In questa estate dove stiamo cercando il riposo dell'anima?

La nostra relazione con le ricchezze di questo mondo

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Il Vangelo di questa prima domenica di agosto vuole farci riflettere sulla nostra relazione con le ricchezze di questo mondo. 

Proprio in questo contesto si inserisce la domanda posta da un uomo a Gesù su come dividere l’eredità. “Uno della folla gli disse: «Maestro, dì a mio fratello che divida con me l’eredità». (Lc 12,13).

La domanda rende chiaro il contesto nel quale ci troviamo: il litigio di due fratelli che hanno divergenze su come spartire l’eredità. Non viene indicato il tempo da quando questi due fratelli discutevano. L’unica notizia certa sembra essere che i due non avessero trovato un accordo, e per questo coinvolgono un mediatore, un maestro che potesse dirimere la questione facendo riferimento alla legge.

“Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». (Lc 12,14).

Gesù rifiuta di essere un giudice per questioni di eredità, e nemmeno un mediatore che aiuti a trovare una soluzione. E’ vero che il giudizio appartiene a Dio, ma Egli lo eserciterà alla fine dei tempi. L’unico giudizio di Dio che applica sulla terra è la misericordia. 

Per questo Gesù si rifiuta di dare una risposta diretta alla loro domanda, ma preferisce andare al cuore del problema, esortando i fratelli a fuggire dalla cupidigia delle ricchezze.

“E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni».” (Lc 12,15). 

Queste parole non condannano l’abbondanza delle ricchezze, ma la relazione che abbiamo con i nostri beni, perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore (Lc 12,34). L’elemosina data a coloro che sono più poveri di noi, trasferisce il nostro tesoro dalla terra al cielo, dove diventa un capitale inesauribile, perché viene benedetto continuamente da Dio in quanto prestato a Lui nella persona del povero. 

La caratteristica dei beni di questo mondo è quella di essere caduchi, passibili, corruttibili.

Questa peculiarità delle realtà materiali di questo mondo ci invita alla disillusione. Se un tempo era più evidente la corruttibilità degli elementi della materia, perché tutto era fatto di ferro, bronzo, argento, legno, e ogni sorta di materiali corrodibili, oggi possiamo altrettanto constatare come la speculazione finanziaria, la caduta degli indici della borsa, il crollo del mercato immobiliare, l’aumento delle tasse, il rialzo dei prezzi dei beni di prima necessità, abbia creato un impoverimento che ha raggiunto quasi la totalità delle famiglie. 

Proprio davanti a questa situazione così attuale, Gesù propone la parabola della campagna dell’uomo ricco. Il cuore di questo racconto non è tanto l’abbondanza della raccolto di questo proprietario terreno, ma il vaneggiamento dei pensieri del suo cuore: “E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia.” (Lc 12, 18-19)

Questo uomo, beneficiato da una generosità così abbondante, risponde con pensieri e gesti di egoismo. La proprietà anche se delimita l’accesso ai beni, non deve essere un ostacolo alla condivisione.

L’uomo dimentica facilmente che Dio regola la natura, Dio dona la fertilità dei campi, la continuità del lavoro. E questi doni sovrabbondanti non possono essere custoditi solo per sé stessi. La condivisione con il prossimo deve essere intesa come un ricambiare quello che abbiamo ricevuto da Dio. 

Il benessere produce l’effetto di farci chiudere in noi stessi, di farci adagiare sui nostri bisogni, di illuderci di poter allungare il tempo della nostra vita.

Avendo a disposizione più beni materiali, si viene ingannati dal pensiero che possiamo vivere la pienezza della vita anche su questa terra. L’anelito al cielo viene corroso dai beni materiali.

Il luccichio delle ricchezze chiudono la visuale all’eternità, limitando il campo visivo del nostro cuore solo su noi stessi. Lo splendore delle ricchezze producono un calore tiepido, una pallida consolazione incapace di alleviare i lividi e le ferite provocate dal male e dalla precarietà di questo mondo. 

La luce di Dio invece dona quel calore benefico, che sprigiona tutta la sua infinita misericordia. E questo raggio celeste, quando riflette su un cuore purificato dalla fiamma della carità di Dio, produce l’effetto di penetrare anche i destinatari della generosità umana. 

Allora, questa parabola sembra volerci ricordare che la vera gioia non consiste nell’avere ma nel dare (At 20,35). La vita eterna non si ottiene costruendo depositi bancari sempre più grandi, ma svuotando quello che si possiede per rendere più puro il proprio cuore (Lc 11, 41), perché la carità copre una moltitudine di peccati (1 Pt 4,8). I nostri soldi allora possono essere utilizzati per farci amici con la disonesta ricchezza, e così poter essere accolti nel regno di Dio (Lc 16,9). 

Seguendo questa disposizione celeste non solo evitiamo logoranti litigi per la divisione dell’eredità, ma acquisiamo una nuova prospettiva sull’utilizzo dei beni come strumento salvifico di espiazione per i nostri peccati. 

E se la nostra mente venisse sedotta dall’attesa dell’eredità o da desideri di impossessarsi anche di quello che non ci appartiene, allora pensiamo a come è andata a finire l’eredità del figlio minore della parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-20). In poco tempo, tutte le ricchezze ricevute in eredità sono state sperperate.

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Osvaldo Rinaldi

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