Gendarmeria e guardia-svizzera - Foto © Wlodzimierz Redzioch

In Vaticano, il Giubileo della Guardia svizzera e della Gendarmeria

I due corpi pontifici hanno attraversato la Porta Santa di San Pietro e celebrato la Liturgia della Parola presieduta dal Segretario di Stato, Pietro Parolin

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I Gendarmi e le Guardie Svizzere del Vaticano, il corpo armato fedelmente al servizio del papato dal 22 gennaio 1506, celebrano oggi il loro Giubileo. Culmine della giornata, dopo la preghiera e il passaggio dalla Porta Santa della Basilica di San Pietro, insieme ai comandati e ai cappellani, è stata la Liturgia della Parola con il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin.
Nella sua omelia – riportata da L’Osservatore Romano – il porporato ha consegnato ai due corpi pontifici delle “nuove armi” per svolgere al meglio il loro servizio, un vero e proprio “arsenale segreto”, ovvero “il pane e il vino eucaristici, qualche Parola di vita, un piccolo rosario e una Porta Santa da attraversare”. Queste “armi” di Dio, “disponibili e alla portata di tutti”, sono “apparentemente deboli, eppure più forti di ogni astuzia umana e di ogni ostacolo”, ha detto Parolin.
Che ha sottolineato come la Basilica sia “anche un luogo di lavoro” per Guardie Svizzere e Gendarmi , dove essi svolgono le loro “importanti funzioni per assicurare ordine, tranquillità e decoro”. Servizi, ha fatto notare, che “sono per così dire silenziosi, perché nel momento in cui sono presenti non si notano; ad alcuni sembrano addirittura sorgere spontaneamente, mentre sono il risultato della lealtà, dedizione, professionalità e spirito di sacrificio di tutte le persone che, con il loro quotidiano lavoro, garantiscono la sicurezza all’interno dello Stato della Città del Vaticano, specie in tempi nei quali occorre la massima vigilanza”.
Celebrare insieme il Giubileo in una Basilica che è anche abituale luogo di servizio, significa dunque fare “una sosta per accostarsi a una sorgente d’acqua pura e riprendere il cammino con più slancio e sicura speranza” ha spiegato il cardinale. Soffermandosi poi sul gesto di varcare la Porta Santa, ha suggerito di riprendere in mano il racconto del pellegrino russo, “un bel libretto di spiritualità orientale” che “suggerisce la preghiera da ripetersi come un rosario al ritmo del respiro: ‘Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore'”. “Varcare la porta santa — ha spiegato il Segretario di Stato — significa lasciare fuori dalla casa del Signore e dalla nostra coscienza il male, la corruzione, il mondo del peccato, la vana pretesa di poter vivere come se Dio non esistesse, lontani da lui, senza fargli spazio nella vita reale e concreta, personale, famigliare, professionale e sociale”.
Al contempo significa “compiere un gesto profondamente ecclesiale, comunitario, poiché non siete entrati singolarmente e quasi privatisticamente, ma insieme ai vostri colleghi e accompagnati dai sacerdoti ai quali è stata affidata la vostra cura pastorale”. Inoltre, varcare la soglia della Porta Santa “ci mette in stretta relazione con tutti coloro che nel corso dei secoli, fin dal primo Giubileo, hanno compiuto questo gesto e in solidarietà con i defunti, ai quali potete applicare l’indulgenza plenaria”.
Si tratta, pertanto, di “un atto di fede, di carità e di speranza che apre a un rinnovamento della vita e a una più convinta sequela del Signore. Il vostro gesto – ha affermato il cardinale – manifesta infine che tutti abbiamo bisogno di sostare ai piedi della croce, di meditare la parola di Dio, che ogni essere umano ha bisogno della consolazione e della misericordia divina, che tutti siamo nelle mani del Signore”.
Ai due corpi pontifici, il primo ministro vaticano ha voluto quindi rammentare la loro duplice missione: “La prima è quella di rafforzare la vostra fede in Cristo risorto in modo da aprire, anzi spalancare a lui la porta del vostro cuore e permettergli di portarvi la pace, quella autentica e profonda che proviene dal sapersi amati e riconciliati con Dio; e la seconda missione è quella di svolgere al meglio delle vostre possibilità i compiti che vi vengono affidati”.
“Perché questo possa accadere — ha detto — è necessario mantenere la giusta fierezza per il fatto di essere scelti per un compito delicato, che va realizzato con alto senso di responsabilità e, d’altro canto, riconoscere che, nonostante la buona volontà di tutti, non sempre tutto potrà essere come dovrebbe”.
Ciascuno dei presenti ha ricevuto, al termine della celebrazione, una corona del rosario: “Rivolgetevi fiduciosi alla Vergine Maria, presentate a lei i vostri desideri e le vostre difficoltà, le vostre gioie e le vostre speranze. Fate uso del rosario per le vostre necessità e nelle prove”, ha esortato Parolin. E ha citato Dante Alighieri quando, nel canto xxxiii del Paradiso, “affermò che è tale la grandezza e il potere di Maria che chiunque desiderasse una grazia e pretendesse di non ricorrere a lei, per sua disgrazia, è come se volesse volare senz’ali”.
Il rosario, ha spiegato il porporato, “è una preghiera tanto semplice quanto potente. Non pensate che Dio ci chieda cose molto complicate o che sia necessario attraversare i mari per trovare alla fine di chissà quale impegnativa e spossante ricerca qualche frammento di verità o qualche barlume divino. Si può anche camminare in una strada polverosa o rimanere nella propria casa e, con la recita del rosario, entrare nel cuore di Dio”.

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ZENIT Staff

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