Interventi al Sinodo del pomeriggio del 7 ottobre

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 8 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo le sintesi degli interventi pronunciati al Sinodo dei Vescovi sulla Parola il pomeriggio del 7 ottobre, quarta congregazione generale.

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– S.E.R. Mons. Maurice PIAT, C.S.Sp., Vescovo di Port-Louis (MAURIZIO)

La crisi della trasmissione della fede nelle società della “Cristianità” si spiega in gran parte con il fatto che, in queste società, la Chiesa, godendo di una certa sicurezza, ha avuto la tendenza a considerare la fede come scontata, a privilegiare l’insegnamento della dottrina e a trascurare la Parola di Dio nel processo di trasmissione.

Non poggiando sulla Roccia della Parola, l’edificio dottrinale e morale diventa una casa costruita sulla sabbia e resiste a fatica agli tsunami della cultura numerica moderna.

Da qui l’urgenza di ritrovare il posto della Parola di Dio come fondamento della vita e della missione della Chiesa.

La Parola è fondamento quando è accolta come l’evento di Dio che ci parla di sé stesso e si rivolge a noi come ad amici per invitarci a condividere la sua vita. Questa parola non cerca affatto di convincere degli spiriti curiosi, ma di suscitare la fede nel cuore degli umili.

Così proporre la fede non è per prima cosa trasmettere un contenuto impressionante, ma un invito che è sempre unito a una promessa, “venite e vedrete”. La missione è dunque di invitare a mettersi in cammino come un umile pellegrino.

– S.E.R. Mons. George PUNNAKOTTIL, Vescovo di Kothamangalam dei Siro-Malabaresi (INDIA)

L’approccio delle Chiese orientali segue maggiormente la linea pastorale (ai Padri delle Chiese orientali viene dedicata poca attenzione nel Documento di lavoro, solo otto citazioni!).

La Chiesa nella tradizione patristica sottolinea due aspetti: 1) ecclesiale, 2) spirituale. La Bibbia è la Parola di Dio nella Chiesa. Le persone da sole non possono scoprire l’ispirazione o decidere il canone. Questi sono garantiti dalla Chiesa. La Parola di Dio è custodita nella tradizione. Tuttavia, la Bibbia non ha bisogno del sostegno della tradizione per affermare la sua autorità e verità. La tradizione è radicata nelle Sacre Scritture ed è sostenuta dalle Sacre Scritture. Una tradizione contraria alla Bibbia non regge. La Bibbia è la fonte primaria della dottrina e della fede.

In secondo luogo, la Bibbia ha un significato storico e spirituale. Il significato spirituale non è contrario al significato letterale. Si fonda su di esso. Il significato spirituale è riconosciuto dall'”intelletto spirituale”. Viene visto dall’ “occhio interiore della fede”. Non basta il ragionamento. È necessaria la contemplazione spirituale della Parola. I veri teologi sono veri santi.

La lettura presuppone uno stato orante. La preghiera illumina la mente affinché comprenda ciò che viene letto. La lettura della Parola dovrebbe condurre alla Parola sostanziale, che è Gesù.

– S.E.R. Mons. Guillermo José GARLATTI, Arcivescovo di Bahía Blanca (ARGENTINA)

La divisione tripartita che il Documento di Lavoro presenta sulla Parola di Dio mi sembra ottima. Si tratta di un approccio di tipo eminentemente teologico-pastorale e che risponde alle grandi sfide della Chiesa di oggi che, vivificata dallo Spirito, è chiamata ad assumere l’impegno di manifestarsi autenticamente come sacramento di Gesù Cristo.

Ho l’impressione, tuttavia, che manchi unità interna nello sviluppo delle tre parti, il che fa sì che esse, così come i temi trattati, sembrino giustapposte o sovrapposte e senza un chiaro rapporto di continuità fra loro per la mancanza di una base teorica unificatrice. Per superare tale problema, ritengo che la “bella nozione di ‘storia della salvezza’” (cf IL 10) potrebbe trasformarsi nella categoria teologica e nel nucleo in modo che possa fare da fattore unificante.

L’espressione “storia della salvezza” appare tre volte nell’IL (n. 10,25 e 34), ma non si ha l’impressione che poi venga sviluppata e tenuta sufficientemente in considerazione. Si tratta di un concetto biblico e teologico di grande ricchezza e varietà di significato, perché mette in rilievo molto decisamente il modo di agire di Dio (pedagogia divina) nei successivi interventi salvifici: creazione, elezione e formazione del Popolo di Dio, alleanza, Cristo come centro e culmine della Rivelazione, Chiesa.

