In Nigeria la Chiesa offre il dialogo per porre fine alle violenze

I Boko Haran continuano ad uccidere mentre l’arcivescovo di Abuja propone un Forum per ritrovare la pace

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CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 9 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Prosegue il tentativo di scatenare una guerra civile tra gruppi religiosi in Nigeria.

L’Agenzia Fides (http://www.fides.org/index.php), della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, riporta che lo scorso fine settimana è stato segnato dalla violenza in diverse aree del più popoloso Paese africano.

Secondo quanto riferisce il sito del quotidiano “Nigerian Tribune”, almeno 17 persone sono state uccise nel villaggio di Doko Kuka, nello Stato di Yobo. Nella notte del 6 ottobre un gruppo di uomini armati ha assalito il villaggio, entrando nelle case e sparando sui civili. Diversi abitanti del villaggio hanno cercato rifugio nella foresta. I militari della Joint Task Force (JTF) sono intervenuti ingaggiando un conflitto a fuoco di 45 minuti, al termine del quale i terroristi (che si suppone siano appartenenti a Boko Haram) sono fuggiti.

Il villaggio di Doko Kuka è abitato da musulmani e si trova a 70 km da Damaturu, la capitale dello Stato di Yobo, dove domenica 7 ottobre l’esercito ha lanciato una vasta operazione nel corso della quale 30 membri di Boko Haram sono stati uccisi, compreso Baa Kaka, descritto come il comandante locale della setta terrorista.

Nel corso dell’operazione sono state arrestate dieci persone e sequestrate armi, munizioni e tre ordigni esplosivi artigianali. Nella notte tra il 5 e il 6 ottobre almeno 8 persone sono rimaste ferite a Jalingo, capitale dello Stato di Taraba (nord-est del Paese), in un attentato esplosivo attribuito a Boko Haram.

In occasione della strage di circa quaranta studenti avvenuta il due ottobre nell’università di Mubi, nello Stato di Adamawa, nel nord-est della Nigeria, monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza Episcopale della Nigeria, ha detto a Fides che l’attacco “ha tutta l’aria di essere stato perpetrato dai membri di Boko Haram, perché è simile ad altre azioni commesse da loro di recente”.

Secondo mons. Kaigama “Boko Haram è una setta criminale separata dal resto dell’Islam. I suoi membri sono criminali che non fanno distinzione tra cristiani e musulmani. Le motivazioni delle loro violenze vanno oltre la religione”.

Da parte sua l’Arcivescovo di Abuja, Mons. John Olorunfemi Onaiyekan intervenendo il 4 ottobre alla Conferenza internazionale di Rodi, organizzata dal World Public Forum-Dialogue of Civilizations (WPF-DC) ha proposto al governo nigeriano di organizzare un tavolo di discussione per capire chi muove i Boko Haram.

Monsignor Onaiyekan ha detto a Fides che “I propositi esitanti” del governo nigeriano per aprire un contatto con l’organizzazione jihadista Boko Haram “devono essere perseguiti con più vigore e trasparenza, perche “quelli che il governo ha sempre definito come ‘gente senza volto’ devono far caderela maschera. Se il dialogo avviene a vantaggio di tutti noi, abbiamo bisogno di essere adeguatamente informati a un certo momento, e quel momento è arrivato”.

Per l’arcivescovo nigeriano, il governo di quella che lui stesso ha definito la più grande nazione islamo-cristiana del mondo, “ha bisogno di coinvolgere altri soggetti interessati nella discussione, a partire dalle forze religiose, politiche, economiche e etnico-sociali”.

Solo un Forum nazionale di tale natura ha sottolineato mons. Onaiyekan, potrebbe “facilitare un approccio più ampio per trovare una soluzione definitiva”. 

Nel corso della sua relazione l’Arcivescovo ha spiegato che le violenze di Boko Haram hanno “polarizzare la nostra nazione lungo linee di demarcazione religiosa, portando duri colpi alla nostra fragile armonia costruita in tanti anni di sforzi pazienti”.

Mons. Onaiyekan ha precisato che “non è solo l’Islam che deve trattare coi suoi ‘cani pazzi’. Ci sono fanatici anche nel campo cristiano, le cui attitudini sono tutt’altro che pacifiche. Gli Yoruba – ha raccontato l’arcivescovo – traducono la parola ‘fanatici’ con ‘Agbaweremesin’, che letteralmente significa ‘quelli che hanno adottato la follia come religione’.

L’arcivescovo di Abuja ha concluso affermando che le comunità religiose hanno il dovere di eliminare ogni ‘follia’ tra i propri seguaci, attraverso un sistema di auto-regolamentazione dei propri predicatori. Ma finché molti di questi predicatori pazzi non sono sotto il controllo di alcuno, toccherà allo Stato monitorare l’uso della libertà di espressione”. 

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ZENIT Staff

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