Interventi al Sinodo nel pomeriggio del 10 ottobre

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 12 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo i riassunti degli interventi pronunciati al Sinodo sulla Parola di Dio nel pomeriggio del 10 ottobre, quando è iniziata la nona Congregazione generale.

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– S.E.R. Mons. Cornelius Fontem ESUA, Arcivescovo di Bamenda (CAMERUN)

La Chiesa in Camerun, come tante altre giovani Chiese africane, ha un alto tasso di crescita. È urgente approfondire la fede dei neofiti, soprattutto dei giovani, che stanno diventando vittime del materialismo, della secolarizzazione e del relativismo. Un certo numero è tornato alla pratica della Religione Tradizionale Africana, in quanto il cristianesimo non sembra dare una risposta a tutti i loro quesiti, soprattutto in tempi di crisi. Inoltre la Religione Tradizionale Africana e le strutture familiari tradizionali su cui questa religione si fonda, stanno crollando. Alcuni cristiani si rifugiano nelle società segrete, nelle sette e in nuovi movimenti religiosi, con la speranza di trovarvi sicurezza e risposte agli interrogativi più profondi della vita.
Per fortuna esiste una crescente sete e fame per la Parola di Dio. È necessario e urgente mettere le Sacre Scritture nelle mani dei fedeli, affinché diventino vive nelle loro professioni, nelle loro famiglie e nelle diverse situazioni della vita, come pure fonte di ispirazione per la vitalità e le attività delle Piccole Comunità Cristiane. È inoltre urgente l’inculturazione della fede cristiana e il dialogo con la Religione Tradizionale Africana. Per un’inculturazione efficace, la Parola di Dio deve radicarsi profondamente nei cuori delle persone e diventare carne.
Suggeriamo quindi che:
1. Le Conferenze Episcopali e le Diocesi diano priorità al Ministero Biblico Pastorale e nominino persone che lo promuovano e coordinino ai vari livelli, di modo che la Parola di Dio sia alla base di tutte le nostre attività pastorali.
2. Sacerdoti, religiosi e laici ricevano un’adeguata formazione per diventare operatori dell’apostolato biblico. Un corso sul ministero della Pastorale biblica dovrebbe essere introdotto nel curriculum dei seminari e delle case di formazione per preparare i futuri sacerdoti e religiosi a questo ministero.
3. Venga messa a punto una formazione biblica generale di tutti i fedeli, soprattutto dei giovani, non solo negli istituti specializzati, ma anche con regolari conferenze e congressi biblici al fine di renderli maggiormente consapevoli dell’importanza della Parola di Dio nelle loro vite.
4. Poiché la famiglia cristiana è una Chiesa domestica e il luogo in cui ha inizio tutta l’istruzione e la formazione nella fede, la Bibbia dovrebbe regnare in tutte le case cristiane per la lettura, la preghiera, lo studio e la venerazione. Le donne dovrebbero ricevere una formazione biblica adeguata al fine di promuovere l’ascolto della Parola di Dio in famiglia.
5. La Bibbia dovrebbe essere tradotta nella lingua locale come primo passo verso l’inculturazione e al fine di rendere la Parola di Dio più accessibile ai fedeli. Ogni cristiano dovrebbe possedere una Bibbia, leggerla e far sì che essa diventi un documento di riferimento o “vademecum”.
6. Come dice l’Apostolo Paolo: “la fede viene dalla predicazione” (Rm 10, 17). I popoli dell’Africa credono fortemente al potere della parola, soprattutto di quella parlata. Molti di loro non hanno accesso agli scritti, vuoi perché troppo costosi, vuoi perché la maggior parte di loro non sa né leggere né scrivere. Occorre presentar loro le Scritture in forma audiovisiva.
7. Grande rilievo dovrebbe essere dato alla Parola di Dio nella celebrazione dei Sacramenti, soprattutto nell’Eucaristia, e dei Sacramentali.
8. Sull’esempio dei padri della Chiesa delle origini, la formazione cristiana dovrebbe incentrarsi sulla Parola di Dio e le omelie dovrebbero avere un contesto soprattutto biblico per nutrire i fedeli con la Parola di Dio.
9. In Africa dovrebbe esistere un Istituto Biblico al fine di promuovere la ricerca biblica nel contesto della Chiesa in Africa.
10. Infine dovrebbe essere istituito un Consiglio Pontificio per la promozione della Dei Verbum, soprattutto del suo paragrafo sei.