Il concetto di “storia della salvezza”, inteso come elemento trasversale su cui poggia tutta l’azione salvifica di Dio, è senza dubbio la categoria più appropriata per spiegare e comprendere la pedagogia divina che si esprime “parlando”, “agendo” e “dialogando”, ma senza perdere di vista che “la profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione” (DV 2).

– S.E.R. Mons. Sylvester Carmel MAGRO, O.F.M., Vescovo titolare di Salde, Vicario Apostolico di Benghazi (LIBIA)

Molti fedeli non sono consapevoli del ruolo della Chiesa nella formazione del Canone delle Scritture.
Sono consci dell’importanza che la Chiesa attribuisce alla Parola di Dio, ma non riescono ad apprezzare il ruolo del Magistero nell’identificare il “canone” dei Libri Sacri.

Non comprendono che, in ultimo, è stata la Chiesa ad autenticare la Bibbia.

In effetti, la Bibbia presuppone la Chiesa e dipende dalla Chiesa per la sua autenticazione… La Chiesa ha preceduto le Scritture.

Pertanto, occorre spiegare al popolo di Dio che, in ultimo, era necessario che vi fosse “una qualche autorità” capace di determinare quali libri dovevano essere considerati autentici o ispirati da Dio e quindi inclusi, in particolare, nella lista ufficiale o “canone” del Nuovo Testamento, escludendo tutti gli altri come “apocrifi”, ossia privi dell’ispirazione divina.

“È stata l’Autorità della Chiesa che effettivamente ha autenticato i libri che oggi consideriamo come facenti parte della nostra Bibbia. Questo processo d’identificazione è durato quasi cinque secoli.

La Chiesa lo ha fatto dopo lunghe ricerche e ha preso le decisioni in concili locali e regionali, nel corso dei quali la questione è stata esaminata in profondità”.

Il “canone” cristiano completo, o elenco delle Scritture del Nuovo Testamento, è stato codificato da sant’Atanasio nel 367, ma è stato universalmente accettato solo con il Sinodo di Roma nel 380 e i Concili di Ippona e di Cartagine (417).

“È la Chiesa che è venuta prima delle Scritture; è la Chiesa che ha prodotto le Scritture con l’aiuto divino e ne ha conservato l’integrità in mezzo ai pericoli della persecuzione e dell’eresia; è la Chiesa che ha raccolto le Scritture in un libro, un libro che sostiene tutti coloro che si definiscono cristiani” (Scott Hahn).

– S.E.R. Mons. José Miguel GÓMEZ RODRÍGUEZ, Vescovo di Líbano-Honda (COLOMBIA)

La struttura ontologica dell’essere umano, di ciascun essere umano, di tutti gli esseri umani, è essenzialmente dialogica. Questa costituzione della persona umana dipende, in primo luogo, dalla sua condizione di creatura. Dio ci ha creati perché entriamo in dialogo con Lui. Nel profondo del nostro essere scopriamo una dinamica dialogale che ci rende diversi dagli altri esseri della nostra esperienza. E, così, la nostra esistenza personale è, prima di tutto, di ascoltatori. L’essere umano è reso tale dalla sua capacità di ascoltare Dio. Ancor più, la persona raggiunge la sua identità e la sua dignità fondamentali nell’ascolto della Parola di Dio e nella straordinaria capacità di rispondere ad essa con tutto il suo essere, la sua intelligenza e la sua volontà.

È necessario che la Chiesa ricordi all’umanità queste verità in modo da trovare le soluzioni che ancora non trova. E urge stabilire i criteri più adeguati per l’interpretazione autentica della Parola rivelata. L’interpretazione della Bibbia sfugge al capriccio dei relativismi moderni, perciò è scomoda per molti. L’evangelizzazione e la missione ad gentes sono imprescindibili e richiedono tutto lo z
elo dei cristiani che sanno che l’ascolto e la ricezione attenta della Parola sono necessari per la vita del mondo.

