In montagna con Giovanni Paolo II

I racconti di un prefetto di Polizia a passeggio con il Pontefice polacco

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di Renzo Allegri

ROMA, lunedì, 24 novembre 2008 (ZENIT.org).- Nell’ottobre di trent’anni fa, veniva eletto Papa il cardinale polacco Karol Wojtyla che prese il nome di Giovanni Paolo II. Erano 450 anni che sul trono di Pietro non saliva uno straniero. Per questo, l’annuncio dell’elezione fu accolto con  stupore e freddezza dalla folla raccolta in Piazza San Pietro e dai milioni di credenti che seguivano la cerimonia alla televisione.

Ma bastarono poche parole di saluto del neo eletto a dissipare i dubbi e a scatenare una incredibile corrente di simpatia e di entusiasmo, che andò col tempo via via aumentando fino a fare di Giovanni Paolo II il Papa più popolare e più amato di tutta la storia del Cristianesimo.

Per ricordare i trent’anni di quell’elezione, nel corso di quest’anno sono state realizzate iniziative di ogni genere, che continuano ancora. Sono stati tenuti convegni di studi, conferenze, sono stati pubblicati innumerevoli articoli e libri. Tra questi, uno in particolare mi ha colpito. Un libro che si intitola “Wojtyla e il Generale” ed è stato pubblicato dalla casa editrice “Nuova Itinera”.

Non ha una buona distribuzione e per questo non è conosciuto come meriterebbe.  Ma è un libro straordinario.  Conosco abbastanza bene l’argomento per aver seguito, come giornalista, le vicende di Papa Wojtyla fin dalla sua elezione,  e per aver scritto anche un libro molto fortunato “Il Papa di Fatima”.  Ma devo dire che questo libro  mi ha colpito molto. Lo trovo bellissimo. Pieno di dettagli assolutamente sconosciuti e  umanissimi. Un libro vivo, vero, che affascina e commuove.

Ho voluto conoscere l’autore. Si tratta di un personaggio singolare e straordinario. Si chiama  Enrico Marinelli,  è un prefetto di Polizia, oggi in pensione, che per le vicende della vita ha avuto modo di conoscere Giovanni Paolo II in circostanze del tutto speciali, addirittura uniche, e di avere quindi molti episodi eccezionali da riferire.

Nato ad Agnone, nel Molise, nel 1932, Enrico Marinelli si laureò in legge e nel 1956  entrò nella polizia di Stato dove svolse una brillante carriera, impegnato sempre in compiti particolarmente delicati:  le emergenze sociali, la questione agraria nel Mezzogiorno,  la contestazione giovanile del ’68, il terrorismo e l’eversione delle Brigate rosse, il caso Moro, la sicurezza negli stadi.

Divenne famoso per l’equilibrio, la precisione  e il successo con cui risolveva i problemi, e per questo, nel 1985, gli fu affidato un incarico speciale:  la direzione dell’ Ispettorato Generale di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, struttura della Polizia di Stato che si occupa  della protezione del Sommo Pontefice  durante i suoi spostamenti in territorio italiano.

Per 14 anni, Marinelli è stato il responsabile della sicurezza del Papa. Compito  particolarmente delicato, ma divenuto delicatissimo dopo l’attentato che Papa Wojtyla aveva subito nel maggio 1981.

Marinelli affrontò il suo nuovo incarico con il piglio e la diligenza di sempre, ma uniti anche a una grande  devozione per il Santo Padre. E subito conquistò la piena fiducia di Papa Wojtyla. Anzi, ottenne la sua amicizia.  “Era un fratello, un padre per me”,  mi ha detto Enrico Marinelli con gli occhi lucidi di commozione.  “Mi chiamava affettuosamente ‘il mio generale’”.

Marinelli ha raccolto nel suo libro alcuni dei ricordi di quel periodo. “Una minima parte”, precisa. “Molte cose non si conosceranno mai, perché vincolate dal segreto. Se avessi deciso di scrivere tutto, avrei riempito diversi volumi”.