– S.E.R. Mons. Francis DENIAU, Vescovo di Nevers (FRANCIA)

Scrutando il proprio mistero, la Chiesa fa riferimento al popolo ebraico (Nostra aetate 4). Non si tratta di una realtà esterna, il dialogo tra ebrei e cristiani non è una categoria del dialogo interreligioso. Esso riguarda il cuore della Chiesa e del mistero della fede. La Nostra aetate ci invita a un dialogo biblico. I cristiani hanno sempre la tentazione di parlare degli ebrei al passato. Definendo il popolo ebraico il nostro fratello maggiore, Giovanni Paolo II ci considera fratelli, appartenenti alla stessa generazione. Siamo “coeredi” (Jean-Marie Lustiger) di una stessa eredità, l’Antico Testamento. Lo leggiamo in modo diverso: per gli ebrei, attraverso la Torah orale (messa per iscritto nel Talmud, ma che continua a prestarsi a molteplici interpretazioni); per noi attraverso il Nuovo Testamento e la Tradizione cristiana (senza dimenticare che la tradizione orale, anche per noi, ne precede la stesura), insistendo sull’unità dei due Testamenti, attorno alla figura di Gesù Cristo. La lettura del Giudaismo farisaico e la lettura cristiana si sono sviluppati contemporaneamente. Per noi cristiani, la lettura ebraica, profondamente diversa dalla nostra, è comunque possibile e legittima e può insegnarci molto (PCB, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana ). Punti focali: la nostra lettura dell’AT lasci posto alla lettura ebraica; la nostra lettura del NT non generi antisemitismo; parlare degli ebrei non al passato ma al presente; rivedere la nozione di compimento (PCB 21); sottolineare la dimensione di attesa escatologica comune agli ebrei e ai cristiani, anche se diversa; essere attenti alla missione universale presente nella tradizione ebraica; anche se il “no” degli ebrei a Gesù ci ferisce, cercare di capire la loro fedeltà a Dio e alla propria vocazione; approfondire lo studio dei Romani 9-11; favorire il dialogo al di là degli esperti, nelle parrocchie e nei movimenti.

– S.E.R. Mons. Antonio MENEGAZZO, M.C.C.J., Vescovo titolare di Mesarfelta, El Obeid (SUDAN)

In Sudan c’è un grande desiderio e fame della Parola di Dio e ne è dimostrazione il grande numero di Cristiani che chiedono la Bibbia.
I nostri Cristiani si aspettano, da questa Assemblea, un aiuto per raggiungere più facilmente la Parola di Dio: rendere, cioè, più accessibile la Bibbia a tutte le classi della popolazione, soprattutto con la traduzione nelle lingue delle varie tribù.
Sacerdoti, Religiosi e Religiose son impegnati nel diffondere, nel pregare la Bibbia con gruppi di fedeli e nel guidare questi gruppi a comprendere nel giusto modo la Parola di Dio, ma si chiede loro un maggior impegno e sforzo.
La Parola di Dio non è penetrata profondamente nel cuore e nella mente di molti dei nostri Cristiani: non sono ancora riusciti a cambiare completamente la loro mentalità: la loro cultura non è stata completamente purificata dalla Parola di Dio. Tante volte sono incapaci di trovare una soluzione ai loro problemi e ricorrono ancora, con una certa facilità, alle loro antiche usanze.
L’ignoranza è piuttosto alta, e tante volte Dio parla loro in una lingua non comprensibile. Inoltre la Bibbia è stata tradotta solo in poche lingue delle molte tribù esistenti. Noi aspettiamo un maggior sforzo da parte della Chiesa e delle Organizzazioni Cattoliche per aiutare le traduzioni e preparare esperti per queste traduzioni.
La Parola di Dio è il centro della vita cristiana e perciò dovrebbe essere anche il centro nella preparazione dei catecumeni al Battesimo. In Sudan la maggioranza dei catecumeni non sa né leggere né scrivere: ne consegue che per prepararli bene al Battesimo, i Catechisti dovrebbero essere capaci di spiegare la Parola con posters, disegni e con la loro propria parola.
E qui c’è un grande dilemma: Catechisti poco preparati, perché poco istruiti, e catecumeni che vogliono diventare discepoli di Cristo: imparano il catechismo e le verità
della santa fede a memoria, con una povera conoscenza delle Sacre Scritture. Che fare? Possono essere battezzati? Non dobbiamo dimenticare che la Grazia di Dio lavora in questi nuovi umili Cristiani. Abbiamo un’altra grande sfida per la Giustizia e la Pace, e il perdono e la riconciliazione, dopo 21 anni di guerra civile tra Nord e Sud del paese, dopo tanto odio e ingiustizie e sofferenze. Anche dopo l’accordo di pace tra Nord e Sud, la situazione non è per nulla chiara e incoraggiante. E non dimentichiamo la guerra nel Darfur che continua senza nessun segno di miglioramento della situazione. Siamo convinti che la soluzione per un futuro di pace si può trovare solo nella fedeltà a Dio e alla sua Parola. Eucaristia e Parola di Dio, il binomio che può portare pace e serenità in tutti i cuori: ma come fare quando le distanze sono enormi e l’insicurezza per guerre e banditismo rende molto difficile e pericoloso il contatto dei sacerdoti con i fedeli? E la scarsità dei sacerdoti è un altro fattore negativo. Molti cristiani possono ricevere la Parola di Dio e l’Eucaristia solo raramente, forse qualche volta all’anno. Ci vorrebbe più spirito missionario in tutto il clero e più generosità nei paesi ricchi di clero nell’aiutare coloro che si trovano in seria necessità.