– S.E.R. Mons. Orlando B. QUEVEDO, O.M.I., Arcivescovo di Cotabato, Segretario Generale della “Federation of Asian Bishops’ Conferences” (F.A.B.C.) (FILIPPINE)

Riferimento: nn. 12 e 13 del Documento di lavoro. Dio ha pronunciato la sua Parola specialmente per il bene dei poveri (p. es. Am 2, 6-7; 4, 1; 5, 10-11; 8, 4-7; Ger 34, 8-17; Is 11, 4). Egli è stato loro rifugio e loro liberatore. Gesù, Verbo Incarnato, nato da Maria, era povero, ha vissuto con i poveri, è stato in mezzo a loro e a quanti erano considerati peccatori. Sono diventati suoi discepoli e li ha chiamati beati. A loro ha proclamato il Regno di Dio. Ha detto che dobbiamo essere poveri di spirito.

Incredibilmente ricchi di uno splendido mosaico di antiche culture e religioni, noi in Asia siamo però comunque un continente di poveri, di squilibri economici e politici, di divisione etnica e di conflitto. Il nostro profondo senso di trascendenza e di armonia viene eroso da una cultura secolare e materialista globalizzante.

Tuttavia, la Parola di Dio in Asia chiama verso il Padre, nello Spirito Santo, migliaia di piccole comunità di poveri. E i poveri, a loro volta, ascoltano la Parola di Dio. Così facendo, stanno costruendo un “modo nuovo di essere Chiesa” – che in realtà è un modo antico – cioè il modo della prima comunità di Gerusalemme (v. At 2, 43-46 e 4, 32-35). Guidati dai loro Pastori ordinati e da guide laiche e collaboratori preparati, le persone semplici ogni settimana si riuniscono nelle cappelle e nelle case per celebrare il servizio della Parola. Ascoltano la Parola di Dio, riflettono sulla Parola, pregano sulla Parola e discernono insieme come applicare la Parola alla loro vita quotidiana. Ricevono Gesù nell’Eucaristia per mano di ministri straordinari laici della Santa Comunione adeguatamente formati.

Per loro, la Parola di Dio rafforza la fede e li esorta a partecipare attivamente alla vita della Chiesa e ai cambiamenti sociali. Costituiscono comunità ecclesiali di base, trasformando le famiglie, le parrocchie e le diocesi in comunità vive, e testimoniando la Parola di Dio in un ambiente multireligioso molto spesso ostile. Sono comunità di solidarietà e fraternità che, nel loro piccolo, sfidano in modo efficace la cultura moderna del secolarismo e del materialismo.

In una certa misura possono ancora adesso riecheggiare le parole di Giovanni, il discepolo che Egli amava: “quod vidimus et audivimus annuntiamus et vobis, ut et vos communionem habeatis nobiscum. Communio autem nostra est cum Patre et cum Filio eius Jesu Christo” (1 Gv 1, 3).

– Rev. P. Giorgio NALIN, R.C.I., Superiore Generale dei Rogazionisti del Cuore di Gesù

Consideriamo la dimensione vocazionale della Parola di Dio secondo una doppia prospettiva: a) la Parola di Dio è appellante per se stessa, in quanto agisce in modo efficace nel cuore di coloro che la accolgono; b) la Parola di Dio contiene figure, storie e riflessioni che raccontano le chiamate di Dio nei riguardi di personaggi biblici in vista di una missione: tutte le chiamate hanno come modello l’unica e definitiva vocazione e missione del Figlio Gesù Cristo, in cui si porta a compimento il progetto salvifico del Padre.

Occorre sottolineare come la definizione di «vocazione» ha a che fare con il divenire della persona umana in quanto tale, dall’ attimo della sua nascita alla conclusione della sua esistenza. Pertanto ciascuna persona, per il fatto che vive nel mondo, è amata da Dio ed è chiamata a realizzarsi secondo un progetto di amore che dà senso al proprio esistere. Secondo la concezione biblica l’uomo «non ha la vocazione» come fosse un bene di possesso, bensì «deve maturare la propria vocazione» in una graduale scoperta da compiere in relazione al progetto di Dio. Da qui l’esigenza di riporre al centro il ruolo della Parola di Dio, che illumina il cammino vocazionale di ciascuna persona. L’incontro con la Parola produce alcune conseguenze:

– Una prima conseguenza è di tipo antropologico: la Parola donata alla libertà dell’uomo, definisce l’essere umano come una «identità responsoriale».

– L’accadere della Parola pone in evidenza la valenza teologica in quanto la Parola di Dio comunicata mediante la Sacra Scrittura apre l’uomo alla trascendenza di Dio, all’essere stesso del mistero trinitario.