Quello che ha scritto è di un valore umano eccezionale. Anche perché, giustamente, Marinelli si è dilungato, con molta attenzione, rispetto e riservatezza,  a raccontare ciò che nessuno sa, che nessun giornale ha mai scritto. E cioè le “uscite  segrete” del papa dal Vaticano. Di quelle ufficiali, abbiamo sempre saputo tutto dai giornali. Ma di quelle “segrete”  nessuno ha mai parlato.

Ne erano al corrente il segretario del Papa e  qualche altro ecclesiastico che lo accompagnavano e, sempre, Enrico Marinelli con i suoi fidatissimi uomini della scorta, il cui compito diventava, in quelle situazioni, ancor più delicato, in quanto dovevano agire in gran segreto, senza che neppure le altre forze di polizia sapessero niente. Allora, Marinelli e i suoi uomini avevano tra le mani la vita del Papa.

Di qualunque cosa avesse avuto bisogno, il Pontefice doveva chiedere a loro. “A poco a poco tra noi si instaurò un rapporto di affetto e di fedeltà assoluti”, dice Marinelli. “I miei uomini ed io erano pronti a dare la vita per Giovanni Paolo II e  il Papa ci amava come figli”.

Ma quante furono le “uscite segrete” di Papa Wojtyla dal Vaticano nei 14 anni in cui Marinelli fu responsabile della sua sicurezza?  Nessuno lo ha mai saputo. Alcune volte i media hanno scoperto che Papa Wojtyla, in borghese, era andato a sciare sul Terminillo o a passeggiare sul Gran Sasso. 

Ma nel suo libro, Enrico Marinelli parla di “parecchie uscite”. Quelle due parole, trattandosi di un Papa, incuriosiscono molto.  “Quante uscite?”, abbiamo chiesto a Marinelli.  Da persona seria qual è, non ha voluto precisare. Abbiamo insistito e alla fine ci ha detto: “Diverse decine nel corso di 14 anni”.  Frase incredibile! Significa che Papa Wojtyla andò  molto spesso sia a sciare che a passeggiare sulle montagne.

Nel libro di Marinelli troviamo la cronaca di alcune di quelle uscite. La descrizione minuta di com’erano le sciate del Papa, le lunghe passeggiate, come camminava in montagna, quanto camminava, cosa mangiava, perché affrontava quelle passeggiate. Dettagli che stuzzicano la curiosità di tutti coloro che hanno ammirato e continuano ad ammirare il grande Papa polacco.

“Amava moltissimo la montagna”, mi ha detto Marinelli. “Era nato e cresciuto con questo amore. Per lui, la montagna non era un diversivo, un’occasione per divertirsi. La montagna era  l’ambiente che gli permetteva di sentirsi più vicino a Dio, che lo aiutava a concentrarsi nella preghiera. Mentre passeggiava in montagna, aveva sempre il rosario tra le mani e pregava. Si fermava ad ammirare il paesaggio e pregava. La natura lo aiutava a parlare con Dio. Andare in montagna  era per lui come fare un giorno di immersione nella spiritualità più profonda”.

“Un giorno in Cadore, uscimmo con meta  il rifugio Calvi, nella zona di Sappada, a 2164 metri di altezza. Un percorso in forte salita, per sentieri pietrosi. Quattro ore di cammino. Arrivati, il Papa alzò gli occhi e vide una croce che si stagliava nell’azzurro: era la croce del monte Peralba, quota 2694 metri. Decise di andare lassù. Ma bisognava superare una pericolosa  ‘via ferrata’ con uno strapiombo di alcune centinaia di metri. Il segretario, preoccupato, cercava di dissuaderlo, ma non ci riusciva. Mi chiese aiuto. Tentai, insistentemente anch’io, ma ricevetti una risposta secca: ‘Il Generale rimane qui a osservare il Papa che raggiunge la croce di Cristo per pregare per l’umanità’. Capii che per lui quella salita aveva un significato profondamente spirituale, inutile contraddirlo. Dovetti attendere paziente, e soprattutto trepidante per il pericolo che doveva affrontare. Seppi poi che, lungo la via ferrata, ad un certo punto il Papa mise un piede in fallo e rischiò di cadere nel precipizio. Alla sera, tornando, ammise:  ‘Il Generale aveva ragione, il percorso era pericoloso’”.