– S.E.R. Mons. Raymondo DAMASCENO ASSIS, Arcivescovo di Aparecida, Presidente del Consiglio Episcopale Latinoamericano (C.E.L.AM.) (BRASILE)

Il Concilio Vaticano II fece un’affermazione ovvia in apparenza, ma in pratica non tanto, e in questo modo aprì un grande orizzonte. Affermò che la Sacra Scrittura, Parola di Dio scritta “per ispirazione dello Spirito Santo” (DV 11) è “come l’anima della sacra teologia” (DV 24), nonché “sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale” (DV 21). Quest’ultima affermazione ha preso corpo durante la V Conferenza Generale dei Vescovi dell’America Latina e dei Caraibi, tenutasi l’anno scorso ad Aparecida, quando si è proposto esplicitamente un cambiamento di prospettiva che consiste nel passare da una pastorale biblica a “un’animazione biblica di tutta la pastorale” (DA 248). Dunque, tali indicazioni hanno una ripercussione diretta sulla formazione dei futuri presbiteri. La formazione presbiterale nel mondo di oggi deve porre al centro la Parola di Dio, come ben ci ha ricordato S.S. Benedetto XVI nel suo discorso inaugurale ad Aparecida: “All’inizio della nuova tappa che la Chiesa missionaria dell’America Latina si dispone a intraprendere […] è condizione indispensabile la conoscenza profonda della Parola di Dio”. In quell’occasione, il Pontefice parlò anche dell’urgente necessità di “basare il nostro impegno missionario e tutta la nostra vita sulla roccia della Parola di Dio”(DA 247). Nell’attuale contesto dell’America Latina e dei Caraibi è necessario e urgente che il progetto formativo e la programmazione dei seminari, oltre a privilegiare la formazione accademica alle Sacre Scritture, si curi maggiormente di formare i giovani a una spiritualità biblica solida, facendo un uso creativo di tutti i mezzi a disposizione e dando particolare rilievo alla Lectio Divina. La sfida è far sì che i futuri presbiteri, sin dalla loro formazione iniziale, imparino a confrontare le proprie vite nello specchio della Parola di Dio e raggiungano la conoscenza di Dio alla sorgente viva della sua Parola. A questo scopo è necessario che imparino a essere sempre e profondamente in contatto con la Parola di Dio non solo per motivi funzionali, ovvero per ragioni accademiche o pastorali, ma affinché tale elemento costitutivo e strutturale forgi il loro progetto di vita durante la formazione iniziale e continui a farlo anche quando saranno diventati presbiteri.
D’altro canto, pur senza mai rinunciare all’elevato livello di studi biblici che si richiede a un futuro pastore, non possiamo dimenticare che il suo lavoro si svolgerà innanzitutto nella comunità ecclesiale. Ciò rende altresì necessaria e urgente una preparazione scrupolosa per poter realizzare un’adeguata “animazione biblica della pastorale”, senza perdere di vista che il dono della Parola profetica richiede, per sua natura, ministri che siano pedagogisti della fede e che sappiano porre “all’inizio” di ogni attività della Chiesa il seme vivente e vivificante della Parola Sacra. Infine, è necessario che i futuri presbiteri imparino a cibarsi ogni giorno del Pane della Parola e a incontrare Cristo nelle Sacre Scritture. Solo in questo modo potranno forgiare una spiritualità solida e vigorosa, alimentata dal Vangelo, e saranno capaci di far sì che la Parola di Dio sia veramente “l’anima dell’evangelizzazione e dell’annuncio di Gesù a tutti” (DA 248).