– La Parola di Dio, e segnatamente la Sacra Scrittura, assumono un ruolo pedagogico, educando l’uditore ad ascoltare la Parola, a confrontarsi con il suo messaggio, a discernere la proposta e a prendere posizione di fronte a se stesso e alla sua storia.

– La Parola trova nel contesto della preghiera liturgica la sua forma più alta e profonda. L’accoglienza della Parola implica l’atteggiamento di accoglienza e di silenzio interiore.

– La dimensione testimoniale della Parola di Dio: essa chiede di essere declinata non solo all’interno della comunità cristiana, ma nella missione verso il mondo e nell’ evangelizzazione dei popoli.

– S.E.R. Mons. Desiderius RWOMA, Vescovo di Singida (TANZANIA)

La Parola di Dio come inno di molte voci. A questo proposito è opportuno ricordare le parole di sant’Agostino, il grande vescovo africano. In Johannes Tractatus 12, 5 sant’Agostino afferma: “Sonat Psalmus, vox est Spiritus. Sonat Evangelium, vox est Spiritus. Sonat Sermo divinus, vox est Spiritus”.
È interessante notare che il grande santo afferma chiaramente che il Salmo, il Vangelo e l’omelia (predicazione) sono tutte voci dello Spirito. Tuttavia, è sorprendente che quando menziona il sermone/predica/omelia, lo definisce “Sermo divinus”. Questo mostra l’importanza che sant’Agostino attribuisce all’omelia e alla predicazione in generale. Ciò che sant’Agostino dice, rispecchia l’atteggiamento di tutti i Padri della Chiesa. Per esempio, per la sua predicazione, Giovanni di Antiochia è stato chiamato Crisostomo, ovvero bocca d’oro. Si narra che perfino i pagani si recassero ad ascoltare le predicazioni di san Gregorio Nazianzeno. La sua predicazione gli valse il nome di o theologos, ovvero il teologo che parla in nome di Dio.

L’atteggiamento dei Padri della Chiesa verso la Parola e la predicazione rappresenta per noi una sfida. Quando parliamo di persone tiepide riguardo alle questioni della nostra fede e del fenomeno delle sette religiose, che si stanno diffondendo ad una velocità preoccupante in molte parti del mondo, forse le cause possono essere fatte risalire alla mancanza di una predicazione buona e adeguata da parte dei ministri.

Ai fedeli cristiani, lo facevano attraverso una mistagogia permanente e ai catecumeni attraverso una catechesi intensiva. La loro predicazione era irresistibile. Predicavano sempre per celebrare il Risorto.
Con enfasi, il Concilio Vaticano II afferma che attraverso l’omelia “vengano presentati i misteri della fede e le norme della vita cristiana…” (SC 52). Il Sinodo sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa è un momento propizio per riflettere su questo e sulla predicazione della Chiesa in generale. Dobbiamo ritornare alla predicazione mistagogica dei Padri della Chiesa, che aiuta la Chiesa a generare figli e figlie e a nutrirli guidandoli nei misteri della nostra fede.

– S.E.R. Mons. Anicetus Bongsu Antonius SINAGA, O.F.M. Cap., Arcivescovo Coadiutore di Medan (INDONESIA)

Giustamente, apprezziamo il testo biblico scelto per accompagnare il nostro sforzo durante questo Sinodo universale dei Vescovi, che annuncia “infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito” (Eb 4, 12). Infatti uno degli officia fondamentali del Vescovo è di adoperarsi “a che i fedeli sostengano e promuovano con ardore le opere di evangelizzazione e di apostolato” (CD
, n. 6).

Senza menzionare le vere ragioni, noi Vescovi siamo di fronte a una specie di intorpidimento della Parola di Dio e, a volte, essa diventa inefficace. Fa parte del nostro compito pastorale cercare e presumibilmente fornire risposta e modi per non perdere il recupero e l’attualizzazione della “acutezza e funzionalità” della Parola di Dio. Si dovrebbe tentare di fare in modo che “la parola del Signore si diffonda e sia glorificata” (2 Tess 3,1). Questo compito fa parte dell’apostolato biblico.

Mentre vogliamo che “tutti… conservino un contatto continuo con le Scritture mediante una lettura spirituale assidua e uno studio accurato” (Dei Verbum, 25), è anche vero che, mentre la nostra era è privilegiata dalla disponibilità della Bibbia in lingue nazionali e vernacolari, allo stesso tempo, soprattutto la gente dei nostri tempi è carente nella lettura e nella conoscenza delle questioni riguardanti la Sacra Scrittura. È auspicabile dunque che il Sinodo dei Vescovi si impegni seriamente nella ricerca di vie e metodi per superare questa incapacità e questa preoccupazione del credente.