Marinelli mi racconta che Wojtyla in montagna era un camminatore instancabile. Che a seguirlo si faticava molto. Perfino i suoi uomini, giovani e aitanti, faticavano a tenere il suo passo. E sulla neve era uno sciatore spericolato. “Ma la montagna gli faceva bene. Era una medicina per lui. Quanto tornavamo in Vaticano era felice, rilassato e pieno di nuove energie”.

Ogni pagina del libro è una sor
presa, che rivela qualche aspetto sconosciuto di Wojtyla. Amava la montagna al punto da uscire segretamente dal Vaticano  per andare a sciare, ma si sentiva in colpa.  “Pensava fosse tempo sottratto ai suoi doveri”, mi ha detto Marinelli. “E sapeva che molti cattolici non avrebbero condiviso quel suo comportamento e soprattutto molti ecclesiastici”.

Una sera,  ringraziando me e i miei collaboratori, come faceva sempre al rientro,  disse una frase che mi lasciò di stucco: “Grazie perché proteggete e nascondete uno scandalo internazionale”. In un’altra occasione, al termine di una lunga passeggiata in montagna, mi chiamò, si tolse il cappello e disse: “Non son degno”.

In montagna, il contatto di Marinelli con il Papa era continuo e diretto. “Giovanni Paolo II era gentile, affettuoso, premuroso”, racconta il Prefetto Marinelli. “Non solo con me, ma con tutti quelli che facevano parte della spedizione. Eravamo come una famiglia in gita. Il Papa era di una semplicità e di una umanità commoventi con tutti noi. A volte, in quota, dopo aver mangiato qualcosa al sacco, faceva un riposino. Chiedeva scusa, si allontanava un poco e si sdraiava sulla nuda terra coprendosi con una coperta di lana. In alcune occasioni mangiai con lui”. 

Ricordo che un giorno non aveva consumata tutta la sua fetta di pane. Prese il pezzo rimasto, lo avvolse in un  tovagliolo di carta e lo mise nello zaino dicendo: “Lo finirò più tardi con una tazza di te”.

Il 13 di luglio ricorreva la festa di Sant’Enrico, era quindi il mio onomastico. E lui sempre si ricordava di farmi gli auguri. Voleva che brindassimo. La prima volta, eravamo su una vetta. Il segretario disse: “Ma non abbiamo vino per brindare”. “Non importa”, rispose il Papa. “Brindiamo con l’acqua e questa sera lo faremo con il vino”.

“Un giorno eravamo usciti per una passeggiata nei pressi del Gran Sasso. Affrontammo una salita molto dura.  Il Papa continuò a camminare imperterrito per diverse ore. Quando si fermò, erano le due del pomeriggio. Pensavamo decidesse di tornare, anche perché le scorte del cibo erano al ‘campo base’.  Invece, decise di proseguire. Il segretario mi chiese se avessi qualcosa da mangiare. Il mio appuntato aveva nello zaino cinque panini preparati da mia moglie. Gliene diedi tre: due per il Papa e uno per lui. Il Papa si rifocillò e continuò a salire per altre due ore e mezzo e poi si cominciò a scendere.  Arrivammo al ‘campo base’ che imbruniva. Il Papa mi disse: ‘Oggi sarà scritto negli annali vaticani che il Generale Marinelli  ha sfamato il Papa’”.

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ZENIT Staff

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