– S.E.R. Mons. Lucio Andrice MUANDULA, Vescovo di Xai-Xai (MOZAMBICO)

Riprendendo l’accurato richiamo di GIOVANNI PAOLO II all’umanità :”Popoli tutti, aprite le porte a Cristo! Il suo vangelo nulla toglie alla libertà dell’uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c’è di buono in ogni religione” (RM 3) e considerando che lo “scopo primario di questo Sinodo è di dedicarsi al tema della Parola con la quale ‘Dio invisibile (cf. Col1, 15; 1 Tim 1, 17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es 33, 11; Gv 15, 14-15) e si intrattiene con essi (cf. Bar 3, 38), per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé’ (DV 2)”, ci sembra che il più grande contributo che questa Assemblea Sinodole potrebbe offrire alla Chiesa sia quello di ricuperare la rilevanza della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Non tutti i fedeli conoscono la Parola di Dio ed è urgente che vengano iniziati ed incoraggiati alla lettura e meditazione più frequente della Bibbia. L’ascolto della Parola di Dio nell’ambito delle celebrazioni eucaristiche, non riesce infatti a soddisfare ciò che la Dei Verbum vivamente raccomanda: “È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla sacra Scrittura” (DV 22). Bisogna quindi che tutta la Chiesa s’impegni in una pastorale biblica d’insieme, svolta a far sì che ogni singola famiglia cristiana, oltre ad aver la Parola di Dio tradotta nella propria lingua, possa accedere al suo più elementare significato, in modo da poter trasmettere ai propri figli, di generazione in generazione, il vero contenuto della Parola Salvifica di Dio, Gesù Cristo il Verbo incarnato.

– S.E.R. Mons. Ramzi GARMOU, Arcivescovo di Teheran dei Caldei, Presidente della Conferenza Episcopale Amministratore Patriarcale di Ahwaz dei Caldei (IRAN)

Tutta la Bibbia, dal libro della Genesi fino all’Apocalisse, ci dice che la fedeltà alla Parola di Dio conduce alla persecuzione. Il primo perseguitato per eccellenza è Gesù stesso, il quale ha conosciuto la persecuzione sin dai primi giorni della sua nascita fino alla morte sulla croce. Secondo il Vangelo, la persecuzione è considerata il segno più eloquente della fedeltà alla Parola di Dio. La crescita della Chiesa e il suo progresso nel cammino dell’evangelizzazione dei popoli sono frutto della persecuzione che essa ha subito in ogni luogo e in ogni tempo. Gesù, nel Vangelo, ci parla con molta chiarezza della persecuzione (Lc 21, 12-19). Preghiamo lo Spirito Santo affinché, in questo Anno Paolino, doni alla Chiesa del terzo millennio la grazia e la gioia di fare una esperienza autentica della persecuzione a causa della sua fedeltà alla Parola di Dio.

– S.E.R. Mons. Fidèle AGBATCHI, Arcivescovo di Parakou (BENIN)

