attenzione alla pietre vive della Terra Santa. Ancora, se viene prestata attenzione pur essendone indegni e in modo immeritato, potremo restituire il sorriso e la speranza ai volti dei nostri figli.

Siamo in Galilea da tempi immemori. Ora siamo in Israele. Vogliamo restare dove siamo e abbiamo bisogno della vostra amicizia più che dei vostri soldi.

[Testo originale: inglese]

– S. E. R. Mons. Boutros MARAYATI, Arcivescovo di Alep degli Armeni (SIRIA)

Il movimento ecumenico sta attraversando una vera crisi, prova ne sono le situazioni difficili che devono affrontare oggi le Chiese del Consiglio Medio Orientale, che per anni stato in prima linea nel lavoro ecumenico nei nostri paesi. Speriamo oggi che la crisi sia una fase transitoria del progresso iniziale nell’aprire una nuova pagina del lavoro ecumenico, passando dallo stile burocratico, dallo sviluppo di progetti e dall’amministrazione finanziaria a incoraggiare uno spirito di fratellanza, di dialogo e di comunione tra le Chiese.

L’Instrumentum laboris in tutte le sue pagine contiene un aspetto ecumenico, poiché tutto riguarda le Chiese in Medio Oriente. Vorremmo aggiungere che questa assemblea speciale non manterrà la sua dimensione autenticamente cristiana e cattolica a meno che non venga letta alla luce delle nostre relazioni con le Chiese e le altre comunità cristiane. E’ stato detto che “insieme siamo o non siamo affatto”.

1) Ritengo che manchi qualcosa tra i paragrafi 14 e 15. Non sarebbe importante menzionare che Damasco stato il luogo della conversione di San Paolo, dal quale è partito per recarsi in Arabia e poi in tutte le nazioni? Abbiamo celebrato l’Anno Paolino, indetto da Sua Santità Papa Benedetto XVI. In Antiochia i discepoli di Cristo furono chiamati cristiani. A nord di Aleppo, la vita monastica e religiosa fu prospera nel IV secolo. Da Simeone il vecchio a san Marone, i siti archeologici ancora ne danno testimonianza. E’ questo un fatto ecumenico che ci riporta alle nostre radici cristiane comuni. Dobbiamo ravvivarlo, a livello non solo locale ma anche universale, affinché queste radici possano sostenere la nostra presenza cristiana nella storia.

2) Al paragrafo 25 l’Instrumentum laboris afferma che “le situazioni nei diversi Paesi del Medio Oriente sono molto differenti tra di loro”. Non si tratta di un semplice fatto, bensì di un fatto innegabile. Se vogliamo che questa Assemblea speciale sia feconda, dobbiamo pensare a una conferenza speciale per ciascun paese, avente un asp
etto ecumenico, dove poter discutere delle questioni a seconda delle situazioni locali. Indubbiamente le sfide sono le stesse, ma ogni paese ha una situazione propria.

3) Le sfide menzionate nell’Instrumentum laboris, specialmente quella dell’emigrazione (paragrafi 43-48), sono una grave preoccupazione per noi come lo sono per le altre Chiese e le comunità cristiane locali. Si tratta di una vera sollecitudine ecumenica. E da qui l’obbligo di domandare: esiste un piano per evacuare i cristiani dall’Oriente? Negli ultimi 100 anni l’emigrazione o la deportazione violenta hanno continuato a verificarsi in Oriente. Nel 1915 centinaia di migliaia di cristiani armeni sono stati deportati con la forza dai loro paesi e sono stati vittima del primo genocidio del XX secolo per mano degli ottomani. Tra quei martiri vi era il vescovo Ignatius Maloyan. Lo stesso accaduto tra i caldei e i siri. Molti cristiani sono stati allontanati dai loro villaggi e dalle loro città. Questi atti sono proseguiti con gli eventi in Palestina, la guerra civile in Libano, la rivoluzione islamica in Iran, l’invasione dell’Iraq… I cristiani vengono martirizzati, costretti ad emigrare, costretti a partire da tutte le Chiese, senza distinzione alcuna. Stiamo forse aspettando il giorno in cui il mondo come spettatore e l’indifferenza delle Chiese occidentali rimarranno fermi ad osservare la “morte dei Cristiani d’Oriente”?