In Indonesia è stato fatto il tentativo di costituire una Commissione Biblica della Conferenza dei Vescovi. Ciò è stato fatto per proporre il compito già trasmesso di pastorale biblica all’Associazione Biblica, non sotto l’autorità dei Vescovi.

Allo stesso tempo la Conferenza dei Vescovi ha disposto due tipi di formazione biblica: formazione stampata e formazione di gruppo. Preparando materiali stampati ed elettronici (CD) su temi particolari – l’attuale tema biblico annuale è “La Sacra Scrittura per i bambini” – è stato organizzato un team nazionale di formazione per la formazione e la preparazione di tali gruppi di formatori, a livello diocesano. La forma di tale esercizio, che inoltre formerà questo team a livello delle parrocchie e delle stazioni esterne, è intenzionalmente organizzata con un carattere di formazione partecipativa attiva. Tutti i componenti parteciperanno alla drammatizzazione biblica sacra, memorizzando numerosi versi della Scrittura sotto forma di canto e di declamazione. In tal modo il materiale preparato non è costituito solo da testi biblici, ma anche da materiale per la recitazione, la rappresentazione sacra, da CD, da strumenti musicali locali, compresa la Bibbia per la lettura.

Attraverso i programmi Internet, è possibile accedere a una serie di manuali elettronici. Si sta cercando di portare avanti la Lectio divina, adattando modi partecipativi motori, intervallandola con una meditazione musicale interiorizzante appropriata o con il silenzio. Specialmente per i bambini la celebrazione domenicale viene preparata come una formazione liturgica attiva, alternando la Parola di Dio e la Santa Messa.

C’è molto da fare. Tuttavia in tale celebrazione è sempre presente un carattere di gioiosa festosità attiva, una sfumatura di lieta Pasqua della nostra funzione domenicale per i bambini. Nel favorire gioia, comunicatività, visualità, udito e partecipazione attiva motoria di questa generazione della globalizzazione, non trascuriamo di osservare che i nostri fanciulli non vogliono perdere la funzione domenicale. E, in modo più ampio, fanno anche un lavoro missionario, invitando bambini di altre fedi interessati e giungono ad amare la ricerca del testo biblico nella Sacra Scrittura.

– S.E.R. Mons. Salvatore FISICHELLA, Vescovo titolare di Voghenza, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita; Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense (CITTÀ DEL VATICANO)

La Dei Verbum non è ancora stata scoperta e sviluppata nella sua grande intuizione che ha costituito un autentico progresso dogmatico; i Padri conciliari, infatti, avevano recuperato il concetto biblico dell’unicità della fonte. Questo ha permesso di comprendere la sacra Scrittura inserita all’interno della vita della Chiesa che non solo vive di essa, ma di essa ne ha la responsabilità perché sia mantenuta viva, integra e feconda. Molti credenti interrogati su cosa intendono con “Parola di Dio” rispondono: la bibbia. La risposta non è sbagliata, ma è incompleta o almeno manifesta una incompleta percezione della ricchezza presente nell’espressione e porta come conseguenza a identificare il cristianesimo come la “Religione del libro”. È necessario che nel nostro linguaggio non si cada nell’equivoca espressione “Le tre religioni del libro”. Il cristianesimo è religione della “parola”.È importante impegnarsi perché si costruisca una cultura che vede la sacra Scrittura come una parola viva, dinamicamente aperta alla verità della rivelazione in essa contenuta. Se non presentiamo nella sua globalità questo insegnamento nei diversi strumenti che possediamo per la formazione del nostro popolo, rischiamo di umiliare la Parola di Dio perché la riduciamo esclusivamente a un testo scritto senza più la forza provocatrice di portare senso alla vita. Come ricorda l’apostolo: “La parola di Dio non è incatenata” (2 Tm 2,9).