È bello che il Santo Sinodo mantenga salda la stretta identificazione della Parola di Dio con la Persona di Gesù Cristo, di modo che ciò che viene detto del divenire della Parola viene affermato anche del ciclo del Verbo Incarnato. Su questa base, il ciclo del Verbo, nelle diverse fasi che conosce il suo incontro con la cultura umana, potrebbe essere così riassunto:
– Quando il Verbo si fa carne, entra nella cultura umana, s’incultura. Così facendo, agi
sce per libera decisione, fondata sull’Amore che ci varrà la salvezza di Dio. L’inculturazione non parte dunque soltanto da una certa pratica legata all’apostolato o alla liturgia, ma soprattutto da un’iniziativa d’amore di Dio per salvare l’uomo caduto nel peccato. Il primo a compiere l’inculturazione nella sua forma più perfetta è quindi Gesù Cristo, inculturazione fatta persona.
– Inculturandosi, il Verbo si accultura; Lui, che è non-cultura accetta di sposarne una – che del resto è macchiata dal peccato – e di subirne l’influenza.
– Inculturandosi, il Verbo accultura. La cultura umana non può non subire l’influenza del Verbo
che viene a lei. Il Verbo propone e imprime la sua influenza divina, il che presuppone che la cultura si apra per accogliere tale influenza e acquisire qualcosa della divinità.
In tutto questo processo, il Verbo decultura. Come il vignaiolo pota la vigna, il Verbo intende sradicare dalla cultura gli elementi non conformi alla sua immagine. È ciò che fa Jahvé quando intima a Israele di non dire più nella sua terra: “I padri han mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati!”. È la stessa lotta che conduce Gesù Cristo cercando di sradicare dalla cultura il peccato e le sue conseguenze. Ora, Gesù porta avanti questa lotta fino alla distruzione di quel Tempio che si propone di ricostruire in tre giorni. E come il Tempio del suo Corpo risorge dal sepolcro, così la cultura deculturata acquisisce la promessa di vita attraverso la risurrezione di Cristo.
È a questa complessa avventura pasquale che si trova invitato il processo dell’inculturazione, del quale occorre discernere in modo simultaneo e adeguato tutte le fasi, per non rischiare deplorevoli derive nella pratica.
Come l’Incarnazione è il futuro del mondo, così l’inculturazione è il futuro di ogni forma di apostolato, sia esso biblico, kerigmatico o sacramentale. In tal senso, mi permetto di proporre alcuni suggerimenti:
– Che il kerigma si rivesta oggi dello stesso tono escatologico che aveva ai primordi della Chiesa. Il futuro della fede è in cielo, ma il cielo è già in terra con la salvezza in Gesù Cristo. Che ciò sia insegnato e vissuto!
– Che il metodo dell’inculturazione si inscriva sul drittofilo dell’impulso innescato dal Verbo nell’Incarnazione, da colui che abbiamo definito l’Inculturazione fatta persona.

– S.E.R. Mons. Dionisio LACHOVICZ, O.S.B.M., Vescovo titolare di Egnazia, Vescovo di curia Kyiv-Halyč (UCRAINA)