Malgrado le crisi e le difficoltà che si presentano alla nostra vita cristiana e alle nostre relazioni ecumeniche, noi continuiamo a “credere, sperando contro ogni speranza” (cfr. Rm 4, 18).

[Testo originale: arabo]

– S. E. R. Mons. Kyrillos WILLIAM, Vescovo di Assiut, Lycopolis dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)

Secondo l’Instrumentum laboris la liturgia è un aspetto profondamente radicato nella cultura orientale, quindi non si può ridurne la forza se si vuole conservare oggi la vivacità della fede. La storia ci conferma che nei nostri paesi del Medio Oriente la liturgia è sempre stata una scuola per l’educazione alla fede e alla morale cristiana, soprattutto tra le nostre popolazioni semplici e per la maggior parte analfabete, grazie alle numerose letture bibliche (6 letture quotidiane nella nostra liturgia copta, che aumentano nei giorni di festa e in occasione di alcune celebrazioni) e alle preghiere composte da citazioni bibliche giustapposte.

E’ per questo che dobbiamo conservarla con grande rispetto, secondo quanto afferma il diritto canonico orientale (cfr. can. 39 CCEO).

Nella Costituzione Sacrosanctum Concilium, al paragrafo 4, il Concilio Vaticano II afferma l’uguaglianza di tutti i riti per quanto riguarda i diritti e la dignità. Nel Decreto conciliare Orientalium Ecclesiarum i padri conciliari esprimono un particolare apprezzamento per il patrimonio delle Chiese orientali e ne sottolineano i benefici per la Chiesa universale, citando la Lettera apostolica “Orientalium Ecclesiarum” di Leone XIII del 30 novembre 1894.

Il Decreto conciliare sulle Chiese orientali cattoliche esorta, tra le altre cose, tutti gli occidentali che sono in contatto con tali Chiese, a impegnarsi a conoscere e a rispettare le liturgie orientali e fa riferimento al Motu proprio “Orientis Catholici” di Benedetto XV del 15 ottobre 1917 e all’Enciclica “Rerum Orientalium” di Pio XI dell’8 settembre 1926.

Il canone 41 del CCEO conferma ciò, chiedendo di conoscere con precisione e di praticare queste liturgie.

Ora, constatiamo che non pochi religiosi latini traducono in arabo la liturgia latina e la celebrano per i nostri fedeli orientali, favorendo in tal modo il loro distacco dalle Chiese e un indebolimento della loro appartenenza alle stesse.

Per quanto riguarda la lingua liturgica (Instrumentum laboris, 72), non abbiamo aspettato il Concilio Vaticano II per tradurre i testi liturgici nelle lingue correnti del popolo. Sin dalle origini, la nostra liturgia copta stata celebrata nei diversi dialetti nell’Alto Egitto, e, nelle grandi città, in greco, lingua della cultura e della vita quotidiana. A partire dal X secolo troviamo tutto in arabo. Questo fattore ha aiutato a conservare la fede e, facendo un confronto con altri paesi vicini come l’Africa del nord, constatiamo che dopo qualche secolo il cristianesimo, all’inizio fiorente, è scomparso; infatti è stata imposta una liturgia straniera in una lingua poco conosciuta.

Vorrei chiedere una spiegazione: in un paese come il nostro, l’Egitto, dove tutti (cattolici, non cattolici e anche non cristiani) sono copti, a che cosa serve la celebrazione della liturgia latina in lingua araba? Se vi sono dei latini, loro diritto celebrare la Messa latina, ma in una lingua diversa dall’arabo, poiché ci attira i nostri fedeli e contribuisce alla loro dispersione.

[Testo originale: francese]

– S. E. R. Mons. Botros FAHIM AWAD HANNA, Vescovo titolare di Mareotes, Vescovo di Curia di Alessandria dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)

Con una scelta particolare di Dio, la Sacra Scrittura è nata nella nostra terra d’Oriente, portando in sé le caratteristiche della nostra cultura, con simile scelta si incarnato il Verbo Divino ed ha condiviso la nostra realtà, in Oriente. Si dato alla morte, sulla Croce, per la salvezza di tutti.

Dall’Oriente partito il primo annuncio del Vangelo. Le nostre chiese continuano la loro fedeltà alla testimonianza del Vangelo, con l’aiuto di Dio, di tutta la Chiesa Cattolica e di tutti gli uomini di buona volontà, donando al mondo e alla Chiesa testimoni fedeli alla loro fede, alla Parola, alla giustizia e all’amore fraterno. Così la Parola di Dio sarà sempre la guida del nostro impegno missionario.