Siamo sempre dinanzi all’inesauribilità della Parola di Dio; essa è come il roveto che arde e non si consuma. Siamo chiamati a esercitare un ministero che permetta di accedere a questa Parola di vita così che ogni persona in ogni luogo della terra ne possa cogliere il senso profondo in modo tale da ottenere la salvezza. In un periodo come il nostro in cui permangono tentativi per emarginare i testi sacri come portatori di senso perché identificati come miti, privi di carattere storico e destinati solo agli ingenui, è importante che si ritrovino le forme necessarie per restituire valore storico e provocazione circa il senso dell’esistenza. Siamo dinanzi realmente a una emergenza educativa che riporti al centro della nostra vita di fede il tema della salvezza. È sempre la Dei Verbum a ricordare che quanto è stato trasmesso e scritto “annuncio della salvezza” (DV 7). Le diverse tendenze culturali che sono presenti nel tessuto odierno non solo hanno snaturato il senso della salvezza ma lo hanno emarginato come inutile e illusorio. Ripresentare la Parola di Dio nella sua globalità comporta orientare il suo insegnamento finalizzato al tema della nostra salvezza.

– S.E.R. Mons. Filippo SANTORO, Vescovo di Petrópolis (BRASILE)

1. La Parola di Dio è un fatto; è la persona di Gesù Cristo che gli Apostoli hanno incontrato quando camminava lungo il mare della Gallilea e che la Chiesa proclama come uno che può essere incontrato oggi nelle strade della nostra vita.

C’è una sfida che questo annunzio deve superare; la sfida è innanzitutto antropologica. E cioè se questo fatto si dimostra capace di superare lo spazio e il tempo come qualcosa che non decade, che non si logora e risponde in maniera unica e singolare all’attesa del cuore dell’uomo. L’esperienza mostra che le cose brillano e col tempo si consumano; già diceva l’antico poeta greco Mimnermo “come le foglie che fa germinare la stagione della primavera” e con lui, Arnault, Leopardi e la letteratuta di tutti i tempi. Anche l’io decade e ciò che ci aveva affascinato, col tempo perde valore, si consuma o non ci attrae più. La grande domanda, che anche la cultura contemporanea non puó negare, è se esiste qualcosa che realizzi pienamente le esigenze del cuore e che duri nel tempo, per sempre.

2. La dinamica dell’incarnazione pone l’altra sfida che è importante approfondire: la sfida del metodo. La Parola fatta carne indica non solo un contenuto salvifico, ma anche un metodo mediante il quale gli apostoli cominciano a capire se stessi. Nell’ incontro con Gesù si risveglia qualcosa che in loro era addormentato e cominciano a intravedere qualcosa di positivo per il loro destino. Il metodo implicato dall’incarnazione, tema questo particolarmente sviluppato da Don Giussani, è il seguire quell’avvenimento in cui il miracolo si fa presente. In tutti gli incontri biblici con Giovanni, Andrea, Pietro, Zaccheo, la Samaritana… seguendo quell’uomo si incontrava altro,
il destino, il Padre. Questo stesso metodo continua dopo la risurrezione attraverso l’incontro con il corpo visibile di Cristo, la Chiesa, avendo Pietro come capo.

Nella V Conferenza di Aparecida i Vescovi dell’America Latina, riprendendo il Discorso inaugurale di Papa Benedetto hanno detto: “La natura stessa del cristianesimo consiste, pertanto, nel riconoscere la presenza di Cristo e nel seguirlo. Questa è stata la meravigliosa esperienza di quei primi discepoli che, incontrando Gesù, rimasero affascinati e pieni di stupore dinanzi alla eccezionalità di chi parlava loro, dinanzi al modo come li trattava, dando risposta alla fame e sete di vita dei loro cuori. L’evangelista Giovanni ci ha raccontato, con forza icastica, l’impatto che la persona di Gesù produsse nei primi due discepoli, Giovanni e Andrea, che lo incontrarono. Tutto comincia con la domanda: “che cercate?” (Gv 1,38). Alla quale fece seguito l’invito a vivere um’esperienza: “venite e vedrete”(Gv 1,39). Questa narrazione rimarrà nella storia come sintesi Unica del metodo cristiano” (244).Per questa ragione, nell’ attuale discussione sui ministeri straordinari, ci permettiamo di osservare che questi, da soli, per se stessi, non suscitano l’incontro, ma possono finire per aumentare la burocratizzazione della Chiesa. Ciò che suscita l’incontro è solamente l’azione dello Spirito che, come dice la Lumen Gentium 12, è all’origine dei doni gerarchici e dei doni carismatici. Per mezzo dei carismi lo Spirito mostra attraente il volto di Cristo anche per l’uomo di oggi e suscita la sequela della Parola fatta carne.

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ZENIT Staff

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