La prima osservazione riguarda l’unità fra Parola e Battesimo, e queste con l’Eucaristia:
Si dice nell’ Instrumentum laboris, che “sono due le realtà che uniscono i cristiani: la Parola di Dio e il Battesimo”. Ci vorebbe un approfondimento, perché così come stà somiglia a una mezza-unità. giacchè, nel numero 35, viene scritto che esiste anche un’intima unità fra Parola e Eucaristia, con l’appoggio delle citazioni della Tradizione della Chiesa: “Corpus Christi intelligitur etiam Scriptura Dei “, oppure le parole di San Girolamo: “È infatti vero cibo e vera bevanda la parola di Dio che si attinge dalla conoscenza delle Scritture”. Anche il Concilio Vaticano II afferma che Parola e Eucaristia è un “solo atto di culto” (SC 56).
In sintesi, si afferma l’intima unità fra Parola e Battesimo come anche fra Parola ed Eucaristia.
Posti così i termini, diventa difficile capire dal punto di vista dell’ ecumenismo, perché non si può concelebrare il sacramento della Eucaristia con gli Ortodossi (per esempio), quando si può celebrare con loro il sacramento della Parola di Dio ed avere in comune il Battesimo. Se c’è questa unità fra Parola, Battesimo e Eucaristia, perché negare la comunione Eucaristica?
Dall’altra parte, con la stessa logica di unità, però all’inverso, come ha detto un arcivescovo Ortodosso (Agostino di Lviv, della Commissione teologica del Patriarcato di Mosca), quando non esiste la comunione Eucaristica, non si può neanche celebrare la Parola insieme, nè pregare il “Padre Nostro” insieme ai cattolici. Così con questa logica, da parte degli Ortodossi, non si ammetterà come valido il Battesimo dei cattolici, come si è affermato qualche volta negli incontri ecumenici. E non è possibile neanche chiamarsi “fratelli” a vicenda.
Una seconda osservazione relativa al “Ecumenismo e Parola di Dio”:
Come possiamo leggere e commentare la Parola di Dio con le altre Confessioni, per esempio, il brano “perché tutti siano una sola cosa” (Gio 17, 20), quando non possiamo incarnare questa Parola? La Parola diventa sterile. Quando non sei capace o non vuoi incarnare questa Parola, allora perché leggerla? Papa Benedetto XVI dice appunto che il mondo attende una “risposta all’ascolto della Parola” (Inst. 54).
Abbiamo una certa impressione, che tutto quello che è detto sull’ecumenismo, viene detto per altri, per un “terzo”, nel momento del dire assente. Come se questa Parola potesse fare un miracolo, ma noi, restiamo gli stessi.
Un esempio, in Ucraina abbiamo fatto una traduzione ecumenica della Bibbia, con la collaborazione degli Ortodossi e Protestanti, ma non possiamo pregare nè celebrare insieme con loro.
E la terza osservazione:
Altrettanto, mi pare che si corra anche il pericolo di strumentalizzare la Parola di Dio. Questa può divenire uno “strumento” di discussione, di studio, di dialogo, di incontro, anche di preghiera comune, ma resta superficiale, non ha forza per cambiare, non porta al comune mistero della celebrazione della Parola, non diventa carne-sarx, cioè non si incarna nella vita della persona e della propria Chiesa. Si può sapere a memoria tutta la Bibbia, discuterla con competenza, ma restare fuori di essa, non nutrirsi di essa, non essere incorporato in Cristo, non essere battezzato in Cristo.Forse questo distacco tra la Parola e la vita è il vero impedimento per la unità dei cristiani. Le Chiese proferiscono le parole, ma non danno alla Parola di Dio la testimonianza di queste parole. La Parola forse è troppo “canonizzata”, sterilizzata, che impedisce la diaconia, la koinonia, e anche la martiria. Pertanto, ci vuole una responsabilità davanti alla Parola di Dio. Senza dubbio, si parla molto della responsabilità di portare la Parola agli altri, della predicazione della Parola, ma forse si parla meno della responsabilità della persona che la predica, della propria Chiesa e delle Chiese davanti alla Parola di Dio. Come si può capire allora il detto che la Parola di Dio si legge nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa? Forse si deve prendere con più serietà il monito di San Paolo: “Chi viene istruito nella dottrina, faccia parte di quanto possiede a chi lo istruisce. Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio” (Gal 6, 6s).

– S.E.R. Mons. Berhaneyesus Demerew SOURAPHIEL, C.M., Arcivescovo Metropolita di Addis Abeba, Presidente della Conferenza Episcopale, Presidente del Consiglio della Chiesa Etiopica (ETIOPIA)

1) La Parola di Dio è stata la fonte della letteratura etiopica. La Bibbia è stata tradotta in etiopico tra il IV e il VI secolo.
2) Alcuni libri sono conservati nella loro interezza solo in etiopico classico e alcune parti del canone biblico etiopico sono preziose per gli studi biblici.
Il Libro di Enoch e il Libro dei Giubilei sono opere importanti per comprendere il contesto del giudaismo del secondo tempio, Qumran e le origini del cristianesimo. Sono importanti anche per lo studio della letteratura apocalittica.
3) La Società Biblica etiopica sta facendo molto per la traduzione della Bibbia nelle lingue locali e regionali (compresi cassette, CD, un apparecchio chiamato “Proclaimer”, che addirittura funziona a energia solare).
I membri della commissione della Società Biblica sono24: 8 della Chiesa ortodossa etiopica Tewahedo, 8 della Chiesa cattolica e 8 della Chiesa evangelica. Questo è un buon esempio di cooperazione ecumenica. Attualmente la commissione è presieduta da un cattolico.
4) Esiste il progetto di un’edizione cattolica della Bibbia in amarico, la lingua ufficiale
dell’Etiopia (vicina alla New Revised Standard Version e alla Bibbia di Gerusalemme), che ha urgente bisogno di finanziamenti.
5) Corso biblico a distanza: organizzato dall’arcidiocesi di Addis Abeba. Circa 3500 fedeli di Addis Abeba e dintorni partecipano a questo corso. L’arcidiocesi propone anche un corso biblico annuale, che si svolge tutti i sabati presso la cattedrale della Natività di Nostra Signora ad Addis Abeba.

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ZENIT Staff

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