La Parola di Dio ha nutrito, sempre, i popoli dell’Oriente e così hanno prodotto delle ricche tradizioni bibliche, liturgiche, teologiche e spirituali.

La sorgente della Parola di Dio è ancora zampillante, ma la sete di Essa è ancora grande sulle nostre terre. Perciò abbiamo bisogno di altri specialisti, centri, comunità pastorali per studiare, meditare, vivere ed effondere la cultura biblica nella nostra realtà, perché la Parola sia il fondamento di ogni educazione, insegnamento e dialogo per costruire la civiltà del vangelo e dell’amore per il bene di tutti.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Youhannes ZAKARIA, Vescovo di Luxor, Tebe dei Copti (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)

Il mio resoconto si concentra sulla rinnovazione delle attività missionarie delle Chiese Orientali, visto che l’Instrumentum Laboris non ha trattato con sufficienza quest’argomento.

Dall’inizio della storia della Chiesa, i fedeli dell’Oriente sono stati caratterizzati dallo zelo missionario, e dall’entusiasmo a realizzare il mandato del Signore, che chiede la predicazione del Vangelo in tutto il mondo.

La debolezza e la divisione dell’Impero Romano, la violenza dei conflitti nazionali, l’avversità delle discussioni dogmatiche fra i cristiani, le divisioni della Chiesa e, successivamente, il dominio arabo e islamico sul Medio Oriente, hanno indebolito le Chiese Orientali, e hanno condizionato la loro presenza in Oriente; e come conseguenza è venuto meno l’entusiasmo missionario, e si ridotto lo slancio evangelico, come dice il numero 20 dell’Instrumentum Laboris.

Nonostante la Chiesa nel Medio Oriente, attualmente, sia una minoranza che vive in mezzo ad una maggioranza non cristiana, stia combattendo contro il pericolo del proprio tramonto e stia lottando per conservare la fede cristiana nei cuori dei suoi fedeli, questa Chiesa non deve avere paura, né vergogna, e non deve esitare ad obbedire al mandato del Signore, che le chiede di continuare la predicazione del Vangelo.

Partendo da questo Sinodo, chiedo alle nostre Chiese Orientali di rinnovare il loro entusiasmo missionario e la loro attività di predicazione; devono inoltre promuovere la formazione di tutti i loro figli perché riscoprano la loro vocazione missionaria e li incoraggino a consacrar
e con entusiasmo la vita per l’annuncio del Vangelo, partecipando così con i figli della Chiesa Universale, specialmente della Chiesa Occidentale, al servizio della predicazione della Parola di Dio in tutto il mondo.

[Testo originale: italiano]

– S. E. R. Mons. Clément-Joseph HANNOUCHE, Vescovo di Le Caire dei Siri, Protosincello della Chiesa Siro-Cattolica in Sudan (REPUBBLICA ARABA DI EGITTO)

Il mondo progredisce e si sviluppa a grande velocità grazie alle scienze tecnologiche moderne. Questo progresso ha prodotto il fenomeno dell’apertura che ha portato il mondo verso forti tensioni contraddittorie: progresso e sottosviluppo, accoglienza e rifiuto. In quanto al Medio Oriente: esso non era né pronto, né preparato ad affrontare questa rivoluzione. Ciò ha causato molteplici problematiche nella vita familiare, numerosi cedimenti, così come l’allontanamento dalla fede; l’esistenza di un conflitto negli uomini tra fede e mondo d’oggi.
La Chiesa ha scoperto che il problema inizia in famiglia dove i bambini non sono orientati a una vita di preghiera, né alla partecipazione assidua alla chiesa, né alle attività ecclesiali. Ma che, al contrario, le famiglie seminano in essi il desiderio d’un guadagno veloce – e a tutti i costi -, la ricerca della vita lussuosa accompagnata dalla perdita dei valori morali cristiani.
Per questo, la Chiesa è andata in cerca della pecora perduta, con pazienza e perseveranza, piena d’amore. Infondendo coraggio e accettando la partecipazione dei fedeli laici, perché essi contribuiscano al lavoro nel campo del Signore.

[Testo originale: arabo] 

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ZENIT Staff

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